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Omaggio a Oriana Fallaci

di Benedetta Colasanti
  Morirò in piedi
Data di pubblicazione su web 15/11/2021  

«Nelle sale d’aspetto, il lavoro delle cure incontra quello dei dati. Mogli compilano moduli per i mariti. Madri compilano quelli dei bambini. Donne malate compilano i propri». Così il premio Pulitzer 2020 per la saggistica Anne Boyer (Non morire, Milano, La nave di Teseo, p. 57) descrive il destino delle donne malate di cancro: le sue parole sembrano risuonare in alcune scene di Morirò in piedi. Lo spettacolo, in scena al teatro Niccolini per la regia di Roberto Petrocchi, è un omaggio a Oriana Fallaci. Tratto dall’omonimo libro di Riccardo Nencini (Firenze, Polistampa, 2007), racconta gli ultimi mesi di vita della giornalista e scrittrice, deceduta a Firenze il 15 settembre 2006, le cui ceneri oggi riposano presso il cimitero evangelico degli Allori, sovrastate da una lapide che recita: Oriana Fallaci. Scrittore.

Afferma il regista: «Oriana ha conosciuto i potenti del mondo che ha sfidato dialetticamente, ma pochissimi sono stati suoi amici veri. Appartiene a questo ristretto novero, Riccardo Nencini (interpretato da Fulvio Cauteruccio, ndr) […] depositario del suo testamento morale: la confessione delle sue paure, i suoi sogni, le fragilità, la segreta solitudine». Fisicamente – ma non mentalmente – piegata dalla malattia, Fallaci rivela un’identità privata, inedita e tuttavia leggibile tra le righe di alcune sue opere.

La scenografia (Barbara Bessi) è evocativa: in un salotto d’altri tempi, il fumo di sigaretta rende l’aria tangibile; sul pavimento e sul tavolo giacciono fogli sparsi, vinili, bicchieri di champagne. Sullo sfondo nero sono proiettate immagini e filmati d’archivio. Privato e pubblico si sovrappongono: la scrittrice non può evitare di portare il lavoro a casa; le pareti della sua stanza diventano scenario di attualità, di guerra, di distruzione. Il regista esprime così la differenza tra l’immagine idealizzata dello “scrittore” – tutto genio e ispirazione – e la realtà del processo di scrittura: il continuo fare e disfare, il rigore, la dipendenza e insieme l’ossessione provocata del ticchettio della macchina da scrivere e delle lancette dell’orologio, segni del tempo che passa.

Giulia Weber veste con rispetto i panni della protagonista. La leggera cadenza toscana rimanda alle origini fiorentine del personaggio. Il fumare ossessivo – gesto onnipresente nella recitazione e nelle fotografie d’epoca proiettate sul fondale – preannuncia la tragedia privata della malattia. Nel dialogo con Nencini emergono gli ideali combattuti per una vita: la debolezza dei valori occidentali, l’inaffidabilità della politica, del fascismo e dell’antifascismo, l’utopia del connubio politica-etica e il valore del passato come essenza della nostra esistenza; e gli eventi che l’hanno segnata: le rivolte studentesche a Città del Messico, i conflitti bellici. 

Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo

«Morirò come Emily Brontë […] in piedi» (Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci, Milano, Corriere della Sera, 2004, p. 55). Classe 1929, Fallaci ha vissuto l’occupazione nazifascista di Firenze. Da bambina, mentre portava provviste a Carlo Levi in piazza Pitti, scavalcava i corpi esanimi di chi non aveva corso abbastanza veloce sotto spari e granate. Alla resa dei conti conclusiva, la sua memoria torna alla città natale. Indifferente alle parole di Tiziano Terzani, che in una lettera le descriveva Firenze come una città decaduta (parafrasando: “degenerata a causa di globalizzazione, turismo e ricchezza”), Oriana ripensa alla casa d’infanzia, piccola ma piena di libri e caratterizzata da una rigida morale, e alla sua casa di Porta Romana, dove ha vissuto con il rivoluzionario Alekos Panagulis, dedicatario di Un uomo (Milano, Rizzoli, 1979).

Superati due aborti spontanei, a partire da un’inchiesta sulle interruzioni di gravidanza scrive Lettera a un bambino mai nato (Milano, Rizzoli, 1975). La questione della legalità dell’aborto è ancora attuale (si pensi a L’évenement, film recentemente insignito del Leone d’oro a Venezia). Il concetto di maternità prende forma nell’immagine della madre di Oriana (interpretata da Flavia Pezzo). Se la figlia confessa il rimorso di essere stata sempre «da un’altra parte», la madre esprime col volto le parole del “profeta”: «i vostri figli non sono figli vostri […] potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell’avvenire» (Khalil Gibran, Il profeta, New York, Knopf, 1923).

Infine un ultimo desiderio, quello di finire i suoi giorni sulla torre dei Mannelli. L’edificio, affacciato su Ponte Vecchio, faceva parte del primo progetto del corridoio vasariano, commissionato da Cosimo I de’ Medici per collegare Palazzo della Signoria a Palazzo Pitti; a seguito dell’opposizione dei proprietari, Vasari fu costretto a modificare il disegno. Oriana aveva visitato la torre, roccaforte del gruppo partigiano del padre, nel 1944; doppio simbolo di resistenza, rappresentava in punto di morte «the end of the road»: parole che riecheggiano Jack Kerouac, la beat generation e i relativi ideali di libertà.



Morirò in piedi
cast cast & credits
 

Teatro Niccolini

Spettacolo visto il 14 
novembre 2021 al 
Teatro Niccolini di Firenze




 
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