«Unʼora, non è solo
unʼora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di progetti, di climi», afferma il
filosofo Henri Bergson e, di rimando, quella stessa ora diventa speciale
ne LʼHeure exquise di Maurice Béjart. Una pièce coreografica che, ispirandosi al testo teatrale Oh, les beaux jours di Samuel Beckett,
ferma lʼinarrestabile fluire del tempo nel ricordo di preziosi istanti di vita vissuta.
Messo in scena in
prima nazionale al Ravenna Festival dallʼétoile
Alessandra Ferri e dal Primo ballerino dellHamburg Ballet, Carsten Jung, LʼHeure Exquise è un evento che somma in sé notevoli coincidenze e
anniversari che rendono la sua rappresentazione unica.
Innanzi tutto è un
tributo a Carla Fracci, scomparsa lo scorso 27
maggio, da parte della Ferri che la omaggia con la ripresa di unopera creata
da Bejart espressamente per lei nel 1998. È anche uno spettacolo con cui lʼétoile festeggia i suoi quarantanni
di carriera, iniziata nelle fila del Royal Ballet, arricchendo il suo carnet
di ruoli femminili âgées dopo Virginia
Woolf, Eleonora Duse, Léa di Chérie e ora Winnie de LʼHeure
Exquise.
© Silvia Lelli
Senza contare che questa
messinscena cade nel sessantesimo anno dalla stesura di Giorni felici e, non ultimo, avviene nel settimo centenario della morte
di Dante Alighieri che Ravenna celebra con questo festival e con linaugurazione
del nuovo Museo Dante. Dunque una première
che “transumana”, ovvero va oltre la contingenza per essere qualcosa di più
e lasciare il segno.
LʼHeure Exquise nasce drammaturgicamente da Variazioni sul tema di Samuel Beckett “Oh, les beaux jours”, con una modalità compositiva mutuata da
celebri compositori autori di variazioni su partiture precedenti: ad esempio Brahms
su tema di Haydn, Chopin su Mozart, Beethoven su Diabelli.
E non si tratta – per usare le parole dello stesso Béjart – «di un adattamento danzato ma di un lavoro di composizione fedele allo spirito»
“beckettiano” nel contesto, però, di una creatività «astratta e coreografica».
Una mise en danse accompagnata dalle
musiche di Webern, Mahler, Mozart, Lehár, e scandita dalle
parole della protagonista e dal marcato silenzio che contraddistingue questa «liturgia»
della visione danzata.
Nella creazione di
Béjart, che cura la regia e si avvale delle essenziali scene e luci di Roger
Bernard e dei semplici costumi di Luisa Spinatelli, i giorni si
concentrano e diventano unʼora squisita di danza. Winnie nellimmaginario “béjartiano”
da attrice si trasforma in danzatrice ed è circondata da un mare di scarpette
da punta – nel testo di Beckett da un enorme cumulo di sabbia – e sommersa da un
altrettanto mare di ricordi e oggetti della sua professione. Ma non è sola:
accanto a lei cʼè Willy, il partner che la sostiene con la forza e la delicatezza
di un sodalizio umano e coreutico imperituro. Allepoca del debutto con la
Fracci, Willy aveva avuto le sembianze di Micha van Hoecke e proprio
lui, in occasione di questa ripresa, ha rimontato il lavoro di Bèjart assieme a
Maina Gielgud, anche lei a suo tempo protagonista de LʼHeure Exquise.
© Silvia Lelli
Questa pièce dal 1998 è stata pochissimo
rappresentata perché non può prescindere dallanzianità di chi la porta in
scena. Letà anagrafica e professionale è un fattore determinante per la resa
di un balletto sui generis che guarda
al passato e si costruisce sul presente. Ferri e Jung nelle prese di ruolo sono
perfetti grazie alla spiccata “danzattorialità” e allineccepibile bravura che
solo gli anni e il proprio vissuto teatrale possono dare. La loro età non è una
diminutio ma, al contrario, un valore
aggiunto.
Tutto inizia con lʼapparizione
di Winnie che spunta dalla vita in su al sommo di una montagna di tremila scarpette
da punta rosa e tutta infagottata dice: «Mi ricordo…», e ancora: «Non sono unattrice,
ma una ballerina…». In basso a destra il dorso di un uomo in penombra ci dice
che non è sola. In unatmosfera sospesa e ovattata la montagna si apre e lei
esce, si toglie i lanosi vestimenti e a piedi nudi inizia a danzare rincorrendo
i momenti, i gesti della sua esistenza da coreuta, con Willy che le porge le
scarpette e lombrellino rosso, laiuta a ballare e le sottrae la pistola.
Il tempo scorre
inesorabile e si riannodano i fili di un passato troppo ingombrante per essere
dimenticato ed eccola eseguire on pointe i
canonici echappés, passés, piqués in diagonale, lasciarsi
andare a eterei ports de bras,
duettare con Willy, afferrare e accarezzare la sbarra, guardarsi nello specchio
mentre la musica corre veloce, inframmezzata di silenzi e pose eloquenti.
La danza “béjartiana”,
agita e riflessa, invera il flusso delle ricordanze e Winnie e Willy si muovono
con lei avvolta da un nuvola di tulle bianco, allusivo agli atti bianchi del
repertorio ottocentesco, mentre lui ride o si esibisce in passi di tip tap coinvolgendola
come Fred Astaire fa con Ginger Rogers. A differenza di Beckett
che costringe Winnie allʼinazione e allʼimmobilità, Béjart ha messo le ali alla
sua Winnie che si libra nellʼaria, ricordando le leggere e impalpabili figurine
di Chagall.
© Silvia Lelli
Ma il cumulo dei
ricordi si fa sempre più opprimente, riviverli uno a uno è impossibile e la
morte liberatoria, rappresentata dallʼarma che lei punta dritto davanti a sé, è
scongiurata dalla volontà di non morire per essi.
Così, come una vestale nellʼascesa al Campidoglio,
Winnie riprende il suo posto al centro della montagna sacra, questa volta
immersa fino al collo, sulle note della canzone Lheure exquise qui nous grise,
dalla Vedova allegra di Lehár, che
suggella la fine di questa ora squisita, salutata da applausi e ovazioni
interminabili per la Ferri, Jung e Carla Fracci, spiritualmente vicina e
presente al Teatro Alighieri di Ravenna.
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