Ecco
la risposta europea alla supremazia statunitense. Ecco un film che ricorda a
tutto il mondo che il cinema danimazione ha avuto origine nel Vecchio Continente
(si pensi a Fantasmagorie di Émile Cohl). Ecco un film che dona
agli occhi quel piacere che si credeva perduto. Distribuito sulla recente
piattaforma Apple TV+ e terzo titolo di unideale trilogia sulla
mitologia ibernica – dopo The Secret of Kells (2009) e Song of the Sea (2014) – Wolfwalkers è lennesimo capolavoro sfornato dallo
studio di produzione irlandese Cartoon Saloon. Scalpitante in vista dei premi
Oscar 2021 – pronta a competere con i successi Disney/Pixar Soul (2020) e
con il godibile Onward (2020) –, lultima fatica di Tomm Moore,
coadiuvato alla regia da Ross Stewart, si conferma uno dei film più premiati,
memorabili e apprezzati del 2020, dove folklore, religione e magia si fondono
in un esito che ammalia, intrattiene e commuove. La
vicenda ha luogo nel 1650 nella cattolica cittadina di Kilkenny – entroterra meridionale
dellIrlanda – un anno dopo la decapitazione del re Carlo I Stuart e tre
anni prima della nomina a Lord Protettore del Commonwealth di Oliver
Cromwell. La popolazione vive allinterno di una cinta muraria e mira a
espandere i propri confini oltre la foresta confinante. La tristemente
reiterata vicenda della città colonizzatrice che espropria terreni e stermina gli
abitanti ribelli è un tema proposto al cinema in svariate occasioni, ad esempio
con Pocahontas (1995) di Mike Gabriel e Eric Goldberg e
con Avatar (2009) di James Cameron. Il bastone tra le ruote degli
abitanti è rappresentato da una comunità di lupi guidata da due figure
sovrannaturali, mitiche, pagane, le Wolfwalkers: una madre e una figlia capaci
di curare le ferite, così come la fenice con le proprie lacrime. La
protagonista è una bambina inglese di nome Robyn, orfana di madre, che si è
trasferita nel villaggio col padre, incaricato di sterminare tutti coloro che ostacoleranno
le mire espansionistiche del Lord Protettore, una sorta di Claude Frollo
irlandese.
Una
delle ferree regole che vigono a Kilkenny è che i bambini non devono varcare le
mura della città. Proprio nel saggio Morfologia della fiaba (1928) di Vladimir
Propp riscontriamo che una conditio sine qua non della fiaba sia
proprio linfrazione del divieto, che innesca conseguentemente tutti gli altri
meccanismi e quindi una svolta fantasy. Robyn allora fugge alla ricerca
di emozioni forti, asfissiata da quella realtà bigotta e conservatrice. Sulla
sua strada incontra la coetanea Wolfwalker Mebh: due personalità incandescenti
e agli antipodi per retroterra sociale e culturale che, in seguito a un evento
fortuito, condivideranno la stessa natura, la stessa ricerca di indipendenza e
lo stesso obiettivo: prevenire una strage.
Una scena del film
La
contrapposizione tra il tessuto urbano (urbs) e il territorio rurale (pagus,
dal quale deriva laccezione di “pagano”) rappresenta non solo lo sfondo ma anche
lagente delle sfumature di tutte le vicende, dagli attacchi dei lupi ai
contadini – riprese con un suggestivo obiettivo grandangolare – fino alla
spedizione dei soldati e della popolazione per ridurre in cenere la foresta. Un
chiaro indizio della volontà degli autori, nellaccentuazione delle disparità e
delle differenze, risiede nellutilizzo dei colori, più smorti e spigolosi per
la città, più vividi e morbidi per la natura: una contrapposizione cromatica
che ricorda quella tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti presente in
capolavori dellanimazione come Corpse Bride (2005) di Mike Johnson
e Tim Burton o in Coco (2017) di Lee Unkrich e Adrian
Molina. Altre dicotomie presenti sono quelle tra laccettazione del diverso
e il voler prevaricare a tutti i costi e tra fede cattolica e paganesimo: da
segnalare a tal proposito la citata figura di San Patrizio che secondo la
leggenda, nel tentativo di evangelizzare e convertire le genti dellallora
Britannia romana, spiegò il concetto di Trinità utilizzando un trifoglio, da
allora divenuto il simbolo del Paese.
Una scena del film Ciò
che più colpisce in questopera, al di là di tutte le riflessioni legate alla
drammaturgia, sono sicuramente le musiche di Bruno Coulais – con la
splendida interpretazione canora di Aurora con il brano Running with the Wolves – e le svariate tecniche di animazione tradizionali con la
presenza di disegni (fatti a mano) di indicibile bellezza, che ricordano quelli
presenti nei libri di favole, fatti con gli acquerelli. Sebbene le tavole del
film potrebbero a prima vista apparire naïf, essenziali, grezze, con uno
sguardo più in profondità si coglie il tentativo (più che riuscito) di
amplificare la bellezza delle prospettive, delle ombreggiature, delle
colorazioni e delle illuminazioni su unimpalcatura più bidimensionale che no.
Insomma, traspare su tutti i livelli un vero e proprio attaccamento
incondizionato alla natura dei luoghi riportati in vita, considerando il fatto
che Moore è cresciuto proprio tra quei boschi e in quel corpus di
racconti e di leggende antiche. Arriva anche allo spettatore questatto
damore, questo richiamo al rispetto e allaccettazione del diverso. I colossi
californiani stiano in guardia.
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