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Carla Fracci e la vita come opera d’arte

di Gabriella Gori
  Carla Fracci
Data di pubblicazione su web 04/06/2021  

Ha sempre brillato di luce propria Carla Fracci, e non si è smentita neppure nel giorno del suo sereno congedo dalla vita, il 27 maggio scorso, né venerdì 28, quando è stata allestita la camera ardente al Teatro alla Scala, né sabato 29, la data delle esequie solenni. Una cerimonia celebrata nella chiesa di San Marco a Milano e trasmessa in diretta su Rai 1. Una città e una nazione, l’Italia, che, nella figura del sindaco Giuseppe Sala e in quella del ministro della cultura Dario Franceschini, hanno reso omaggio all’étoile unendosi al caloroso abbraccio cittadino e alla sentita partecipazione di parenti, colleghi, amici, estimatori e ammiratori di tutto il mondo, collegati via etere.

È vero, Carla – all’anagrafe Carolina – non è più tra noi. Se ne è andata a ottantaquattro anni come sempre è vissuta, “volando” sulle scarpette a punta in una nuvola di fiori bianchi, il suo colore preferito; ma restano e resteranno imperituri il suo esempio e il suo insegnamento. E un pensiero corre veloce al sorriso luminoso, all’ineguagliabile grazia scenica, al ferreo rigore, all’autorevole presenza e, non ultimo, al coraggio di scelte che hanno contraddistinto un cammino professionale ed esistenziale davvero unico e invidiabile. Sì, perché Carla Fracci ha sempre guardato avanti, non ha avuto paura di nulla e ha sempre deciso di seguire quello che considerava fosse il suo dovere di persona votata alla danza, ma anche attaccata ai valori della vita. Quella vita che, insieme al successo planetario, le ha consentito di realizzare i suoi sogni, le ha regalato l’amore del marito Beppe, la gioia di diventare madre di Francesco e la consolazione di avere accanto a sé i nipoti, arrivando a quel non facile connubio “arte-vita”.

La sua vita infatti è stata ed è un’autentica opera d’arte, in quanto la Fracci è l’essenza stessa della danza, è la danza personificata, è colei che ha attraversato il Novecento da danzatrice e da donna, costituendo un unicum che lascia in eredità a coloro che verranno e a coloro che sapranno guardare e imparare dal suo indiscutibile magistero coreutico e umano.

Tutto inizia nel 1946, quando a dieci anni – era nata a Milano il 20 agosto del 1936, nel segno del Leone – si presenta per entrare alla Scuola di Ballo della Scala su suggerimento di alcuni conoscenti che, vedendola cimentarsi nei balli di sala del circolo ATM, frequentato dal padre tramviere e dalla madre operaia, ne avevano apprezzato la musicalità.

La scuola scaligera era all’epoca gratuita e, come lei amava ricordare, la bambina Fracci non viene messa nel primo gruppo tra le “idonee” e nemmeno nel secondo tra le “non idonee”, ma nel terzo, tra quelle “da rivedere”. Il caso vuole che l’allora direttrice Ettorina Mazzucchelli la scelga dicendo: «Gracilina, ma la ghà un bel faccin». E così, con un esordio quanto meno singolare, inizia a studiare sotto lo sguardo attento e la dura disciplina accademica di Vera Volkova e Esmée Bulnes, dalle quali apprende l’importanza dello studio e della forza di volontà, necessari per conseguire la perfezione interpretativa ed esecutiva.

All’inizio non è facile, e la svolta avviene quando ha modo di vedere Margot Fonteyn  nella Bella Addormentata alla Scala. Carla è tra i paggi con mandolino e, estasiata dalla Fonteyn, capisce che vuole diventare ballerina e affrontare ogni sacrificio pur di riuscire a essere uguale a lei. Così nasceva l’astro fracciano. Nel 1954, a diciotto anni, si diploma, mentre nel 1956 si presenta la prima grande occasione: sostituisce Violette Verdy nella Cenerentola, in scena al Piermarini. Subito dopo viene nominata solista del Corpo di Ballo della Scala.

Nell’estate del 1957 al Festival di Nervi interpreta Fanny Cerrito nel Pas de Quatre insieme a Yvette Chauviré, Margrethe Schanne, Alicia Markova, e nel 1958 diventa prima ballerina. Nello stesso anno arriva la consacrazione con John Cranko, che crea per lei Giulietta nel balletto capolavoro Romeo e Giulietta. Nell’estate del 1959 Anton Dolin la vuole a Londra per interpretare Giselle. Un ruolo che la Fracci farà suo, diventando la Giselle per antonomasia.

Da allora non si contano i successi: lei diventa “la Fracci”, icona della ballerina classica applaudita nei più importati teatri del mondo, ospite dei più prestigiosi corpi di ballo come il Bolshoi, l’American Ballet Theatre, il London Festival Ballet, il Salder’s Wells Royal Ballet, lo Stuttgart Ballet, il Royal Swedish Ballet.

Straordinari sono i partner che negli anni affiancano «la prima ballerina assoluta» – come la definì il «New York Times» – a cominciare da Rudolf Nureyev, Erik Bruhn, Vladimir Vasiliev, Mikail Baryshnikov, Paolo Bortoluzzi, Amedeo Amodio, Gheorghe Iancu, Vladimir Derevianko, Julio Bocca, Maximiliano Guerra, Massimo Murru, Giuseppe Picone, fino a Roberto Bolle.

