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La «liturgia» della visione danzata

di Gabriella Gori
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Data di pubblicazione su web 30/06/2021  


«Unʼora, non è solo unʼora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di progetti, di climi», afferma il filosofo Henri Bergson e, di rimando, quella stessa ora diventa speciale ne LʼHeure exquise di Maurice Béjart. Una pièce coreografica che, ispirandosi al testo teatrale Oh, les beaux jours di Samuel Beckett, ferma lʼinarrestabile fluire del tempo nel ricordo di preziosi istanti di vita vissuta.

 

Messo in scena in prima nazionale al Ravenna Festival dallʼétoile Alessandra Ferri e dal Primo ballerino dell’Hamburg Ballet, Carsten Jung, LʼHeure Exquise è un evento che somma in sé notevoli coincidenze e anniversari che rendono la sua rappresentazione unica.

 

Innanzi tutto è un tributo a Carla Fracci, scomparsa lo scorso 27 maggio, da parte della Ferri che la omaggia con la ripresa di un’opera creata da Bejart espressamente per lei nel 1998. È anche uno spettacolo con cui lʼétoile festeggia i suoi quarant’anni di carriera, iniziata nelle fila del Royal Ballet, arricchendo il suo carnet di ruoli femminili âgées dopo Virginia Woolf, Eleonora Duse, Léa di Chérie e ora Winnie de LʼHeure Exquise.



© Silvia Lelli


Senza contare che questa messinscena cade nel sessantesimo anno dalla stesura di Giorni felici e, non ultimo, avviene nel settimo centenario della morte di Dante Alighieri che Ravenna celebra con questo festival e con l’inaugurazione del nuovo Museo Dante. Dunque una première che “transumana”, ovvero va oltre la contingenza per essere qualcosa di più e lasciare il segno.

 

LʼHeure Exquise nasce drammaturgicamente da Variazioni sul tema di Samuel Beckett “Oh, les beaux jours”, con una modalità compositiva mutuata da celebri compositori autori di variazioni su partiture precedenti: ad esempio Brahms su tema di Haydn, Chopin su Mozart, Beethoven su Diabelli. E non si tratta – per usare le parole dello stesso Béjart – «di un adattamento danzato ma di un lavoro di composizione fedele allo spirito» “beckettiano” nel contesto, però, di una creatività «astratta e coreografica». Una mise en danse accompagnata dalle musiche di Webern, Mahler, Mozart, Lehár, e scandita dalle parole della protagonista e dal marcato silenzio che contraddistingue questa «liturgia» della visione danzata.

 

Nella creazione di Béjart, che cura la regia e si avvale delle essenziali scene e luci di Roger Bernard e dei semplici costumi di Luisa Spinatelli, i giorni si concentrano e diventano unʼora squisita di danza. Winnie nell’immaginario “béjartiano” da attrice si trasforma in danzatrice ed è circondata da un mare di scarpette da punta – nel testo di Beckett da un enorme cumulo di sabbia – e sommersa da un altrettanto mare di ricordi e oggetti della sua professione. Ma non è sola: accanto a lei cʼè Willy, il partner che la sostiene con la forza e la delicatezza di un sodalizio umano e coreutico imperituro. All’epoca del debutto con la Fracci, Willy aveva avuto le sembianze di Micha van Hoecke e proprio lui, in occasione di questa ripresa, ha rimontato il lavoro di Bèjart assieme a Maina Gielgud, anche lei a suo tempo protagonista de LʼHeure Exquise.



© Silvia Lelli

Questa pièce dal 1998 è stata pochissimo rappresentata perché non può prescindere dall’anzianità di chi la porta in scena. L’età anagrafica e professionale è un fattore determinante per la resa di un balletto sui generis che guarda al passato e si costruisce sul presente. Ferri e Jung nelle prese di ruolo sono perfetti grazie alla spiccata “danzattorialità” e all’ineccepibile bravura che solo gli anni e il proprio vissuto teatrale possono dare. La loro età non è una diminutio ma, al contrario, un valore aggiunto.

 

Tutto inizia con lʼapparizione di Winnie che spunta dalla vita in su al sommo di una montagna di tremila scarpette da punta rosa e tutta infagottata dice: «Mi ricordo…», e ancora: «Non sono un’attrice, ma una ballerina…». In basso a destra il dorso di un uomo in penombra ci dice che non è sola. In un’atmosfera sospesa e ovattata la montagna si apre e lei esce, si toglie i lanosi vestimenti e a piedi nudi inizia a danzare rincorrendo i momenti, i gesti della sua esistenza da coreuta, con Willy che le porge le scarpette e l’ombrellino rosso, l’aiuta a ballare e le sottrae la pistola.

 

Il tempo scorre inesorabile e si riannodano i fili di un passato troppo ingombrante per essere dimenticato ed eccola eseguire on pointe i canonici echappés, passés, piqués in diagonale, lasciarsi andare a eterei ports de bras, duettare con Willy, afferrare e accarezzare la sbarra, guardarsi nello specchio mentre la musica corre veloce, inframmezzata di silenzi e pose eloquenti.

 

La danza “béjartiana”, agita e riflessa, invera il flusso delle ricordanze e Winnie e Willy si muovono con lei avvolta da un nuvola di tulle bianco, allusivo agli atti bianchi del repertorio ottocentesco, mentre lui ride o si esibisce in passi di tip tap coinvolgendola come Fred Astaire fa con Ginger Rogers. A differenza di Beckett che costringe Winnie allʼinazione e allʼimmobilità, Béjart ha messo le ali alla sua Winnie che si libra nellʼaria, ricordando le leggere e impalpabili figurine di Chagall.



© Silvia Lelli

Ma il cumulo dei ricordi si fa sempre più opprimente, riviverli uno a uno è impossibile e la morte liberatoria, rappresentata dallʼarma che lei punta dritto davanti a sé, è scongiurata dalla volontà di non morire per essi.

 

Così, come una vestale nellʼascesa al Campidoglio, Winnie riprende il suo posto al centro della montagna sacra, questa volta immersa fino al collo, sulle note della canzone L’heure exquise qui nous grise, dalla Vedova allegra di Lehár, che suggella la fine di questa ora squisita, salutata da applausi e ovazioni interminabili per la Ferri, Jung e Carla Fracci, spiritualmente vicina e presente al Teatro Alighieri di Ravenna.




L'Heure Exquise
cast cast & credits
 


© Silvia Lelli

 
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