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Siro Ferrone

La Commedia dell’Arte. Attrici e attori italiani in Europa (XVI-XVIII secolo)


Torino, Einaudi (PBE n.s., 614), 2014, pp. XIV-411, 58 figg. f. t., euro 32,00
ISBN 978-88-06-20651-2

Sulla Commedia dell'Arte

                                 

L’11 aprile 2014 al fiorentino Teatro della Pergola, nell’ambito delle attività promosse dal Dottorato di Ricerca Interuniversitario “Pegaso” in Storia delle Arti e in Storia dello Spettacolo, Luciano Mariti, Stefano Mazzoni e Piermario Vescovo hanno presentato il recente volume di Siro Ferrone sulla Commedia dell’Arte. Pubblichiamo qui la presentazione di Mazzoni.

 

 

 

Il volume sopra registrato è importante e corona un fruttuoso itinerario di ricerca di Siro Ferrone. Si pensi alla monografia Arlecchino. Vita e avventure di Tristano Martinelli attore (Laterza 2006); alla precedente edizione in due volumi delle Commedie dell’Arte (Mursia 1985-1986); a quella, monumentale e insuperata, delle Corrispondenze dei nostri più importanti comici professionisti, da lui diretta e pubblicata dalla Casa Editrice Le Lettere nel 1993 (premio Pirandello); nonché al volume einaudiano Attori mercanti corsari. La Commedia dell’Arte in Europa tra Cinque e Seicento che vide luce in quel ’93 e che è stato riproposto nel 2011 nella medesima collana che accoglie il lavoro di cui si scrive. Una lunga fedeltà, incardinata anzitutto, anche in questa nuova avventura, su un senso vivo della storia, su ricerche originali condotte ad ampio raggio, sull’interpretazione affilata di nuovi e di vecchi documenti. Fonti e documenti proficuamente incrociati e corroborati da una conoscenza mai pigra della storiografia. Il che non guasta. Chi leggerà il volume gusterà il profumo della ricerca e apprezzerà una scrittura efficace, nitida, che si dispiega nel Prologo e nelle tre parti in cui si articola un libro esemplare corredato di una ricca bibliografia e di un apparato di indici (delle opere teatrali, dei nomi e dei luoghi).

 

«La Commedia dell’Arte non esiste», asseriva negli anni Settanta del secolo scorso nelle sue lezioni fiorentine un illustre storico dello spettacolo, Ludovico Zorzi, che tante intelligenti energie aveva profuso nell’indagare quel complesso fenomeno che, per convenzione, si è soliti definire con la riduttiva formula al singolare di «Commedia dell’Arte». L’affermazione zorziana, incisa sulla lama affilata del paradosso, era dettata da un’esigenza critica urgente in quel periodo: tragittare dal mito alla storia la Commedia dell’Arte. Questa «dizione ormai ci brucia da quando Ludovico Zorzi ci ha spiegato che dovremmo chiamarlo “teatro degli attori”» (così Luigi Squarzina, Da Dioniso a Brecht, il Mulino, 1988, p. 81). In altre parole: occorreva fare giustizia dei preconcetti e dei luoghi comuni che troppo avevano condizionato (e condizionavano) la storia, europea complessa multiforme, dei comici di mestiere italiani. Il libro di Ferrone è decisivo al riguardo.

 

