Un
grande punto interrogativo. La sensazione con cui si esce dallultima Ariadne auf Naxos della Scala è questa:
la perplessità. A cui si unisce una vena di amarezza. È incomprensibile che un teatro
come la Scala abbia deciso di affidare una regia a Frederic Wake-Walker dopo i ben poco lusinghieri risultati delle Nozze di Figaro del 2016 (salutate da
alcuni critici come uno dei peggiori spettacoli degli ultimi decenni), e quelli
appena appena sufficienti della Finta
giardiniera dellautunno scorso.Le premesse non erano buone: dispiace dirlo,
sono state confermate. Wake-Walker è un regista giovane che, anche proprio per
questioni generazionali, non si accontenta di mettere in scena lopera seguendo
il libretto. Qui cominciano i problemi. Sì, perché le regie cosiddette “creative”
vanno benissimo, e ci mancherebbe, ma presuppongono un lavoro approfondito
sulle opere, e richiedono di essere portate a compimento con coerenza e
convinzione. Realizzare uno spettacolo attenendosi alle indicazioni fornite dai
testi non esime certo da un impegno serio con la messinscena, ma almeno solleva
il regista dallavere un Konzept originale a tutti i costi. Certo, oggi la gloria non arriva con un allestimento
per così dire “di servizio”. Però se il Konzept non cè, o non è “forte”, o non è in qualche modo evidente, il pericolo è il
fiasco clamoroso o, come in questo caso, la noia, cui segue la citata amarezza per
loccasione mancata.
Un momento dello spettacolo © Marco Brescia & Rudy Amisano
Che
cosa si è visto nello spettacolo di Wake-Walker? Il sipario del Prologo si apre
su quella che sembra la grande sala da ballo di un imponente palazzo rococò,
con grandi lampadari di cristallo e una enorme scalinata nel fondo. In questo
interno sostano, però, le roulottes
(sì, avete letto bene) dove alloggiano le due compagnie responsabili dello
spettacolo che seguirà, l“Opera” Ariadne
auf Naxos (scene e costumi di Jamie
Vartan). Come per la scenografia, i costumi mescolano Settecento (il periodo
in cui il Prologo si svolge) e varie incursioni di “modernità”: il Maestro di
musica veste come un docente di composizione degli anni Ottanta; il Compositore
indossa stivaletti di camoscio e leggings,
ma con sopra una giacca settecentesca in seta azzurra; il Maestro di ballo è
una replica di Michel Serrault nel Vizietto; le tre Maschere hanno camicie
dorate aperte sul petto come i Camaleonti; Zerbinetta veste una maxi-maglia
(anche lei anni Ottanta come il Maestro di musica); il Parrucchiere è un
parrucchiere di oggi.
Dal
punto di vista visivo è un belleffetto, ma poi? Poi tutto prosegue come se
questi costumi e questi riferimenti temporali diversi non ci fossero. Non viene
fuori niente di interessante, anzi quasi niente in senso assoluto dallaver
messo insieme così tante epoche, diversi stili e livelli di cultura: salvo
forse il Maestro di ballo, i personaggi si muovono e interagiscono come se
vestissero costumi convenzionali e le roulottes
non ci fossero. Inoltre gli interpreti sembrano smarrirsi nello spazio ampio
della scena, in cui le azioni si disperdono senza che sia sempre chiaro quale
sia il centro dove indirizzare lattenzione. Oltretutto questo spazio è di
ostacolo alle voci che, tranne nel caso di Markus
Werba (il Maestro di musica), faticano a superare unorchestra di trentasei
elementi (tanti ne conta lAriadne).
NellOpera
le cose non migliorano. Alla fine del Prologo si vedono la Primadonna, il
Tenore, Zerbinetta, le Maschere e le tre Ninfe pronti con i costumi per andare
in scena. Ma, sorpresa!, quando poi inizia lOpera i costumi sono diversi,
senza che il regista ce ne faccia intendere la ragione. Peraltro i nuovi
costumi sono molto meno “teatrali” dei precedenti, quando invece dovrebbero
esserlo di più (e numerosi restano i punti interrogativi). Qualche esempio: i
“Camaleonti” lasciano il posto a quattro guappi vestiti di colori sgargianti,
ma questi sono meno icastici rispetto a quelli dellatto precedente; Zerbinetta
passa da trucco, vestito e parrucco in stile Liza Minnelli in Cabaret
a un abitino nero da cocktail qualsiasi, che certo non aiuta Sabine Devieilhe nel dare lo spessore
interpretativo e lo humor necessari
al personaggio.
