Finalmente
approda al Lido, come una boccata daria fresca, lo scorretto, scorrettissimo
film dei Manetti Brothers, i
fratelli Marco e Antonio che incuneano il loro sberleffo musicale tra lagguerrita
falange dei soggetti migratori e quella non meno numerosa delle problematiche
fine vita di un Occidente che, se il cinema è lo specchio della vita, non se la
passa benissimo. Con unesperienza ormai lunga di produzione web, di regie televisive (il cult Lispettore Coliandro), dopo Zora la Vampira (2000) il film Songe Napuli ha messo daccordo critica
e pubblico, aprendo la strada alla rivisitazione scanzonata e colta della
cultura melodica (e non solo) della città artistica di adozione, Napule,
appunto. Seconda tappa nella rivisitazione della cultura popolare partenopea Ammore e malavita resuscita e omaggia il
genere principe della cultura musicale napoletana, quella sceneggiata tanto
cara al pubblico e tanto sbeffeggiata dalla cultura alta.
Una scena del film
Poiché i fratelli Manetti non risparmiano
nessuno, lobiettivo nel mirino potrebbe essere lattuale dilagante gomorrismo
alla cui derisione la sceneggiata si attaglia perfettamente. Don Vincenzo o re
do pesce (Carlo Buccirosso) e la
bella moglie più camorrista di lui (Claudia Gerini) decidono di sparire dalla
città per godersi la meritata pensione ai Caraibi: la finta morte del boss
placherà ogni rischio di vendetta delle bande rivali. Qualcosa però va storto e
lingenua infermiera Fatima (Serena Rossi) si trova al posto sbagliato nel momento
sbagliato. Rosario e Ciro (il fedelissimo dei Manetti Giampaolo Morelli, più noto come Coliandro), le “tigri” feroci del
boss, tutti moto rombanti e caschi integrali, dovranno rimettere le cose a
posto e farla fuori. Ma sarà il destino che rimetterà le cose a posto, con la
prevedibile agnizione (Fatima è stata il primo mai dimenticato amore) e la
messa a punto di una strategia di salvezza.
Una scena del film
Che
puntualmente si verificherà tra ammazzamenti, sparatorie, inseguimenti e canti.
Soprattutto canti, a sottolineare lassoluto straniamento della vicenda e le
immortali potenzialità della cultura “popolare” quando ben maneggiata, come a
suo tempo fatto da Roberta Torre
che, proprio a Venezia, con il musical sulla mafia Tano da Morire (1997) aveva già mostrato come i demoni possono
essere scacciati ridendo e cantando. Napulè
anche questo.
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