In un romanzo di Agatha Christie,
Giorno dei morti (Sparkling Cyanide, 1944), di uno dei personaggi
principali si dice: «Con un senso di sgomento Iris si rese conto allimprovviso
che per la prima volta in vita sua pensava a Rosemary. Pensava a lei, cioè,
obiettivamente, come “persona”. Non si era mai soffermata ad analizzare la
personalità di Rosemary. Non ci si sofferma ad analizzare la personalità della
propria madre o del proprio padre o della propria sorella o di una zia. Se ne
accetta, per così dire, lesistenza senza approfondire. Non ci si chiede come
siano stati. Comera stata Rosemary? Ora diventava forse importante stabilirlo». Una scena del film
Curiosa coincidenza che lo stessi
leggendo nei giorni in cui è uscito questo splendido film. Senza commentare il
brano citato – e senza neanche metterlo propriamente a confronto con il film – non
ho tuttavia potuto non pensarci, perché alcune parole sembrano scritte per
riferirle ai fratelli e alle sorelle Bellocchio
riguardo alla tragica fine del gemello di Marco, Camillo.
Famiglia quanto mai complessa e complicata, quella dei Bellocchio, con vertici
di brillantezza artistica o intellettuale – Marco, Piergiorgio “il
vecchio”, adorabile figura –, ma anche
con la delicata, intensa personalità delle sorelle (Mariuccia e Letizia)
e il vigore, anche performativo, del consumato sindacalista Alberto, che
peraltro ha sposato la psicanalista Lella Ravasi. I Bellocchio si
autorappresentano anche tramite un preciso dialogo a distanza, ovviamente
orchestrato da Marco e da Francesca Calvelli, eminentemente temporale,
ma anche fatto di elementi essenziali per dare adito e linfa ad accostamenti con
i brani che il regista ha montato da alcuni suoi film a privilegiato soggetto
famigliare, soprattutto I pugni in tasca (1965) e Salto nel vuoto
(1980). Una scena del film
La lucidità e il rigore, la
profonda sincerità e lo spirito critico di Bellocchio si esprimono come un atto
di confessione e di assunzione di responsabilità. Quanto i Bellocchio –
compresi i genitori – hanno capito Camillo? Le sue fragilità, le aspettative, i
desideri di farsi coinvolgere da Marco nel mondo del cinema. Quanto hanno tenuto in
considerazione le lettere, talora disperate, sempre a richiesta di
comprensione, che egli periodicamente inviava, a esempio, a Piergiorgio?
Marx
poteva aspettare, come disse Camillo a Marco, in quel nucleo famigliare,
soprattutto riferito ai fratelli, affinché Camillo trovasse più piena
espressione di sé, lui che si sentiva sempre inadeguato, come a proprio modo il
Luigi Tenco evocato nel film, anche nei rapporti sentimentali (vedi il
riferimento a certe lettere alla fidanzata). A tal riguardo una figura più
volte presente è la sorella della compagna di Camillo, che non risparmia, al
cospetto di Marco che la incontra, critiche e/o osservazioni pungenti: uno
degli ulteriori elementi che innervano il film di profonda verità. Si diceva,
poco fa, dellelemento confessionale che Fantuzzi rileva nellautore: questo è
insito anche nel leitmotiv costituito dalle ricorrenti inquadrature con
le quali il regista si filma con i due figli, Piergiorgio e Elena,
entro una impeccabile, incalzante e sempre più emozionante organizzazione del
montaggio, ancora una volta affidato a Francesca Calvelli.
Davvero Bellocchio, qui in stato di
grazia, coniuga e declina i principali stilemi ed elementi del proprio cinema:
una profonda immaginazione melodrammatica, ancorché in forma non fiammeggiante (dunque
più alla Godard che alla Visconti); il coté documentario e documentale che ha più volte
praticato; il richiamo alla tipologia del cosiddetto “film famigliare” di
carattere documentario, peraltro oggetto di varie rassegne organizzate dal
regista a Bobbio, nonché trama di Sorelle Mai (2010), con in più una
valenza da film-saggio. Si pensi allidea di accostare certi brani di alcuni
suoi film in dialogo con il documentario, a mo di riflessione sul proprio
cinema e la propria poetica e come indicazione di quello che di sommerso, in
particolare riguardo a Camillo, il proprio cinema conteneva (e con il Lou
Castel de Gli occhi, la bocca, 1982, quale possibile alter-ego di
Camillo, nonché personaggio che ri-pronuncia la frase «Marx può aspettare»). Una scena del film
Ma cè un altro brano – e siamo
alla chiusa del film – che rimanda, in maniera non così diretta ed esplicita,
ossia non montata a mo di esplicita comparazione, a un altro finale di film
bellocchiano: Marco cammina lungo un ponte di Bobbio (luogo eminentemente
originario dei Bellocchio) e incrocia un giovane che fa jogging indossando una felpa della palestra aperta da Camillo a
Piacenza. Marco lo osserva ma non lo ferma: non si può non pensare al finale di
Buongiorno, notte (2003) allorché Aldo Moro (Roberto Herlitzka)
non muore e cammina, libero, per una strada di Roma. Camillo, che più volte era
apparso in filmati amatoriali, qui è evocato dal giovane atleta, ma appare
ancor più figura epifanica: unepifania joyciana, come fosse un personaggio del
mirabile The Dead e, dunque, una presenza-assenza o, per dirla con Attilio
Bertolucci, «assenza più acuta presenza».
Unaura (un cuore?) di tenebra
aveva spesso aleggiato finora, nei quadri di Marco così come nella
palestra che egli più volte visita, ma infine è il simbolico fulgore della
reviviscenza ad affermarsi. Marx avrebbe potuto aspettare, magari anche Camillo
a compiere il gesto estremo del suicidio, ma egli rivive per noi in unopera
maiuscola che commuove, ma che talora suscita un profondo, sincero riso. Un
film che ci insegna molto su come ciascuno di noi, a proprio modo, dovrebbe affrontare
le assai complesse dinamiche famigliari.
|
|