«Nelle
sale daspetto, il lavoro delle cure incontra quello dei dati. Mogli compilano
moduli per i mariti. Madri compilano quelli dei bambini. Donne malate compilano
i propri». Così il premio Pulitzer 2020 per la saggistica Anne Boyer (Non
morire, Milano, La nave di Teseo, p. 57) descrive il destino delle donne
malate di cancro: le sue parole sembrano risuonare in alcune scene di Morirò
in piedi. Lo spettacolo, in scena al teatro Niccolini per la regia di Roberto
Petrocchi, è un omaggio a Oriana Fallaci. Tratto dallomonimo libro
di Riccardo Nencini (Firenze, Polistampa, 2007), racconta gli ultimi
mesi di vita della giornalista e scrittrice, deceduta a Firenze il 15 settembre
2006, le cui ceneri oggi riposano presso il cimitero evangelico degli Allori,
sovrastate da una lapide che recita: Oriana Fallaci. Scrittore.
Afferma
il regista: «Oriana ha conosciuto i potenti del mondo che ha sfidato dialetticamente,
ma pochissimi sono stati suoi amici veri. Appartiene a questo ristretto novero,
Riccardo Nencini (interpretato da Fulvio Cauteruccio, ndr) […] depositario del suo testamento
morale: la confessione delle sue paure, i suoi sogni, le fragilità, la segreta
solitudine». Fisicamente – ma non mentalmente – piegata dalla malattia, Fallaci
rivela unidentità privata, inedita e tuttavia leggibile tra le righe di alcune
sue opere.
La
scenografia (Barbara Bessi) è evocativa: in un salotto daltri tempi, il
fumo di sigaretta rende laria tangibile; sul pavimento e sul tavolo giacciono
fogli sparsi, vinili, bicchieri di champagne. Sullo sfondo nero sono proiettate
immagini e filmati darchivio. Privato e pubblico si sovrappongono: la
scrittrice non può evitare di portare il lavoro a casa; le pareti della sua
stanza diventano scenario di attualità, di guerra, di distruzione. Il regista
esprime così la differenza tra limmagine idealizzata dello “scrittore” – tutto
genio e ispirazione – e la realtà del processo di scrittura: il continuo fare e
disfare, il rigore, la dipendenza e insieme lossessione provocata del
ticchettio della macchina da scrivere e delle lancette dellorologio, segni del
tempo che passa.
Giulia
Weber veste con
rispetto i panni della protagonista. La leggera cadenza toscana rimanda alle
origini fiorentine del personaggio. Il fumare ossessivo – gesto onnipresente
nella recitazione e nelle fotografie depoca proiettate sul fondale –
preannuncia la tragedia privata della malattia. Nel dialogo con Nencini
emergono gli ideali combattuti per una vita: la debolezza dei valori
occidentali, linaffidabilità della politica, del fascismo e dellantifascismo,
lutopia del connubio politica-etica e il valore del passato come essenza della
nostra esistenza; e gli eventi che lhanno segnata: le rivolte studentesche a
Città del Messico, i conflitti bellici.
Un momento dello spettacolo
«Morirò
come Emily Brontë […] in piedi» (Oriana Fallaci intervista Oriana
Fallaci, Milano, Corriere della Sera, 2004, p. 55). Classe 1929,
Fallaci ha vissuto loccupazione nazifascista di Firenze. Da bambina, mentre
portava provviste a Carlo Levi in piazza Pitti, scavalcava i corpi
esanimi di chi non aveva corso abbastanza veloce sotto spari e granate. Alla
resa dei conti conclusiva, la sua memoria torna alla città natale. Indifferente
alle parole di Tiziano Terzani, che in una lettera le descriveva Firenze
come una città decaduta (parafrasando: “degenerata a causa di globalizzazione,
turismo e ricchezza”), Oriana ripensa alla casa dinfanzia, piccola ma piena di
libri e caratterizzata da una rigida morale, e alla sua casa di Porta Romana,
dove ha vissuto con il rivoluzionario Alekos Panagulis, dedicatario di Un
uomo (Milano, Rizzoli, 1979).
Superati
due aborti spontanei, a partire da uninchiesta sulle interruzioni di
gravidanza scrive Lettera a un bambino mai nato (Milano, Rizzoli, 1975).
La questione della legalità dellaborto è ancora attuale (si pensi a Lévenement, film recentemente insignito del Leone
doro a Venezia).
Il concetto di maternità prende forma nellimmagine della madre di Oriana
(interpretata da Flavia Pezzo). Se la figlia confessa il rimorso di
essere stata sempre «da unaltra parte», la madre esprime col volto le parole
del “profeta”: «i vostri figli non sono figli vostri […] potete dare una casa
al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa
dellavvenire» (Khalil Gibran, Il profeta, New York, Knopf,
1923).
Infine un ultimo desiderio, quello di finire i
suoi giorni sulla torre dei Mannelli. Ledificio, affacciato su Ponte Vecchio,
faceva parte del primo progetto del corridoio vasariano, commissionato da Cosimo
I de Medici per collegare Palazzo della Signoria a Palazzo Pitti; a
seguito dellopposizione dei proprietari, Vasari fu costretto a
modificare il disegno. Oriana aveva visitato la torre, roccaforte del gruppo
partigiano del padre, nel 1944; doppio simbolo di resistenza, rappresentava in
punto di morte «the end of the road»: parole che riecheggiano Jack Kerouac,
la beat generation e i relativi ideali di libertà.
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