Mantenere un livello costante di lieve ubriachezza può portare benefici nella vita di tutti i giorni? Se sì, in che misura? Questi i quesiti alla base di Un altro giro del danese Thomas Vinterberg, co-sceneggiato insieme a Tobias Lindholm e prodotto dalla leggendaria casa di produzione Zentropa, fondata nel 1992 da Lars von Trier. Proprio con lui, tre anni dopo, Vinterberg redige il manifesto cinematografico Dogma 95, “inaugurato” con il suo film desordio Festen (1998). Allultima edizione degli European Film Awards Un altro giro ha fatto incetta di premi aggiudicandosi quelli di Miglior Film, Miglior Regista, Miglior Sceneggiatura e di Miglior Attore a Mads Mikkelsen, che ha sbaragliato concorrenti del calibro di Elio Germano ( Volevo nascondermi) e Luca Marinelli ( Martin Eden). Agli ultimi premi Oscar si è aggiudicato invece il premio per il miglior film internazionale. La pellicola del cinquantunenne danese è unelegante denuncia dellimpellente problematica dellalcolismo (soprattutto tra i giovani) e insieme una riflessione sulla mancata stigmatizzazione del fenomeno da parte delle istituzioni. Quattro
rispettabili professori di un liceo, in piena crisi di mezza età, vivono con
difficoltà il rapporto con i propri studenti e con le rispettive situazioni
familiari, tra insoddisfazione e depressione. Durante una cena decidono di
mettere in atto un esperimento sulla base di una suggestiva teoria formulata
dallo psichiatra Finn Skårderud secondo la quale lessere umano nasce
con un deficit di alcol nel sangue pari allo 0,05%: la loro “missione”
sarà quella di bere costantemente per tutto il giorno fino alle otto di sera, annotando
effetti e osservazioni in un vero e proprio studio accademico in tre fasi,
sulla falsariga de Les Paradis artificiels (1860) di Baudelaire. I
benefici non tardano ad arrivare: in maniera inversamente proporzionale aumenta
la fiducia in loro stessi e diminuiscono limbarazzo, la timidezza e la
frustrazione. In particolar modo, il film segue le vicende di Martin (Mikkelsen)
– professore di Storia con un passato da ballerino di danza jazz – alle prese
con la sua claudicante vita personale e professionale: in alcune scene iniziali
la sua figura appare fuori fuoco, come invisibile di fronte ai propri figli. La
parabola discendente dei protagonisti prenderà vita nella terza fase
dellesperimento, quando vorranno raggiungere il cosiddetto “punto di
accensione”: una condizione irreversibile che porterà a risvolti tragici, ammiccando
in maniera evidente a La grande abbuffata (1973) di Marco Ferreri.
Una scena del film
Sia
lincipit del film sia il titolo originale (Druk, “Ubriacarsi”) svelano
lintenzione da parte di Vinterberg
di rappresentare il processo di abbruttimento dellessere umano causato da
sostanze psicotrope allorigine di comportamenti irrazionali e immorali. Se in apparenza
lalcol sembra la chiave per ottenere la serenità tanto agognata, man mano che
il film procede emerge un livello più profondo, legato alla libertà di
scegliere come vivere, nel bene o nel male, assumendosi le proprie
responsabilità. Lo stesso regista ostenta la propria libertà creativa: dal
vivace utilizzo della camera a spalla alla scelta delle musiche fino alloscillazione
(non sempre equilibrata) tra il registro comico, musicale, drammatico e
grottesco (si veda la scena in cui uno dei protagonisti aiuta il proprio cane a
urinare o quella in cui un adulto nel sonno urina nel proprio letto). Tra i
punti critici ci sono alcune soluzioni narrative tendenti alleccessiva
semplificazione, come nel caso delle crisi coniugali o dellambiente lavorativo
fin troppo permissivo.
Una scena del film Nonostante
qualche leggerezza drammaturgica, Un altro giro è intenso, fa
riflettere, fa sorridere e fa commuovere, grazie soprattutto ai quattro attori protagonisti,
sempre credibili e vividi nei loro drammi, nelle loro incertezze e nelle loro
solitudini. Nel mezzo del cammin della loro vita si concedono una seconda
giovinezza, una seconda possibilità lontano da responsabilità affettive e
professionali. Il loro è un punto e a capo, “un altro giro”, riportando in vita
passi di danza che si credevano perduti nei meandri della memoria.
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