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«La vita è terribile e tiene pure il senso dell’umorismo»

di Nicola Rakdej
  5 è il numero perfetto
Data di pubblicazione su web 03/09/2019  

Non è comune che un fumettista abbia il pieno controllo della trasposizione cinematografica di una sua opera. Rispetto a Hollywood, la situazione italiana è ancora molto incerta: da una parte non esiste più una programmazione sistematica del cinema di genere, almeno non come in passato; dall’altra è più probabile che un autore “esterno” si ispiri all’estetica fumettistica. È il caso di alcuni film usciti di recente: dal personalissimo Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti (2016) all’esperimento supereroistico de Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores (2014), arrivando anche ai musicali estremismi pop dei Manetti Brothers (Song ‘e Napule e Ammore e Malavita, senza contare il nuovo adattamento di Diabolik di prossima uscita). Né si può non far riferimento all’errore madornale compiuto da La profezia dell’armadillo: in concorso nella sezione Orizzonti della 75° Mostra di Venezia, il film di Emanuele Scaringi non annoverava tra i suoi realizzatori (Z)erocalcare, autore della graphic novel di partenza (ridicola la sequenza iniziale in animazione che cerca di riprendere il tratto del fumettista di Rebibbia). Così, l’arrivo nelle sale di 5 è il numero perfetto non può che entusiasmare, considerando che è stato diretto da quell’Igor Tuveri (in arte Igort) che nel 2002 pubblicò l’omonimo fumetto; un rarissimo esempio italiano di un autore che moltiplica sé stesso col passaggio dalla carta alla “celluloide”.

Peppino Lo Cicero (Toni Servillo) è un sicario della camorra in pensione. L’unica cosa di cui si preoccupa è il giovane figlio Nino (Lorenzo Lancellotti), anch’egli camorrista. Per quanto lo abbia preparato alla vita criminale, tra peperonate e pistole in regalo («l’uomo non è come mangia o caca, ma come uccide»), Nino muore tragicamente durante la sua prima missione. In cerca di vendetta, Peppino si riunisce con la vecchia squadra di amici: Totò o’ Macellaio (Carlo Buccirosso) e la (mala)femmena Rita (Valeria Golino). Scendendo nei meandri della plumbea Napoli degli anni Settanta, l’ex sicario è costretto a tornare per un’ultima battuta di caccia, per allontanare i fantasmi del passato sanguinario e del presente “tradito”, andando a colpire nel cuore dell’organizzazione cui ha dedicato l’intera vita.

Una scena del film
Una scena del film
© Biennale Cinema 2019

«Gli americani non hanno mai capito un cazzo» viene detto verso la metà del film in merito alle differenze con i fumetti italiani dell’epoca. Se negli Stati Uniti avevano successo gli albi a fumetto con al centro un eroe (ad esempio L’Uomo Gatto, il preferito di Nino), l’Italia era invece affascinata dai criminali quali l’elegante ladro Diabolik o la figlia di un gangster Zakimort. In questa attitudine alla citazione e alla transmedialità, come a rivendicare un primato sul postmoderno rispetto agli States, il regista trova il modo di donare all’altra vera protagonista, Napoli, lo statuto di un pastiche dalle mille sfumature, continuando un discorso sull’odierno pulp partenopeo portato all’attenzione nazionale dai sopracitati Manetti Bros. e dall’animazione “d’autore” di Alessandro Rak (in primis, lo splendido Gatta Cenerentola, 2017). Per la sua Storia e per le storie che la compongono, il capoluogo campano è rappresentato come un porto crepuscolare e piovigginoso, una comoda culla alla fine del mondo creata per quelle anime che si sono perse alla ricerca del tempo che fu e nella fatica di rianimarlo. Peppino è una di queste («ho vissuto la vita come quando bevi un liquore troppo forte: lo tiri giù, ti dà la botta, ma non ti ricordi il gusto»), dal momento che si è premurato di trasmettere la sua “senile” saggezza in eredità al figlio. Ma quando poi quel lascito si disperde «come un ricordo sbiadito» (o «come lacrime nella pioggia», per dirla con l’onnipresente Blade Runner), è lì che si ritrova a ripensare a tutto quello che ha fatto, a vedere le cose da una prospettiva totalmente differente, a dubitare persino di chi ha (o ha avuto) più vicino. Solo così può comprendere il senso della frase che più lo tormenta, «5 è il numero perfetto», un modo di dire usato per sottolineare l’importanza di ogni essere umano in quanto tale (due braccia, due gambe e una testa) e non in quanto prodotto telecomandabile di una società arcaica e assoggettante (basti pensare alla struttura piramidale delle organizzazioni criminali). E il merito di tale ricchezza narrativa va all’interpretazione sentita di Toni Servillo, nascosto dietro un naso prostetico e un’attitudine nichilista che deriva inevitabilmente dal suo intramontabile Jeb Gambardella (La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino).

Una scena del film
Una scena del film
© Biennale Cinema 2019

Nonostante tutto, Igort non può prescindere da un certo tipo di immaginario d’oltreoceano; lo dimostrano gli astratti, jazzati titoli d’apertura, le cui geometrie ricordano quelle dell’iconico Saul Bass e dei suoi lavori con Alfred Hitchcock. È il pulp a richiedere un certo tipo di costruzione estetica, soprattutto se lo si intende come un’esagerazione dei canoni noir. Mentre la graphic novel è caratterizzata dalla semplicità della linea, al cinema la storia di Peppino si costruisce con ripetuti split screen, effetti chiaroscurali, lunghe ombre, riflessi ambigui, illuminazione fioca, personaggi che corrono sul sottile filo che separa il Bene e il Male (spesso i volti sono mostrati in penombra, cosa tipica del genere fin dalle origini). Inoltre è innegabile anche un certo debito in filigrana nei confronti dei rivoluzionari Sin City (2005) e Sin City - Una donna per cui uccidere (2014), i due film diretti da Frank Miller in collaborazione con Robert Rodriguez (altro raro caso in cui il regista è anche l’autore del fumetto): esemplificativa è la sequenza citazionistica in cui una sparatoria al buio è visibile solo grazie alle scintille provocate dai proiettili. 

Presentato nelle Giornate degli Autori alla 76° Mostra di Venezia, 5 è il numero perfetto è una chiara espressione del grande potenziale di un cinema italiano di genere che, se sfruttato al massimo, può raggiungere risultati sorprendenti. Ma a monte sono richieste idee coraggiose da perseguire e rispettose linee produttive, come quella di lasciare che sia un fumettista a donare alle proprie immagini “immobili su carta” il magico potere del movimento.



5 è il numero perfetto
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La locandina del film
La locandina del film



 
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