Anche Alberto Sironi, il
regista di Montalbano, se nè andato, a pochi giorni di distanza da Andrea Camilleri, nella ricorrenza del ventennale della fortunata serie
televisiva. Era nato a Busto Arsizio il 5 agosto 1940 e si è spento ad Assisi nel
giorno del suo compleanno, il 5 agosto 2019. Come Camilleri, anche Sironi aveva
avuto una formazione teatrale, abbandonando gli studi di architettura per
frequentare la scuola del Piccolo Teatro di Milano a metà degli anni Sessanta e
divenire assistente di Giorgio Strehler.
Ed è al Piccolo che vide per la prima volta Camilleri, venuto a intervistare il
regista. È lo stesso Sironi a raccontarlo nella
testimonianza contenuta nel numero monografico, Camilleri sono, della rivista «MicroMega» (5, 2018), una miniera di
informazioni per gli amanti di Camilleri in generale e di Montalbano in
particolare: «Ricordo che quello che mi colpiva nelle loro conversazioni era
proprio questo altissimo livello culturale. Strehler era un pozzo di conoscenza
in fatto di teatro, aveva un sapere di tipo universitario su questi temi e ci
faceva lavorare in maniera molto profonda e seria, mentre purtroppo su di lui
cè unaneddotica troppo spesso stupida, che tende a sminuirne la grandezza.
Quando parlava con Camilleri era evidente che si capivano, che avevano entrambi
una grande cultura teatrale e una profondità rara nellaffrontare questi temi».
Negli anni Settanta prese a collaborare con la Rai, ma del teatro
conservò la scaramanzia. In una libreria di Palermo simbatté in due volumetti
di Camilleri appena pubblicati da Sellerio, La
forma dellacqua e La voce del
violino. Gli piacquero al punto che, girando il film Una sola debole voce, ne mise uno in mano al bambino che lo leggeva
prima di dormire. Un suo sistema propiziatorio: nella serie del Commissario Corso chiamò Fausto il
figlio di Diego Abatantuono e
puntuale venne il desiderato film su Fausto
Coppi. Anche questa volta funzionò perché, passato qualche tempo, arrivò la
chiamata di Carlo Degli Esposti,
produttore della Palomar, che gli affidava la regìa de Il ladro di merendine, primo episodio della fortunata e longeva
serie degli sceneggiati televisivi del Commissario
Montalbano, lunico in grado di contendere al Maigret di Gino Cervi il titolo di commissario più
amato dagli italiani. Solo la malattia ha impedito a Sironi di portare a
termine il trentesimo episodio affidandone gli ultimi ciak a Zingaretti; del
resto, era stato proprio lui a sceglierlo quale protagonista dopo il bellissimo
provino.
Degli Esposti, invece, era arrivato a Montalbano grazie a Elvira Sellerio, che era andato a
salutare passando da Palermo: «Ho
appena pubblicato questi due libri, leggili perché sono convinta che siano un
prodotto televisivo pazzesco». Era così Elvira Sellerio; chi la incontrava non
poteva che esserne affascinato: «Passare dal suo ufficio, sentirla dialogare
con i suoi autori era bellissimo. Ricordo con grande affetto e nostalgia gli
aperitivi nel suo piccolo ufficio a Palermo, un crocevia letterario, etico e
politico che non esiste in nessun altro luogo. Aveva la capacità di mettere
insieme persone molto diverse fra loro, di incuriosirsi di figure anche molto
lontane da lei».
Sironi, profondo conoscitore di letteratura giallistica, dei romanzi
di Montalbano apprezzava il taglio diverso, più interessato alle atmosfere e al
carattere dei personaggi che non allintreccio poliziesco. Al primo incontro
con Degli Esposti gli propose di girare con una pellicola da 35 mm, anziché da
16, come si era soliti fare per la televisione: malgrado la scelta comportasse
una sensibile differenza di costi, il produttore accettò senza difficoltà. Può
apparire un dettaglio tecnico, ma si rivelò una decisione lungimirante, perché
se oggi possiamo rivedere in dvd i Montalbano dantan con la nitidezza del digitale è grazie alla qualità
cinematografica del 35 mm.
