Per
la prima volta in lingua italiana, La seconda sorpresa dellamore di Pierre
de Marivaux va in scena a Firenze al teatro della Pergola. Lo spettacolo,
diretto da Beppe Navello, nasce nellambito di un più vasto progetto: diffondere
lopera dellautore francese in Italia, tramite ledizione dell opera omnia
curata da Paola Ranzini col sostegno delleditore Mattia Visani ( CUE
Press).
La
Seconde Surprise de lamour,
commedia in tre atti, viene rappresentata per la prima volta a Parigi alla
Comédie-Française nel dicembre 1727. Al centro della trama due personaggi in
preda a sofferenze amorose: la marchesa (vedova) e il cavaliere (sedotto e
abbandonato). I protagonisti ritroveranno la felicità nellamore reciproco
grazie agli intrighi dei rispettivi servitori – Lisette e Lubin – e dopo aver
superato gli ostacoli posti dalla ragione (incarnata dal “pedante” Hortensius)
e dal conte, rivale in amore del cavaliere. Loperazione drammaturgica compiuta
dal regista consiste soprattutto nella traduzione, nella riduzione a un unico
atto e nellinserimento di inserti anacronistici di sapore più contemporaneo,
come quello dei due servitori che, compiaciuti e divertiti dalla situazione da
loro creata, spiano la scena mangiando popcorn come se fossero al cinema.
Un momento dello spettacolo © Luca Passerotti
«Di
lui, i suoi contemporanei dicono che ha sempre scritto la stessa commedia, solo
con titoli diversi» afferma Navello su Marivaux nellintervista di Angela
Consagra. In effetti, la commedia segue uno schema “classico” in cui si
possono riconoscere alcuni topoi quali, per esempio, il gioco degli
opposti: i briosi servitori e i padroni seriosi, la semplicità e la cultura
raffinata, la passione e la ragione. Il personaggio di Lubin (o Lubino) rimanda
allo zanni Arlecchino della Commedia dellArte: il suo costume è nero con
qualche toppa; il suo movimento atletico, affidato all'attore napoletano Fabrizio Martorelli, richiama non tanto la maschera “diabolica”
delle origini (Tristiano Martinelli) ma quella acrobatica di Domenico
Biancolelli (poi divenuta canonica e ripresa da Evaristo Gherardi, Tommaso
Visentini, Antonio Sacco, fino allo strehleriano Ferruccio Soleri).
Come Arlecchino, Lubino è un tombeur de femmes: motore dellazione è il
suo stesso amore, non platonico (come quello che unirà marchesa e cavaliere) ma
carnale. Viene in mente a tal proposito una nota incisione della Raccolta
Fossard che ritrae Arlecchino con i suoi tanti figlioletti (1584 circa).
Consapevoli
dellimpossibilità di riproporre una versione filologicamente attendibile rispetto
alla recitazione settecentesca, si possono tuttavia cogliere in questa Seconda
sorpresa dellamore diversi elementi appartenenti allimmaginario consolidato
del sistema dei ruoli dei comici italiani. Viene in mente unaltra nota
incisione in cui lo studente Elomire (anagramma di Molière) impara dal
maestro Scaramouche o Scaramuccia (litaliano Tiberio Fiorillo), a
denunciare il debito del teatro francese nei confronti del Théâtre des Italiens. Se è vero che,
come insegna Siro Ferrone, la Commedia dellarte non è solo commedia (La
Commedia dellArte. Attrici e attori italiani in Europa (XVI-XVIII secolo),
Torino, Einaudi, 2014, pp. 16-21),
non si può negare in questa sede limportanza della componente giocosa che
suscita il riso degli spettatori della Pergola.
Un momento dello spettacolo © Luca Passerotti
Nella
commistione di semiserio e comico, lacme dellintreccio consiste nella presa
di coscienza da parte della marchesa di essere stata vittima del tranello dei
due servitori e delle lusinghe dei due spasimanti. Entrano in gioco la gelosia
e lorgoglio. Gli intrighi di Lubino e Lisetta, causa della rottura
dellequilibrio, sono anche la chiave per la risoluzione e lo strumento per
smorzare toni eccessivamente seriosi. Si pensi al momento del licenziamento di
Hortensius o Ortensio: su di lui – e sulla ragione – la vittoria del sentimento
è anticipata dal gesto del cavaliere di strappare le pagine di Seneca.
Dietro
al comparto attoriale è forte la presenza invisibile del navigato Navello, ex
allievo di Mario Missiroli, con quasi cinquantanni di esperienza alle
spalle. La fiorentina Daria Pascal Attolini, nei panni della
protagonista, collabora col regista piemontese fin dal 2013, a partire dalla
trilogia “civile” Il divorzio di Vittorio Alfieri, Il trionfo
del dio denaro di Marivaux e Una delle ultime sere di carnovale
di Carlo Goldoni (in
scena al teatro Stabile di Torino).
Dallalternanza di momenti di trasognante trasporto e altri di esilaranti
escandescenze risulta una recitazione equilibrata, alla quale fa da contraltare
quella di Marcella Favilla (Lisetta) – marsalese diplomatasi alla scuola
del Piccolo Teatro di Milano –, capace di accentrare lattenzione con brio e
ritmo. La bravura delle due attrici, insieme allestro del già citato
Martorelli (Lubino), tende spesso a oscurare i colleghi: il figlio darte Lorenzo
Gleijeses (il cavaliere), intrappolato in un ruolo quasi isterico, e Stefano
Moretti (Ortensio) e Giuseppe Nitti (il conte), interpreti dei due
caratteri secondari.
Interessante
il lavoro di Luigi Perego su costumi e scenografie. I primi rimandano
alla moda settecentesca fatta di pizzi, corpetti, nastri, colori pastello e
forme che richiamano la struttura del guardinfante. Tuttavia – soprattutto nel
vestiario della marchesa del cavaliere – sono presenti elementi altri a
rappresentare la “licenza poetica” del costumista: si pensi allo spacco nel
vestito di lei e alla giacca di lui, lunga da un lato (secondo la moda
dellepoca) e corta dallaltro (secondo la moda attuale). La scenografia è
minimale ma evocativa: pochi tendaggi rimandano a unabitazione elegante, i
libri agli intrattenimenti intellettuali della padrona di casa. I cambi di
scena avvengono a vista: uno specchio (la toeletta) scende dallalto, tre tappeti
derba sintetica vengono srotolati dai due servitori, mentre le tonalità del fondale
cambiano seguendo il filo della storia. I colori hanno valore drammaturgico: il
nero iniziale indica il lutto, il rosso-arancio il nuovo sentimento amoroso, il
verde la gelosia, il bianco le nozze e il lieto fine. La messinscena si
conclude con i personaggi bloccati in un tableau vivant o – come
suggerisce il regista – in un richiamo ai quadri di Jean Antoine Watteau,
sotto una pioggia di pagine che sembrano voler rimarcare il debito di questo
spettacolo nei confronti della sua componente letteraria.
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