La parte prima (pp. 23-126) analizza Il sistema economico e sociale affrontando temi cruciali per la storia del teatro dei professionisti italiani in Europa dal Cinque al Settecento, ossia per la storia della cosiddetta Commedia dell’Arte: il suo strutturarsi per compagnie sospese tra disciplina, «sottomissione e autonomia» (p. 25); i rapporti dei nostri comici di mestiere con i loro aristocratici committenti e con gli attori dilettanti delle accademie (esemplari i casi di Firenze e di Roma). Un rilievo particolare è dato alle donne in scena – le fascinose attrici, sprigionanti erotismo e redenzione, scene di pazzia e “lamenti”, che furono spesso anche abili cantanti e manager di quelle laboriose formazioni teatrali. L’avvento della donna in palcoscenico fu «la più rilevante novità dello spettacolo europeo del Cinquecento e uno dei fattori decisivi per la formazione del teatro dei professionisti» (p. 40), ribadisce Ferrone opportunamente mettendo in valore gli studi di Ferdinando Taviani (v. p. 6). Si pensi alla fortuna europea della grande Isabella Andreini celebrata anche dalla frenetica penna di Lope de Vega: «Si es Andrelina, es de fama. / ¡Qué acción! ¡Qué afectos! ¡Qué extremos!». Così ne El castigo sin venganza  edito a Madrid nel 1631. La diva era ormai nel cielo del mito, aveva perso la vita a Lione nel 1604. Il viaggio fu uno dei vettori portanti delle vite dei teatranti professionisti. Fu anche il motore di una inedita stagione drammaturgica. Si leggano, ad esempio, le pagine dedicate al Viaggio dei Capitani (75 ss.), ossia al topico tema del militare in Commedia, dapprima lanzichenecco e poi spagnolesco (in altra occasione lo studioso ha filologicamente individuato i tratti pertinenti da Capitano dell’Arte tardo cinquecentesco nella parte di Riccardo nello shakespeariano Richard III). E si apprezzi la puntuale ricostruzione del viaggio attorico-drammaturgico del personaggio di Don Giovanni: dalla Spagna a Napoli e poi, contestualmente, a Firenze e a Parigi (pp. 78 ss.).

 

La parte seconda (pp. 127-225) si intitola Geografia e storia. Una geografia braudeliana attenta ai dati umani e alla ricerca della storia. Il teatro artigiano e collettivo dei nostri professionisti è coraggiosamente indagato da Ferrone in un arco diacronico di lunga durata, dal Cinque al Settecento, come si è visto, e in un orizzonte geografico a perdita d’occhio che abbraccia l’Europa occidentale e la Mitteleuropa. Ed è emblematica sul piano del metodo la ferroniana cartina che apre il volume graficamente illustrando le principali vie percorse dalle attrici e dagli attori italiani in quei secoli di Antico regime: dall’Italia (le corti padane, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Torino), dall’Italia, dicevo, a Lione e a Parigi (e alla regale Fontainebleau), ai Paesi Bassi e a Londra; dall’Italia e dalla Francia a Madrid e a Lisbona; ancora: dall’Italia, per la via del Brennero, ai territori asburgici del Sacro Romano impero e alla Sassonia, alla Polonia sino alla Russia: dalla corte imperiale di Vienna e di Praga a Dresda, a Varsavia fino Mosca e a San Pietroburgo. L’elaborazione di schemi grafici dei circuiti e delle principali piazze teatrali dell’Arte è una cifra del procedere scientifico di Ferrone e pone subito il lettore in una chiara e giusta prospettiva. Si sa che l’esistenza dei comici dell’Arte fu costellata da viaggi insidiosi, di terra di fiume di mare. Insisto su quella eloquente cartina perché osservandola si comprende, da subito e meglio, l’essenza itinerante che generò una tradizione drammaturgica sovranazionale, irriducibile alla geografia delle storie letterarie. Efficacemente, in altra sede, lo studioso ha parlato d’«invenzione viaggiante». Drammaturgia viaggiante che, per dirla ancora con l’Autore, fu «consuntiva»: vale a dire formalizzata nei manoscritti o nelle stampe dopo l’esecuzione in palcoscenico di una serie di spettacoli dedicati a un medesimo copione. Drammaturgia in azione che cela tra le pagine schegge della sapienza teatrale dei nostri antichi attori e dei loro spettacoli: tracce del loro modo di recitare, delle loro caratteristiche performative, dei lori lazzi; ma anche tracce delle scenografie, della scenotecnica, dei costumi e via dicendo. Sono questi i ferroniani “fossili” di palcoscenico che, nel corso del tempo, lo studioso ci ha insegnato a scoprire nei testi teatrali; e forse quella limpida lezione di metodo non è ancora stata compresa appieno. La drammaturgia dei comici dell’Arte fu fluida e vitale, all’insegna del palcoscenico, della tempestiva registrazione della cronaca coeva e del rapimento, del remake e del meticciato di testi e di tecniche performative differenti. Drammaturgia generata dal «negoziato fra culture diverse» (p. 63) e dal teatro in azione. Si legga anzitutto, per meglio capire, la “voce” Drammaturgia consuntiva a p. 247 del Glossario che correda il volume.

