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Scandalo al tempo dei Lumi

di Sara Mamone
  Venere nera
Data di pubblicazione su web 11/09/2010  

Ci sono molte intenzioni, molte ambizioni e un po’ di presunzioni nel film di Abdellatif Kechiche, regista francese di nascita tunisina (trasferito in Francia a sei anni), ma c’è anche una buona dose di delusione in quest’ultima attesissima prova.

Kechiche è forse il regista di punta di quella cultura mescidata che gli States conoscono da tempo ma che nella cultura europea desta ancora stupore e spesso assume i caratteri dell’esotismo o delle problematiche integrazioniste. E forse il grande successo de La faute à Voltaire (2000, leone d’oro opera prima) e il premio speciale della giuria al bellissimo Couscous nel 2007 non sono del tutto esenti da un fervido mélange di accoglienza e di senso di colpa. Quella vitalità “mediterranea” e quella tecnica severa che lo avevano posto in prima linea tra gli esponenti di una cinematografia post-coloniale cedono qui il passo ad una rivendicazione diretta, ad una chiamata a correo della civiltà occidentale che nel secolo dei lumi, il secolo cioè più glorioso di un lungo cammino verso l’acquisizione dei diritti umani, il secolo dei grandi progressi scientifici, permise l’abominio narrato nel film e cioè la raccapricciante vicenda di Saartjie Baartman, la Venere Ottentotta, ovvero una povera disgraziata sradicata dalla sua vita in Sud Africa e portata nella civilissima Europa come fenomeno da baraccone e come oggetto di ricerca scientifica.

 



Saartije aveva alcune caratteristiche fisiche considerate abnormi e perciò occasione di guadagno o di investigazione: la testa un po’ schiacciata ma, soprattutto, un enorme sedere e una dimensione abnorme delle piccole labbra. Aveva avuto anche la disgrazia di incontrare nella sua terra natale un “padrone” pieno di iniziativa e non privo di abilità seduttive che l’aveva convinta delle sue doti artistiche promettendole un futuro radioso nei teatri e nelle fiere nelle grandi capitali dell’epoca. Il “sogno” doveva dunque realizzarsi a Londra e a Parigi. La degradazione delle esibizioni londinesi nei baracconi della fiera sul Tamigi nei quali venne esibita esattamente come un animale esotico da vedere, e poi toccare con prudenza, fu tale da suscitare orrore anche in qualche spettatore meno insensibile. E infatti nella patria del diritto un processo cercherà di porre fine all’umiliazione. Ma sarà la vittima stessa a scagionare il carnefice, dichiarando se stessa “artista” e le sue esibizioni volontarie. Poiché la piazza di Londra è bruciata la poveretta e i suoi carnefici si trasferiscono a Parigi dove la Venere viene usata in tutti i modi, il più redditizio dei quali consiste nelle esibizioni private nelle case dei ricchi borghesi che approfittano di lei per confermare il proprio senso di superiorità e per esercitare con lei e grazie a lei le proprie perversioni sessuali. Il seguito è quello facilmente intuibile della degradazione classica, in case di piacere sempre più malfamate. Ma non è solo questo il teatro su cui viene fatta esibire la Venere Ottentotta. 
 


Anche l’altro grande mito della civiltà occidentale, quello della scienza, dà il suo contributo all’orrore, poiché l’abnormità delle caratteristiche di Saartjie suscita l’interesse ossessivo di uno dei grandi scienziati dell’epoca, Georges Cuvier che la affitta per qualche tempo onde studiarla, la fa riprodurre in tavole anatomiche, cerca di esaminare le abnormità sessuali che lei rifiuta di mostrare. Ma poiché la vera scienza non demorde di fronte a nulla il parziale scacco sarà sanato alla morte della donna, il cui corpo verrà acquistato dallo scienziato e finalmente, senza più reazioni emotive analizzato, appunto, scientificamente. Ne verrà fatto un calco che costituirà una delle attrazioni del Musée de l’Homme fino al 1976, quando, forse in nome di una nuova sensibilità, verrà tolto dall’esposizione. Solo nel ‘94, dopo la fine dell’Apartheid, i capi del popolo khoikhoi a cui la disgraziata apparteneva ne richiederanno la restituzione che avverrà, non senza opposizione (in nome dell’inalienabile patrimonio del Musée de l’Homme e della scienza) solo nel 2002. Nel frattempo le teorie dell’anatomista Cuvier che nel 1817 aveva sancito, sul corpo di Satjie, che «Le razze con il cranio depresso e schiacciato sono condannate ad un’eterna inferiorità» avevano trionfato in Europa con le conseguenze che ben sappiamo.


 

Ci siamo dilungati sulla trama del film perché si tratta di una storia che va di nuovo tutta raccontata per capire i molti pregi e i non minori difetti del film, che non risparmia nessun dettaglio nella descrizione ma non permette allo spettatore nessuno scarto dal suo j’accuse. È un film di notevole maestria e di forte impatto emotivo ma che non tiene presente il sacrosanto precetto che non tutto ciò che è vero è necessariamente arte. E non riesce a tenere a freno una rabbia personale che non si fa coinvolgimento emotivo né tantomeno, estetico. È un film rancoroso, più che morale, che sciupa, nella lunghezza ripetitiva del suo assunto, i momenti meravigliosi di cui pur è pieno: l’agghiacciante inizio con la conferenza di Cuvier e il non meno agghiacciante finale che chiude il cerchio della ricerca “scientifica” (straordinario François Marthouret nella parte dello scienziato); bella la parte londinese che intreccia la bestialità dell’esibizione con lo smarrimento privato e il conforto alcolico della poveretta fuori scena; ripetitiva, noiosa, persino maldestra tutta la parte centrale, dedicata ai vizi della società francese con la quale evidentemente Kechiche ha ancora troppi conti in sospeso. Nel suo assunto totalmente accusatorio un passo indietro rispetto alla grazia dei suo precedenti film che proponevano per differenza, una visione “altra” positiva e gioiosa. Da lodare invece senza riserve la direzione degli attori e soprattutto la scoperta della protagonista Yahima Torrès, scoperta per caso a Belleville e dotata di una grazia misteriosa. Di una fisicità che non si fa mai parodia anche nei momenti più animaleschi, di un volto apparentemente immobile nel quale passano le ombre di una disperazione umana intensa e tragica. È lei la vera forza del film e forse la sua prestazione meriterebbe di non passare sotto silenzio. Mentre il regista dovrebbe a nostro avviso prendere in seria considerazione tutto il girato e farne abbondanti, benefici, tagli.

 

Venere nera
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