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Cammina coi lupi

di Giuseppe Mattia
  Wolfwalkers
Data di pubblicazione su web 13/04/2021  

Ecco la risposta europea alla supremazia statunitense. Ecco un film che ricorda a tutto il mondo che il cinema d’animazione ha avuto origine nel Vecchio Continente (si pensi a Fantasmagorie di Émile Cohl). Ecco un film che dona agli occhi quel piacere che si credeva perduto. Distribuito sulla recente piattaforma Apple TV+ e terzo titolo di un’ideale trilogia sulla mitologia ibernica – dopo The Secret of Kells (2009) e Song of the Sea (2014) – Wolfwalkers è l’ennesimo capolavoro sfornato dallo studio di produzione irlandese Cartoon Saloon. Scalpitante in vista dei premi Oscar 2021 – pronta a competere con i successi Disney/Pixar Soul (2020) e con il godibile Onward (2020) –, l’ultima fatica di Tomm Moore, coadiuvato alla regia da Ross Stewart, si conferma uno dei film più premiati, memorabili e apprezzati del 2020, dove folklore, religione e magia si fondono in un esito che ammalia, intrattiene e commuove.


Una scena del film

La vicenda ha luogo nel 1650 nella cattolica cittadina di Kilkenny – entroterra meridionale dell’Irlanda – un anno dopo la decapitazione del re Carlo I Stuart e tre anni prima della nomina a Lord Protettore del Commonwealth di Oliver Cromwell. La popolazione vive all’interno di una cinta muraria e mira a espandere i propri confini oltre la foresta confinante. La tristemente reiterata vicenda della città colonizzatrice che espropria terreni e stermina gli abitanti ribelli è un tema proposto al cinema in svariate occasioni, ad esempio con Pocahontas (1995) di Mike Gabriel e Eric Goldberg e con Avatar (2009) di James Cameron. Il bastone tra le ruote degli abitanti è rappresentato da una comunità di lupi guidata da due figure sovrannaturali, mitiche, pagane, le Wolfwalkers: una madre e una figlia capaci di curare le ferite, così come la fenice con le proprie lacrime. La protagonista è una bambina inglese di nome Robyn, orfana di madre, che si è trasferita nel villaggio col padre, incaricato di sterminare tutti coloro che ostacoleranno le mire espansionistiche del Lord Protettore, una sorta di Claude Frollo irlandese.

Una delle ferree regole che vigono a Kilkenny è che i bambini non devono varcare le mura della città. Proprio nel saggio Morfologia della fiaba (1928) di Vladimir Propp riscontriamo che una conditio sine qua non della fiaba sia proprio l’infrazione del divieto, che innesca conseguentemente tutti gli altri meccanismi e quindi una svolta fantasy. Robyn allora fugge alla ricerca di emozioni forti, asfissiata da quella realtà bigotta e conservatrice. Sulla sua strada incontra la coetanea Wolfwalker Mebh: due personalità incandescenti e agli antipodi per retroterra sociale e culturale che, in seguito a un evento fortuito, condivideranno la stessa natura, la stessa ricerca di indipendenza e lo stesso obiettivo: prevenire una strage.



Una scena del film

La contrapposizione tra il tessuto urbano (urbs) e il territorio rurale (pagus, dal quale deriva l’accezione di “pagano”) rappresenta non solo lo sfondo ma anche l’agente delle sfumature di tutte le vicende, dagli attacchi dei lupi ai contadini – riprese con un suggestivo obiettivo grandangolare – fino alla spedizione dei soldati e della popolazione per ridurre in cenere la foresta. Un chiaro indizio della volontà degli autori, nell’accentuazione delle disparità e delle differenze, risiede nell’utilizzo dei colori, più smorti e spigolosi per la città, più vividi e morbidi per la natura: una contrapposizione cromatica che ricorda quella tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti presente in capolavori dell’animazione come Corpse Bride (2005) di Mike Johnson e Tim Burton o in Coco (2017) di Lee Unkrich e Adrian Molina. Altre dicotomie presenti sono quelle tra l’accettazione del diverso e il voler prevaricare a tutti i costi e tra fede cattolica e paganesimo: da segnalare a tal proposito la citata figura di San Patrizio che secondo la leggenda, nel tentativo di evangelizzare e convertire le genti dell’allora Britannia romana, spiegò il concetto di Trinità utilizzando un trifoglio, da allora divenuto il simbolo del Paese.



Una scena del film

Ciò che più colpisce in quest’opera, al di là di tutte le riflessioni legate alla drammaturgia, sono sicuramente le musiche di Bruno Coulais – con la splendida interpretazione canora di Aurora con il brano Running with the Wolves – e le svariate tecniche di animazione tradizionali con la presenza di disegni (fatti a mano) di indicibile bellezza, che ricordano quelli presenti nei libri di favole, fatti con gli acquerelli. Sebbene le tavole del film potrebbero a prima vista apparire naïf, essenziali, grezze, con uno sguardo più in profondità si coglie il tentativo (più che riuscito) di amplificare la bellezza delle prospettive, delle ombreggiature, delle colorazioni e delle illuminazioni su un’impalcatura più bidimensionale che no. Insomma, traspare su tutti i livelli un vero e proprio attaccamento incondizionato alla natura dei luoghi riportati in vita, considerando il fatto che Moore è cresciuto proprio tra quei boschi e in quel corpus di racconti e di leggende antiche. Arriva anche allo spettatore quest’atto d’amore, questo richiamo al rispetto e all’accettazione del diverso. I colossi californiani stiano in guardia.



Wolfwalkers
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