«Il
film esplora limpatto della crisi economica sulle relazioni di coppia, e tra
genitori e figli. E allinterno di ciò, il ruolo delle madri come garanti
dellamore e del benessere della famiglia». Così commenta il film lattore
argentino Juan Diego Botto, al suo debutto dietro la macchina da presa
dopo diverse esperienze nella regia di cortometraggi. La pellicola En los
márgenes – co-prodotta da Amazon Prime Video e presentata in anteprima
mondiale nella sezione Orizzonti della 79ª Mostra del Cinema di Venezia – mette
in scena un segmento esistenziale, della durata di ventiquattro ore, di un
gruppo di cittadini “ai margini”, come già preannunciato dal titolo, nel bel
mezzo della recessione spagnola. Latmosfera plumbea che aleggia sul Paese, tra
speculazione e privatizzazione, è scandita dallaumento delle tasse e delle
bollette, dalla chiusura di attività commerciali ma soprattutto dalla piaga
degli sfratti, qualificati dalla triste media attuale di circa cento al giorno:
tale questione in Spagna è stata parzialmente affrontata anche nella miniserie
televisiva Antidisturbios (2020) diretta dal talentuoso regista spagnolo
Rodrigo Sorogoyen (tra laltro giurato nella sezione principale della
Mostra). Altro componente imprescindibile in questa corsa contro il tempo dei
personaggi è la dissoluzione familiare, fortemente condizionata dallo stress
economico e dalla paura della povertà, in unamara catena di cause ed effetti.
Una scena del film
Il
primo intreccio chiama in causa la figura di Rafa (Luis Tosar), avvocato
attivista che sembra addossarsi il peso di tutte le ingiustizie sociali. Nella
giornata rappresentata prende a cuore le sorti di una cliente, una madre araba single
a cui stanno per togliere la custodia della figlia. Luomo risulta però
incapace di conciliare il suo lavoro con la gestione dei legami familiari: sia
con la compagna nonché assistente sociale Helena (Aixa Villagrán) sia
con il figlio di lei (Christian Checa), che brama una figura paterna più
attenta e presente. Altro intreccio è quello dellapparentemente benestante Teodora
(Adelfa
Calvo), madre di un operaio (Font García) pagato quattro euro lora,
costretto a reinventarsi dopo aver visto fallire la propria precedente attività
commerciale e aver mandato in fumo tutti gli ingenti aiuti ricevuti dalla
famiglia. Sconfortato dalla vergogna e dal rimorso di aver rovinato la vita ai
propri genitori, questi evita qualsiasi contatto con la donna, anchella sul
punto di essere sfrattata per insolvenza e costretta a un estremo gesto per
catalizzare lattenzione su di sé e sui suoi problemi.
Lultimo
nucleo si sviluppa attorno a unaltra cliente di Rafa, la magazziniera Azucena
(Penélope Cruz), madre e moglie intenta a fronteggiare il destino
ineluttabile di essere cacciata di casa insieme alla famiglia. Lunico sostegno
alla donna viene da unassociazione formata da innumerevoli cittadini che si
oppongono al sistema economico, alla polizia e alle misure giudiziarie,
rivendicando altresì misure sociali in una solidarietà di classe spesso
chiamata in causa nel cinema italiano del secondo dopoguerra (non a caso la
recitazione della Cruz ammicca molto a quella di Anna Magnani) o più
recentemente nella filmografia di Ken Loach. Da segnalare un certo gusto
documentaristico per quanto riguarda la rappresentazione della resistenza
collettiva contro limplacabilità delle banche.
Quella
di Azucena è sicuramente la storia più intensa e riuscita del film, retta da
unattrice per cui ormai si sprecano gli aggettivi, capace di condensare sul
volto, sulla voce e sulla microgestualità tutta la tensione, il senso di colpa,
lansia, la paura ma anche la risolutezza e la volontà di contrastare linevitabile.
Il percorso di crescita professionale della Cruz è a dir poco encomiabile,
considerando anche la quantità di lavori dellultimo periodo: dieci film negli
ultimi cinque anni, quattro dei quali presentati a Venezia negli ultimi due: Madres
paralelas di Pedro Almodóvar (2021), Competencia oficial di Mariano
Cohn e Gastón Duprat (2021), En los márgenes e Limmensità,
lultimo e atteso lavoro di Emanuele Crialese. Un talento maturo,
quello dellattrice spagnola, che, coadiuvato da una spiccata intelligenza, riesce
a garantirle di essere scritturata a prescindere dal ruolo, dalla produzione o
dal genere.
Quello
di Botto è un titolo che tutto sommato resta in piedi nonostante il rischio di incoerenza
legato alla struttura episodica a più livelli, nella quale i personaggi escono
dal proprio “quadro” esondando in quello altrui, incrociandosi per strada, nei
negozi, a lavoro, inconsapevoli di condividere la stessa scena. Forse il merito
maggiore del regista è quello di porre in secondo piano laspetto stilistico,
evitando virtuosismi sterili tipici degli esordienti, per dar risonanza (senza tuttavia
peccare di eccessiva retorica) a urgenti tematiche sociali, gettando luce su
dure realtà che quotidianamente affliggono il ceto meno abbiente.
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