Un momento dello spettacolo © Marco Brescia & Rudy Amisano NellOpera la scena riproduce linterno di quello che sembra uno studio radiofonico, con una sorta di cabina di regia soprelevata. Il mare è realizzato con pannelli che ricordano quelli di una stanza anecoica rovesciati allinsù; al centro cè una piattaforma su cui è sistemata Ariadne. Allarrivo di Bacco si apre il fondo e torna a vedersi la scalinata del Prologo, dove il dio salirà con Ariadne durante il duetto finale, illuminati dalle proiezioni di un cielo stellato. La scena adesso scioglie i “problemi acustici” dellatto iniziale, ma è lunica nota positiva. La personenregie dei cantanti è assente. Non solo, ma quanto accade in scena è a volte inspiegabile. Ariadne, per esempio, sparisce senza un motivo o una conseguenza drammatico-interpretativa evidenti prima ancora che Zerbinetta inizi a spiegarle nella sua grande aria di bravura i vantaggi della leggerezza in amore; le Ninfe allinizio dellopera sono ammassate in un angolo facendosi ombra a vicenda, quando ci sarebbe tutto il palcoscenico vuoto a disposizione; le proiezioni “stellari” iniziano appena si annuncia larrivo di Bacco, depotenziando così leffetto del fuoco dartificio finale sul crescendo dellorchestra e delle voci alla fine dellOpera.
Dal
punto di vista musicale le cose vanno di poco meglio. Franz Welser-Möst è uno specialista di Strauss (alla Scala tornerà a novembre per Die Ägyptische Helena) e ha una carriera importante. Non ha la fama
di essere un direttore “travolgente”: come ci si aspettava, la sua è stata una
direzione di routine: corretta, ma
poco più. Lintroduzione orchestrale del Prologo – sfilacciata e incolore – ha
fatto temere per il prosieguo della rappresentazione. Così non è stato, per
fortuna, e nellOpera poi Welser-Möst ha ottenuto dallorchestra anche qualche
interessante effetto coloristico.
Un momento dello spettacolo © Marco Brescia & Rudy Amisano
Della compagnia di canto in pochi sono degni di menzione. In primo luogo lottimo Markus Werba, lunico, come dicevo, che non ha sofferto limpianto scenico inutilmente ampio. In un ruolo come il Maestro di musica, di fatto quasi solo “recitativo”, Werba si dimostra esperto dicitore, sempre però con attenzione alla bellezza della linea vocale e dei colori. Di grande livello poi lAriadne di Krassimira Stoyanova. La sua voce non è notevole e nel Prologo è tra quelle un po più penalizzate dalla scenografia. Ma poco importa. Stoyanova è sia attrice sia musicista di grande intelligenza interpretativa. Le sue qualità musicali emergono, come era prevedibile, nellOpera dove si impone per il fraseggio curatissimo ed espressivo anche nelle tessiture faticose del lungo duetto finale. Sabine Devieilhe (Zerbinetta) ha tutta lagilità necessaria per uno dei ruoli più virtuosistici del repertorio operistico, ed è uninterprete interessante. La voce è però davvero piccola; gli acuti e i sopracuti, per quanto sicuri e intonati, non arrivano, si perdono in una sala come quella del Piermarini, e alla fine il personaggio non fa leffetto che dovrebbe (alla cantante, di conseguenza, non sono andati gli applausi che pure in parte avrebbe meritato). Corretto Michael Koenig come Bacco (già sentito alla Scala in un poco entusiasmante Der Freischütz nel 2017). Certo, il ruolo è uno dei più ingrati mai scritti per un tenore, e Koenig esegue tutto come richiesto, cosa già di per sé lodevole. Cè però una patina di uniformità nel suo fraseggio e il registro acuto manca di splendore: il confronto con lAriadne di Stoyanova non è purtroppo a suo vantaggio. Sbiadito il Compositore di Daniela Sindram, forse lelemento più debole tra gli esecutori principali. Nella media il resto del cast, con una menzione molto positiva per il Brighella di Pavel Kolgatin. Molto bravo Alexander Pereira nei panni del Maggiordomo, recitato con un perfetto accento viennese, come il ruolo domanda. Alla recita del 28 aprile scorso gli applausi non sono stati particolarmente convinti, ma hanno giustamente premiato Werba e Stoyanova.
Spettacolo visto il 28 aprile 2019 al Teatro alla Scala di Milano.
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