 

Perché, e passiamo così alla parte terza (pp. 227-347), il libro è impreziosito da un originale strumento di lavoro che preme qui segnalare e che comprende: 1) una ricognizione di oltre cinquanta fonti iconografiche esemplari, che si conclude con il malinconico settecentesco Pulcinella dipinto dal napoletano Giuseppe Bonito (fig. 58) e trova un punto di forza nella lettura lenticolare dell’olio su tela di Michelangelo Cerquozzi (Michelangelo delle Battaglie), databile 1630-1640 e illustrante con felice vena narrativa alcuni attori in palcoscenico schierati dietro un telone-sipario e impegnati nei preparativi di uno spettacolo (fig. 47).

 


Michelangelo Cerquozzi detto Michelangelo delle Battaglie, La Répétition ou Scène de la Commedia dell'Arte, olio su tela,
1630-1640. 

 

Ferrone ipotizza con buone ragioni (a p. 239) che possa trattarsi di dilettanti della«commedia ridicolosa». Altrettanto poco conosciuto l’olio su tela di Filippo Napoletano (1618 circa) raffigurante La fiera dell’Impruneta: in quella tela non tardiamo a riconoscere, tra la folla variopinta, alcuni attori che si esibiscono su un nudo palco (fig. 44).

 

Filippo Napoletano, La fiera dell'Impruneta, olio su tela, 1618 circa, particolare.
    

Un quadro che riecheggia la celebre omonima incisione di Jacques Callot (fig. 43). Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, a conferma dell’importanza testimoniale dei documenti iconografici per la Storia dello spettacolo. 2) Il menzionato Glossario che spiega il lessico di quella che siamo soliti chiamare Commedia dell’Arte. Si leggano la scheda puntuale dedicata al ruolo degli Innamorati o quella sul ruolo strategico del Capitano o, ancora, le schede sull’improvvisazione, sul lazzo, sul mandafuora, sulla parte scannata, sullo scenario, sulla recitazione a vicenda (l’assegnazione di una stessa parte a due attori diversi che si alternavano nella recitazione e nel guadagno) o quelle sulla citata drammaturgia consuntiva e sulla drammaturgia preventiva (e così via). 3) Un godibile Dizionario biografico di attrici e attori che impegna 61 pagine composte in corpo piccolo su doppia colonna e che prende le mosse dallo stratega cinque-seicentesco della Commedia dell’Arte, il pistoiese Francesco Andreini detto Capitano Spavento da Valle Inferna, e si conclude con Truffaldino, Flavio e Arlecchino: il Truffaldino Antonio Sacco, nato a Vienna nel 1708 durante una tournée da una famiglia d’Arte e morto in mare ottantenne su una nave al largo di Marsiglia; il capocomico Flaminio Scala detto Flavio (1552-1624) che fu al servizio di don Giovanni de’ Medici; il tarchiato, scattante Arlecchino vicentino Visentini detto Thomassin che lavorò a Parigi nella compagnia di Luigi Riccoboni. Ogni voce del Dizionario ripercorre con rigore storico-filologico, la vita, la carriera e le opere dei principali attrici e attori italiani dell’Arte. Non mancano il gusto dell’inedito e selezionate bibliografie. È questo, a oggi il più agguerrito Dizionario biografico monautorale dedicato a un folto gruppo di attori e attrici della Commedia dell’Arte. Attrici quali Vittoria Piissimi, Vincenza Armani, Barbara Flaminia, la grandissima Isabella Andreini, Virginia Ramponi, Orsola Cecchini, Brigida Bianchi, Angiola D’Orso, Orsola Cortesi, Rosa Giovanna Benozzi e molte altre che si rintracciano nelle voci maschili del Dizionario. Lo studio delle biografie attoriche è un territorio privilegiato di Ferrone e della sua scuola (si ricordi AMAtI, http://amati.fupress.net/Main.uri, innovativo Archivio Multimediale degli Attori Italiani da lui diretto): è un suo tratto scientifico caratterizzante, al pari della sua vocazione di cartografo e di esploratore di biblioteche e di archivi. Infine, 4) una ben costruita cronologia europea articolata in due sezioni: Storia e Cultura, Attori e Spettacoli: dal 1545, anno del primo documento notarile attestante la costituzione di una compagnia di comici italiani di professione, al 1806, anno di morte di Carlo Gozzi. Mi avvio a concludere e solo accenno al Prologo (pp. 3-21) che delinea I caratteri distintivi della Commedia dell’Arte.

