Una scena del film
Sin
dalle prime inquadrature lo spettatore si ritrova sul palco di un club durante
un concerto di musica metal, frastornato e incantato da una roboante batteria
che riporta alla mente Whiplash (2014) di Damien Chazelle. Il percussionista
in azione è lex eroinomane Ruben Stone, interpretato da Riz Ahmed, leccezionale
protagonista della miniserie televisiva The Night Of (2016). Il giovane
conduce una vita su un camper – fra tour e incisioni di album – in compagnia della
cantante Louise (Olivia Cooke), quando da un momento allaltro si
ritrova a dover fare i conti prima con lacufene e poi con la progressiva
perdita delludito. La sua esistenza di vetro va in frantumi, facendolo
sprofondare in un angoscioso baratro. Lunica luce possibile per lui è rappresentata
dallingresso in una comunità di non udenti, “figli di un dio minore”, guidata
dal reduce Joe (Paul Raci), rimasto sordo in Vietnam in seguito allo
scoppio di una granata. Il protagonista inizia così il suo percorso di rinascita
e di riaffermazione, come chi impara per la prima volta a camminare, a
comunicare, a respirare.
Una scena del film
Il
titolo del film è di una disarmante genialità: è sia fuorviante – in quanto la
musica metal è presente solo in una manciata di minuti – sia evocativo, per lalternativa
traduzione di “suono metallico”, lo stesso che affligge Ruben in seguito alloperazione
chirurgica a cui si sottopone verso il finale. Lo spettatore non si limita a
sentire ma arriva a vivere tutti i suoni e tutti i rumori presenti nella testa
del batterista, in una vera e propria soggettiva (non visiva ma acustica). La
struttura narrativa risulta essere abbastanza lineare e prevedibile, senza
infamia e senza lode nel percorrere le classiche fasi di equilibrio iniziale,
rottura e creazione di una nuova stabilità, con una storia damore che funge da
humus. Tralasciando alcuni scambi di battute un po troppo didascalici (solitamente
presenti nelle opere prime), i punti di forza di Sound of Metal sono
retti dalla dialettica tra dramma e rinascita ma soprattutto dallimmersione
emotiva e sensoriale dello spettatore: perché descrivere una mancanza quando si
può farla vivere? Altro punto di forza è la discrezione complessiva degli
autori nel prevenire eccessi melodrammatici assumendo, al contrario, toni
sommessi, una dignità e un equilibrio che rendono il tutto più godibile e meno
esposto a forzature tipicamente hollywoodiane.
Una scena del film
La
perdita di un qualcosa di così importante, come appunto una facoltà sensoriale,
rappresenta in genere un vero e proprio lutto. Ruben percorrerà le cinque fasi
di elaborazione teorizzate dalla psichiatra Elisabeth Kübler Ross:
negazione, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione. Nella pellicola
questo iter è sorretto da un lavoro sul sonoro di eccelsa caratura e da una
regia non particolarmente originale ma capace di valorizzare la recitazione di
Ahmed nellira repressa e nelle sfuriate, nella vergogna sommessa di
frequentare lezioni con dei bambini e nella pazienza nel sottostare agli ordini
di Joe, pena la cacciata da quello che diventerà per il protagonista un locus amoenus. La comunità tenterà in tutti i modi di far comprendere a Ruben che
la sordità, innata o successiva che sia, non deve essere vissuta come un
handicap, come una deformità o come un qualcosa a cui porre rimedio. Il mantra
del gruppo è che la soluzione a tutto è solo nella propria testa. Ma lennesima
(e forse) irreversibile incrinatura avrà luogo quando il protagonista tenterà a
tutti i costi di compensare la privazione subita. Alla fine di tutto questo
percorso Ruben raggiungerà finalmente, in uno scioglimento memorabile, una
sorta di quiete bergmaniana: lagognato silenzio di Dio.