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C'è del marcio in Danimarca

di Giuseppe Mattia
  Un altro giro
Data di pubblicazione su web 11/01/2021  

Mantenere un livello costante di lieve ubriachezza può portare benefici nella vita di tutti i giorni? Se sì, in che misura? Questi i quesiti alla base di Un altro giro del danese Thomas Vinterberg, co-sceneggiato insieme a Tobias Lindholm e prodotto dalla leggendaria casa di produzione Zentropa, fondata nel 1992 da Lars von Trier. Proprio con lui, tre anni dopo, Vinterberg redige il manifesto cinematografico Dogma 95, “inaugurato” con il suo film d’esordio Festen (1998). All’ultima edizione degli European Film Awards Un altro giro ha fatto incetta di premi aggiudicandosi quelli di Miglior Film, Miglior Regista, Miglior Sceneggiatura e di Miglior Attore a Mads Mikkelsen, che ha sbaragliato concorrenti del calibro di Elio Germano (Volevo nascondermi) e Luca Marinelli (Martin Eden). Agli ultimi premi Oscar si è aggiudicato invece il premio per il miglior film internazionale. La pellicola del cinquantunenne danese è un’elegante denuncia dell’impellente problematica dell’alcolismo (soprattutto tra i giovani) e insieme una riflessione sulla mancata stigmatizzazione del fenomeno da parte delle istituzioni.


Una scena del film

Quattro rispettabili professori di un liceo, in piena crisi di mezza età, vivono con difficoltà il rapporto con i propri studenti e con le rispettive situazioni familiari, tra insoddisfazione e depressione. Durante una cena decidono di mettere in atto un esperimento sulla base di una suggestiva teoria formulata dallo psichiatra Finn Skårderud secondo la quale l’essere umano nasce con un deficit di alcol nel sangue pari allo 0,05%: la loro “missione” sarà quella di bere costantemente per tutto il giorno fino alle otto di sera, annotando effetti e osservazioni in un vero e proprio studio accademico in tre fasi, sulla falsariga de Les Paradis artificiels (1860) di Baudelaire. I benefici non tardano ad arrivare: in maniera inversamente proporzionale aumenta la fiducia in loro stessi e diminuiscono l’imbarazzo, la timidezza e la frustrazione. In particolar modo, il film segue le vicende di Martin (Mikkelsen) – professore di Storia con un passato da ballerino di danza jazz – alle prese con la sua claudicante vita personale e professionale: in alcune scene iniziali la sua figura appare fuori fuoco, come invisibile di fronte ai propri figli. La parabola discendente dei protagonisti prenderà vita nella terza fase dell’esperimento, quando vorranno raggiungere il cosiddetto “punto di accensione”: una condizione irreversibile che porterà a risvolti tragici, ammiccando in maniera evidente a La grande abbuffata (1973) di Marco Ferreri.



Una scena del film

Sia l’incipit del film sia il titolo originale (Druk, “Ubriacarsi”) svelano l’intenzione da parte di Vinterberg di rappresentare il processo di abbruttimento dell’essere umano causato da sostanze psicotrope all’origine di comportamenti irrazionali e immorali. Se in apparenza l’alcol sembra la chiave per ottenere la serenità tanto agognata, man mano che il film procede emerge un livello più profondo, legato alla libertà di scegliere come vivere, nel bene o nel male, assumendosi le proprie responsabilità. Lo stesso regista ostenta la propria libertà creativa: dal vivace utilizzo della camera a spalla alla scelta delle musiche fino all’oscillazione (non sempre equilibrata) tra il registro comico, musicale, drammatico e grottesco (si veda la scena in cui uno dei protagonisti aiuta il proprio cane a urinare o quella in cui un adulto nel sonno urina nel proprio letto). Tra i punti critici ci sono alcune soluzioni narrative tendenti all’eccessiva semplificazione, come nel caso delle crisi coniugali o dell’ambiente lavorativo fin troppo permissivo.



Una scena del film

Nonostante qualche leggerezza drammaturgica, Un altro giro è intenso, fa riflettere, fa sorridere e fa commuovere, grazie soprattutto ai quattro attori protagonisti, sempre credibili e vividi nei loro drammi, nelle loro incertezze e nelle loro solitudini. Nel mezzo del cammin della loro vita si concedono una seconda giovinezza, una seconda possibilità lontano da responsabilità affettive e professionali. Il loro è un punto e a capo, “un altro giro”, riportando in vita passi di danza che si credevano perduti nei meandri della memoria.




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