 

In sintesi: il volume segnalato conferma brillantemente, molto innovando e saggiamente non assumendo un ozioso atteggiamento ipercritico, quanto sia stata e sia produttiva la contestazione esercitata dalla critica più avvertita, in specie italiana, nei confronti dell’immagine consueta della Commedia dell’Arte. Fenomeno per molto tempo più noto che capito. Inteso sin troppo a lungo come teatro di matrice prevalentemente popolare, spontanea: teatro di comici di piazza e di strada intessuto di reclamistiche performances ciarlatanesche e fondato principalmente sulle maschere, sull’improvvisazione, sul gesto, sulla mimica e sulle acrobazie. Imago tanto duratura, dicevo, quanto fuorviante e riproposta recentemente da Roberto Tessari (Laterza 2013). Non si vuol dire che gli elementi ora ricordati non abbiano avuto importanza in quell’avventura teatrale, s’intende; e sono ben note le differenze tra i comici illustri delle “onorate” compagnie e quelli delle formazioni più umili celati sovente ai nostri occhi dalla coltre dell’anonimato. Tuttavia gli elementi sopra citati non furono né gli unici, né i più importanti e alcuni di essi ebbero una fortunatissima ricezione specialmente in Francia dove poi non per caso si generò in età romantica il mito del teatro degli attori italiani come teatro unicamente comico: di maschere, d’improvvisazione, di colorati costumi. Quel mito, si sa, ha attraversato anche il Novecento. Ma sul piano storico maggiore rilevanza, come meglio apprendiamo dal nuovo libro di Ferrone, ebbero altri fattori. Pensiamo alla nozione di mestiere applicata a un collettivo e regolata da contratti; al meticciato di culture; alla prestigiosa committenza delle corti; all’uso di recitare o in splendidi teatri di corte o nei «teatri del soldo» alias «stanze» del teatro venduto; all’abilità dei nostri comici nel coniugare in parallelo tempo della festa e tempo del mercato; o alla già rammentata folgorante apparizione delle donne in scena; oppure alla nascita della figura del capocomico manager e drammaturgo della compagnia. O, infine, prendiamo atto – una volta per tutte –  dell’ampiezza e della versatilità del repertorio, vale a dire della capacità dei nostri attori-autori «polimati» (così Luciano Mariti in un bel saggio apparso sul n. 34, 2013, di «Teatro e Storia») di dar vita a differenti forme drammaturgico-spettacolari. Si legga il capitolo Non solo commedia (pp. 110 ss.) centrato da Ferrone sulla mescolanza degli stili e sul repertorio cantato: non solo «Commedie dell’Arte» scritte per esteso e letterariamente camuffate dagli attori-autori; non soltanto recite «all’improvviso», canovacci e performative invenzioni sceniche di tradizione buffonesca; ma anche cultura, produzioni letterarie, strategie editoriali, testi teorici; e opera in musica, opera regia e riuso scenico-parodico dell’Orlando furioso e “lamenti”, canto, musica, danza; e commedie regolari, tragedie, pastorali, tragicommedie, drammi esotici e altre invenzioni drammaturgiche. Il comporre, il recitare, il canto, la musica e la danza servivano ai nostri attori per guadagnarsi la vita. Da qui la loro performativa poliedrica sapienza in funzione dei diversi gusti dei differenti tipi di pubblico; entra così in gioco la variabile relazione che nel momento della rappresentazione, di spettacolo in spettacolo, di contesto in contesto, si instaura tra l’attore e lo spettatore.

 

Su questi temi e problemi e su altre rilevanti questioni (e.g. la decisiva importanza degli attori e del repertorio dell’Arte per Shakespeare, Molière, Lope, Marivaux, Goldoni e Gozzi) il libro di Siro Ferrone offre dimostrazioni inappuntabili, conferme puntuali e momenti importanti d’inedita riflessione. Un libro decisivo che illumina la concretissima storia materiale dei nostri attori e del loro repertorio nell’Europa che fu delle corti.

 

                                                                                      

Stefano Mazzoni


La copertina

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