In un periodo di crisi economica e morale globale, quale quello moderno, la figura di Arpagone si materializza e si attualizza, in una mise en scène dal sapore reale. La distanza tra il mondo della finzione e dellirreale scompare non appena il protagonista accenna al suo attaccamento al ‘dio denaro. Il teatro diventa il veicolo attraverso il quale la denuncia prende corpo e si trasforma in parole dal sapore amarognolo.
una scena dello spettacolo
Al centro del palco è collocato un sipario rosso, piccolo e stretto, che lascia intravedere sul fondo linterno di una casa dai colori grigi, cupi come lanima del proprietario che vi abita: lavaro Arpagone (etimologicamente: rapace con grosso uncino per arraffare). Dietro quel sipario, metafora della passione amorosa, due giovani amanti sincontrano in un groviglio di baci e sospiri ansimanti e fugaci. Una casa fatta di alti muri – dietro e sopra i quali si nascondono e si affacciano vari personaggi per spiare, origliare, osservare. Un muro che contiene sei porte-specchi dalle quali entrano ed escono personaggi, pensieri, sospetti. Muri girevoli, dalla doppia funzionalità, che si aprono e si chiudono per adattarsi ad ambienti interni o esterni. Specchi dentro i quali si riflettono le ansie e le paure, e dai quali ‘vien fuori la vera e gretta natura umana.
Questa lapertura de El avaro, tratto dalla commedia in prosa in cinque atti, scritta e rappresentata per la prima volta da Molière a Parigi al Palais-Royal il 9 settembre 1668. Lautore francese sispirò allAulularia di Plauto, per ridicolizzare e accusare la borghesia francese del XVII secolo.
una scena dello spettacolo
È la storia di Arpagone, prototipo dellavarizia, che vorrebbe obbligare i propri figli Cléante ed Elisa a contrarre matrimoni dinteresse. Il figlio odia il padre perché vorrebbe dargli in sposa una vecchia e ricca vedova. Arpagone vorrebbe sposare la giovane e povera Marianna che Cléante segretamente ama. La figlia lo detesta perché il padre vorrebbe darla in sposa allanziano signor Anselmo, disposto a prenderla senza alcuna dote. Cléante escogita un piano per mettere fine alle macchinazioni del padre: cerca di procurarsi una somma di denaro per rendersi indipendente, ma scopre che lusuraio che gli ha permesso il prestito è proprio il suo avaro padre. Cléante ordina al suo servo di rubare la cassetta dentro la quale Arpagone custodisce tutti i suoi averi. Arpagone accusa Valerio, suo intendente, del furto perché scopre che da tempo questultimo ha una storia con sua figlia Elisa. Alla fine tutto si risolve con larrivo del vecchio Anselmo che riconosce nella bella e povera Marianna e nel giovane Valerio i suoi figli, che credeva da tempo morti in un naufragio. Le due coppie di amanti si sposeranno, mentre Arpagone ritroverà il suo tesoro.
Ladattamento drammaturgico di Jorge Lavelli e Josè Ramòn Fernández, fedele alla versione originale, recitato in lingua spagnola con sopratitoli in italiano, riscuote un notevole successo al teatro Mercadante di Napoli.
In un gioco di contrasti, tra luci fredde e ambienti scuri, i personaggi truccati e vestiti alla maniera seicentesca, si muovono, saltano, ballano, come i più bravi attori della Commedia dellArte. Molto calibrata e ben orchestrata la scansione dei tempi e della recitazione di tutti gli attori. Intenso e convincente Juan Luís Galiardo (El avaro) nella mimica e nella gestualità, che con un gioco vocale di bassi e alti riesce a delineare un personaggio taccagno e meschino. Interessante linterpretazione del servo di Cléante, saltellante e flessuoso, ridicolo e grottesco, che ci ricorda nella fisicità e nella postura il capitan Scaramuccia di Tiberio Fiorillo. Le figure femminili risultano ben tratteggiate e rappresentate dalle attrici Carmen Àlvarez, Palmira Ferrer, Irene Ruiz, Aída Villar. Molto accattivanti gli ‘a parte, che riescono a coinvolgere nel racconto il pubblico, che partecipa con ilarità. Ben congeniati gli inserimenti vocali con piccole strofe cantate, come le musiche di Zygmunt Krauze.
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