Sbarca sulla piattaforma Netflix The Ballad of Buster Scruggs dei fratelli Coen. Il progetto, inizialmente annunciato come loro prima miniserie Netflix, è stato poi “riconvertito” in quello che dovrebbe essere un film western in sei episodi, tenuti insieme dallesile (quanto banale) pretesto di essere tutti tratti da un fantomatico libro di racconti che si apre allinizio e si chiude alla fine della pellicola.
Le storie di The Ballad attraversano (anche fisicamente) i luoghi comuni del genere (tanto che il film si apre con uninquadratura della Monument Valley): il pistolero (nellepisodio in titolo), il delinquente sfortunato ( Near Algodones, con un autoironico James Franco), limpresario di spettacoli itineranti che vive di espedienti ( Meal Ticket, con un pacato e crudele Liam Neeson), il vecchio cercatore doro (un irriconoscibile Tom Waits in All Gold Canyon), la carovana verso lovest con la ragazza che rimane da sola e larrivo degli indiani ( The Gal Who Got Rattled), il viaggio in diligenza e i cacciatori di taglie ( The Mortal Remains). Il tutto pervaso da un umorismo sadico con un retrogusto noirche si rivolge più ad Allan Poe che al vecchio West e che apre a una loro indefinita serializzazione. Quello che resta è una visione che, per quanto possa rivelarsi piacevole e divertente, purtroppo ha poco a che fare con il cinema, non solo con il “vecchio” cinema da sala ma anche con quello straight-to-streaming di cui Roma e Sulla mia pelle (per rimanere a Venezia 75) sono a loro modo due casi esemplari.
Una scena del film © Biennale Cinema 2018
Non cè dubbio che i fratelli Coen sappiano scrivere storie e siano riusciti a creare un immaginario collettivo plurigenerazionale (dal primo Blood Simple a Non è un paese per vecchi, passando per Fargo e Il grande Lebowski); come non cè dubbio che conoscano bene la distanza tra cinema e serialità (basta vedere la ridefinizione totale proprio del loroFargonella serie televisiva che producono dal 2014). Loccasione di girare una serie per una piattaforma streaming come Netflix (oltretutto dopo film non proprio memorabili) si è rivelata per i due registi un modo per riflettere sulla struttura di questo nuovo tipo di testo, diverso da quello televisivo poiché non più soggetto ad alcune sue regole soffocanti quanto ineludibili (ad esempio la durata e la programmazione di inserti pubblicitari). In questo senso lo streaming affranca gli autori da vincoli di palinsesto, da strutture, scansioni e ritmi narrativi preordinati, lasciandoli formalmente liberi di sperimentare episodi con durate variabili e narrazioni più fluide ed eterogenee. Siamo più vicini allarte del cortometraggio, se non fosse per il rispetto delle macro regole della serialità, ovvero la “gabbia” tematica e di genere.
Una scena del film © Biennale Cinema 2018
Per questo The Ballad of Buster Scruggs è un ottimo esempio di neoserie post televisiva, con episodi di lunghezza variabile, girati, fotografati, montati e perfino recitati in modo diverso, ma con un mood costante che si trasferisce da un episodio allaltro anche nelle aspettative dello spettatore. Tutto è già talmente canonico che nel primo episodio Tim Blake Nelson, magistrale pistolero canterino, si rivolge costantemente verso la macchina da presa in un monologo continuo verso lo “spettatore” (attenzione, non più il “pubblico”!). Un espediente che serve a introdurlo alla serie e a spingerlo alla visione delle puntate che verranno. Tra laltro con un finale che, se sui monitor dei PC può far sorridere, sul grande schermo è al limite della sopportabilità.
|