Capita non di rado che dopo un buon rodaggio dei propri strumenti espressivi, e dopo che questi sono stati riconosciuti ed apprezzati, un autore tenti un salto che lo snatura e ne rende evidenti anche le precedenti fragilità. Quello che successe qualche anno fa al promettentissimo Abdellatif Kechiche che dopo il congeniale e premiatissimo Cous cous intruppò nella presunzione storico antropologica del processo allintero occidente con le sue pseudoscienze coloniali con La venere nera succede, seppur con minor presunzione a Rachid Bouchareb. Dopo la bella (e secondo noi sottovalutata prova di London River, presentato a suo tempo al festival berlinese) il regista si allarga ora, con un cast a maggioranza stelle e strisce, nella rivisitazione di un classico total french come Deux hommes dans la ville di Josè Giovanni.
La storia di allora non viene troppo mutata e vede un condannato per omicidio uscire dal carcere e tentare, con laiuto di un uomo di legge, la via della redenzione; via lastricata di lacrime e sangue ma soprattutto coronata di spine da un sempre più implacabile ispettore di polizia che, convinto della irredimibilità del condannato, lo perseguita e lo opprime rendendo vano ogni suo sforzo di riabilitazione e conducendolo fatalmente ad una nuova dannazione. Nellopera di Giovanni, classico noir francese tutto tenuto sulla corda morale della riflessione sulla giustizia, erano Jean Gabin (nel ruolo del commissario), Alain Delon (il criminale redimendo) e Michel Bouquet (il perfido ispettore, persecutore a modo suo convinto di agire nellinteresse della giustizia) a condurre la partita fino allultimo respiro.
Lattualizzazione di Bouchareb, che conserva il titolo Two men in town, tradotto nel francese La voie de lennemi, trasporta il tutto alla frontiera tra gli States e il Messico e carica lintera vicenda di risonanze razziali che semplificano il discorso che parrebbe tuttavia mantenere come assunto principale quello di un apologo sulla sostanziale impossibilità di giustizia in una società fatta di pregiudizi.
Se lambientazione cambia così vistosamente e lagnello sacrificale si incarna in Forest Whitaker e il commissario nello sceriffo di Harvey Keitel, tutto si semplifica e si scolorisce e gli sforzi e le sfumature di Brenda Bletyn (Jean Gabin in gonnella) paiono un pochino fuori posto in questa banalizzazione dello scontro tra la forza del male e la debolezza del bene. Fermo restando lindiscutibile professionismo dellinsieme, solido, onesto ma non sufficiente a spiegare le ragioni di questo omaggio che non si vuol chiamare remake.
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