Sodalizi umani e artistici che la vedono eccellere nel più titolato repertorio romantico con Giselle, La Sylphide, Les Sylphides, Coppelia, Il lago dei cigni, La bella addormentata, Lo schiaccianoci, e in creazioni moderne come Bolero o ispirate a figure femminili, fra cui Francesca da Rimini, Gelsomina ne La Strada, Cherie, Willie ne L’heure exquise. Tutti balletti firmati da grandi maestri della coreografia ottocentesca e in particolare novecentesca: Roland Petit, Léonide Massine, Antony Tudor, Maurice Béjart, Mario Pistoni, Ugo Dell’Ara, Loris Gai. Senza nulla togliere al regista Giuseppe Menegatti, il suo Beppe, sposato nel 1964 e sempre al suo fianco nella regia di opere e balletti creati per lei.

È proprio Menegatti, formatosi come assistente di Luchino Visconti, a spingere la Fracci a diventare attrice, o meglio “danzattrice”, scorgendo in lei quella vena attoriale di “bella fera” da palcoscenico. In teatro è Ariel nella Tempesta, Titania nel Sogno di una notte di mezza estate, ma anche, diretta da Menegatti, Medea, Filomena Marturano, Ida Rubinstein, Artemisia Gentileschi, Zelda Fitzgerald.

Per il cinema è Tamara Karsavina nel film di Herbert Ross su Vaslav Nijinskij e Madame Doche nella Storia vera della signora delle camelie di Bolognini, mentre per la televisione è Giuseppina Strepponi nello sceneggiato Verdi di Renato Castellani e parte del cast del telefilm Le Ballerine con Peter Ustinov.

Indomita e coraggiosa, l’instancabile Fracci non si ferma, e partecipa negli anni Ottanta a popolari show televisivi danzando insieme alle gemelle Kessler, a Mina, a Raffaella Carrà; diventa Wanda Osiris in Serata d’onore di Pippo Baudo e si lancia in uno sfrenato can can con Heather Parisi, lasciando tutti a bocca aperta.

Decisivo è anche il suo impegno nel far uscire la danza classica dai luoghi deputati, i grandi teatri d’opera, e insieme al marito sostiene il cosiddetto “decentramento”, un innovativo progetto che vede la danza e il balletto entrare nei piccoli teatri di provincia, nelle piazze, nei tendoni, nei palazzetti dello sport, con una compagnia di giovani talenti capitanata da lei stessa e diretta da Menegatti. L’arte – sostiene – «deve essere di tutti», e con orgoglio rivendica il merito di aver portato “la danza a tutti”, sentendosi una vera e propria “pioniera”. Un’antesignana anche nell’augurarsi la nascita di una Compagnia Nazionale di Balletto con cui mostrare al mondo le eccellenze italiane dell’arte tersicorea.

Ma la Fracci ha ancora tanto da dire e da fare, e decide di intraprendere la carriera direttiva alla guida del Corpo di Ballo del San Carlo di Napoli alla fine degli anni Ottanta, del Corpo di Ballo dell’Arena di Verona dal 1996 al 1997 e del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma dal 2000 al 2010, puntando sempre sul repertorio accademico, mai disgiunto da quello delle avanguardie novecentesche e dei titoli contemporanei.

E tutto questo senza contare gli incarichi e le onorificenze ricevute: è Assessore alla Cultura della Provincia di Firenze dal 2009 al 2014, è Ambasciatore di Expo Milano nel 2015, è Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, è Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte. Un palmarès arricchito dai versi scritti per lei da Eugenio Montale in La danzatrice stanca, dopo la nascita di Francesco nel 1969, e dalla definizione di “eterna fanciulla danzante”. Apoteosi di una “danzartista” che ha fatto parte dell’intellighenzia italiana del Secolo breve insieme ad altri grandi che ha conosciuto e frequentato: De Chirico, Pavarotti, Zeffirelli, Merlini, De Filippo, Fellini, Pivano, Levi Montalcini, Quasimodo, Luzi, Montale, restando sempre con i piedi ben piantati per terra grazie ai sani principi dell’educazione paterna. Un’educazione dalla quale ha imparato l’etica del sacrificio ma anche il gusto dell’ironia, con la quale accetta l’imitazione di Virginia Raffaele nel programma di Bolle La mia danza libera del 2016, che la vede ancora una volta protagonista.

E protagonista lo è fino all’ultimo, con le masterclass che tiene a gennaio 2021 per i ballerini della Scala in occasione della messinscena di Giselle. Una lectio magistralis e un invito che rinsalda il legame indissolubile tra la Fracci e il Pierimarini. Un rapporto allentatosi negli ultimi anni ma riaffermatosi con questo suo ritorno da regina nel “suo palazzo” e nella decisione della Scala di trasformare il foyer in camera ardente. Un onore mai tributato a nessun artista prima di lei.

Non solo, ma, quasi fosse scritto nel suo destino, la Fracci riesce anche a recarsi sul set di Carla, il film su di lei che la Rai manderà in onda in autunno, e a dispensare consigli e suggerimenti alla sua interprete, Alessandra Mastronardi.

La Fracci amava ripetere che la danza nasce da dentro, perché «si balla prima col cuore e con la testa», ma, con altrettanta convinzione, ribadiva che è fondamentale il costante lavoro sul corpo per raggiungere la perfezione e la bellezza. Questo il testamento di un’artista che ha fatto della propria vita un’opera d’arte e ci ha reso più ricchi e ancora di più legati al suo sempiterno ricordo.



 



Carla Fracci


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