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The Dark Side of the Light

di Giuseppe Mattia
  Annette
Data di pubblicazione su web 15/11/2021  

Quanto mai ambiziosa, se non azzardata, la scelta di aprire l’ultimo Festival di Cannes con il sesto lungometraggio di Leos Carax, il suo primo in lingua inglese in quasi quarant’anni di carriera. Col senno di poi, considerando anche il premio per la Miglior regia (consegnatogli da Valeria Golino), i programmatori ci hanno visto giusto. L’ibridazione è alla base della lettura di Annette, musical dalle tinte punk e dal retrogusto melodrammatico che, nel bene o nel male, è destinato a far parlare di sé, inserito a pieno diritto nell’alveo di quella cinematografia europea che negli ultimi anni osa nella ricerca stilistica, senza timore di perire sotto gli infuocati strali della critica. Se il precedente Holy Motors (2012) era un’opera più cupa e stratificata, qui la storia narrata è sì più temeraria ma anche più convenzionale se letta come una fiaba noir contemporanea (o come un’opera lirica tragica). In essa pullulano orchi su moto rombanti, regine fantasmatiche che addentano mele rosse, principesse collodiane dalla voce soave e cavalieri armati di bacchetta davanti un esercito di orchestrali.



Una scena del film

Nella città di Los Angeles Carax in persona, deus ex machina in uno studio di registrazione, dà il la agli Sparks, autori della colonna musicale (e della sceneggiatura) che spazia dal pop-rock al synth-pop. In un suggestivo piano sequenza – solo lontanamente simile a quello iniziale in La La Land (2016) di Chazelle – fanno il loro ingresso i protagonisti della storia, che da attori diventano improvvisamente personaggi. Sin da subito è chiara la contraddittoria “connessione cardiaca” tra Henry (Adam Driver) e Ann (Marion Cotillard): lui cabarettista che fa del black humor la sua cifra stilistica preponderante; lei leggiadro soprano di successo. Oggetto prediletto della cronaca rosa televisiva, la coppia concepisce l’enfant prodige Annette, bambina-burattino dall’aspetto (inizialmente) straniante e rivoltante, forse simbolo di un rifiuto della paternità come quello lynchano in Eraserhead (1977). In balia delle aspirazioni dei genitori, sarà proprio lei a scompaginare l’armonia tra i due, persi e danzanti in una tempesta nell’oceano, preludio del nietzschiano, irreversibile sguardo dentro l’abisso.



Una scena del film

Impossibile non riconoscere a Driver la sua interpretazione più memorabile, all’interno di una filmografia che lo vede lavorare sin da giovanissimo con autori del calibro di Clint Eastwood, Spielberg, Baumbach, i Coen, Jarmush, Soderbergh, Gilliam, Spike Lee e Ridley Scott. Se nel 2014 già si intravedeva un grande talento, confermato tra l’altro dalla Coppa Volpi per Hungry Hearts del “nostro” Saverio Costanzo – seguito da due nomination agli Oscar per BlacKkKlansman (2018) e per Marriage Story (2019) –, sarebbe un delitto non consacrarlo agli Academy in programma a marzo 2022. Notevole il lavoro che questo attore conduce per sottrazione, a ricercare caratteristiche e gesti antidivistici che ben si accordano con la sua stazza imponente, tesa a riempire lo spazio scenico relegando nell’ombra tutto il resto. Discorso a parte per Cotillard, ingabbiata in una serie di ruoli graziosi e incantevoli ma eterei, pallidi e purtroppo facilmente dimenticabili.



Una scena del film

Annette è un’operazione strabordante aperta a decine di chiavi di lettura: da quella iconologica a quella semiotica, da quella sociologica a quella filosofica. Dal punto di vista cromatico – reso ottimamente dalla fotografia di Caroline Champetier, già collaboratrice di Rivette, Godard e von Trotta – si nota l’accostamento “shakespeariano” al protagonista dei colori verde – simbolo di quella invidia e di quel livore degni dello Iago interpretato da Totò nell’episodio pasoliniano Che cosa sono le nuvole? (1968) – e rosso, incarnato da una macchia vermiglia sulla guancia di Driver (come quella sulle mani di Macbeth) che, in maniera direttamente proporzionale all’abiezione, si allarga. Tuttavia, dal punto di vista tematico, il racconto dell’universo dello showbiz non convince per via di sequenze ed elementi superflui e ridondanti, così come l’eccessiva durata della pellicola, destinata senz’altro a dividere il pubblico. Più interessante, invece, la resa antitetica del folgorante divismo californiano, restituito nel suo rovescio della medaglia fatto di sovraesposizione mediatica, esibizionismo e vacuità. 

I confini della tragedia e della farsa si assottigliano verso il finale, con una catarsi conseguita fuori tempo massimo. Seppur con qualche perplessità, ci troviamo di fronte un’opera d’arte degna di essere chiamata tale, che disturba e irrita ma ammalia. Altrimenti che opera d’arte sarebbe?




Annette
cast cast & credits
 


La locandina del film



 
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