Non
sempre si può dire “buona la seconda”.
Roy
Andersson, pluripremiato regista svedese, ha ottenuto inspiegabilmente il
Premio alle regia a Venezia nel 2019, dopo che nel 2014 con
En
duva satt pa en gren och funderade pa tillvaron (
Un piccione seduto su un ramo
riflette sullesistenza) incantò la giuria. Vinse il Leone doro con la sua
deliziosa, ironica, e profonda, meditazione esistenziale. In questa sua ultima fatica quel tocco sembra perduto.
Sulla infinitezza (
Om det oandliga) nel titolo rimanda
non per caso alla meditazione di
Lucrezio
sulla natura delle cose (
De rerum natura)
addirittura dandole un respiro cosmico. Ma la lodevole leggerezza con cui sceglie
gli esempi di questa riflessione si trasforma spesso in pura casualità: un
episodio (ma forse è quasi il caso di parlare di
sketch) vale laltro e anche i rimandi interni valgono come il loro
contrario.
Quasi che più che di sé stesso e dei filosofi che infelicitano la vita voglia prendersi gioco dello spettatore. E anche il fil rouge della ricorrente presenza religiosa (con lapertura di una grottesca Via Crucis e la presenza ricorrente di un prete che soffre per la perdita della fede) pare ridursi al piacere dello spiazzamento ironico destinato a sorprendere. Roy Andersson è ultrasettantenne. Come gli anziani intelligenti ama e apprezza la vita e da tempo ha capito che il senso dellumorismo è làncora di salvezza. In certi momenti del film però il sorriso disincantato del pluripremiato esperto della vita, più che da una seria riflessione sullesistenza, pare essere ispirato dalla demenziale serie televisiva LOL.