Venne poi il momento dei sopralluoghi in Sicilia, effettuati in
contemporanea, ma separatamente, dal regista e dallo scenografo Luciano Ricceri, alla ricerca della
giusta ambientazione. Camilleri avrebbe voluto Porto Empedocle, ma il paesaggio
della sua infanzia era molto mutato e non solo per effetto della memoria. Lo
erano molto meno Ragusa e la sua Marina e altri luoghi del ragusano, ed ecco
allora configurarsi quel puzzle, inventato da Ricceri, che è il «paesaggio di Montalbano». Un
paesaggio metafisico e al tempo stesso reale, frammentato ma in grado di
ricomporsi in un tutto unitario come soltanto nella finzione cinematografica
accade; un luogo dove non sono troppe le automobili e Montalbano può ancora
aggirarsi per vie semideserte, ferme nel tempo, senza insegne commerciali, un
po come in certi film western. Non fu difficile, mediante lalbum fotografico
delle ispezioni sul territorio dello scenografo, ingannare o, forse, persuadere
lo scrittore. Nacque così il mondo di Montalbano e la sua casa affacciata sulla
battigia, appartenente a una nobile famiglia ragusana: «Della casa, che poi
scegliemmo, lelemento che stregò sia me sia Luciano Ricceri è la balaustra
della terrazzina, che è come un piccolo sipario teatrale sul mare. Siccome
nelle storie di Camilleri cè un po di teatro, cè un modo di raccontare molto
teatrale, sia nei dialoghi sia in certi luoghi mitologici del commissario,
decidemmo che sarebbe stata quella la casa di Montalbano. Una balaustra sul
mare con davanti il sole che tramonta… è difficile trovare qualcosa di più
vicino al mito!».
La scelta di un Montalbano giovane – distante dal commissario Ingravallo
di Pietro Germi di Un maledetto imbroglio (da Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda)
– che aveva in mente Camilleri quando creò il suo commissario, ebbe come
diretta conseguenza il ringiovanimento dellintero commissariato di Vigàta, a
partire dal giovanissimo Fazio di Peppino
Mazzotta sino al Mimì Augello di Cesare
Bocci. Personaggi che abbiamo visto cambiare, maturare nel carattere col
passare degli anni, invecchiare nei volti degli interpreti, realizzando così il
sogno di Truffaut di seguire con la
cinepresa lo scorrere del tempo e fissare i volti degli attori che amava. Ma
non sono solo i protagonisti, bensì è lintera squadra che produce la serie
televisiva a rimanere invariata: dal regista al produttore, dallo scenografo al
musicista Franco Piersanti, autore
delle colonne sonore, salvo pochi cambiamenti tra i tecnici. Anche in questo Il commissario Montalbano, con i suoi
venti anni di vita, costituisce un caso unico di affezione dei suoi artefici e del
suo pubblico.
Ed è proprio in forza del suo successo che è riuscito a resistere
ai condizionamenti della politica televisiva, che talvolta lavrebbe voluto
meno scomodo, slegato dallattualità, più corrivo con i presunti gusti di un
pubblico spesso sottostimato. Perché Montalbano
è la dimostrazione che la qualità premia. La panoramica dallalto, ripresa
dallelicottero, che a ogni nuovo episodio cala la fantasia dello spettatore
televisivo in un mondo divenuto a lui familiare, luso accorto dei primi piani,
la ripresa accurata degli ambienti in cui si muovono i personaggi – palazzi un
tempo fastosi e oggi un po delabré,
quasi case museo, conservate nei loro arredi, come afferma Sironi di averne
viste solo in Inghilterra –, lassenza di violenza, di sparatorie e
inseguimenti sono solo alcuni degli ingredienti del Commissario Montalbano televisivo. E poi il linguaggio, quel
vigatese inventato, allinizio così temuto dai funzionari della Rai, frutto di
un compromesso tra la lingua letteraria di Camilleri e litaliano colorito di
inflessioni dialettali, apprezzato dal pubblico al punto di adottarne alcune
espressioni ormai proverbiali.
Ma il teatro torna ad affacciarsi a ogni svolta del racconto di
Sironi, sia per il casting – perlopiù
effettuato a Catania, dove tuttora esiste una cultura teatrale che risale ai
tempi di Giovanni Grasso – sia che
si parli di costumi: «Per
quel che riguarda i costumi, – dichiarava Sironi – sono
stato certamente influenzato dalla mia lunga esperienza teatrale. In teatro
lattenzione e la cura con cui si gestiscono i costumi è molto significativa,
anche perché sono pochi e il personaggio è quasi sempre connotato con uno o due
abiti di scena. Così ho cercato di portare lo stesso tipo di atteggiamento
anche nel mio lavoro televisivo. Negli ultimi anni, con la costumista Chiara Ferrantini, siamo arrivati a una
tipicizzazione dei personaggi davvero molto precisa e ormai ci capiamo al volo».
Si
danno le affinità elettive; esiste, forse, un nume, che presiede agli incontri
fondamentali delle nostre vite; certo non è difficile immaginare che, se
Camilleri e Sironi dovessero ritrovarsi, parlerebbero ancora di teatro e
stavolta sarebbe il giovane assistente di Strehler a condurre lintervista.
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