Il sipario si apre sulla
messinscena de Larte della commedia (1964) tra giochi di ombre e voci
dai toni manieristici; si tratta del nuovo spettacolo adattato, diretto e
interpretato da Fausto Russo Alesi che – dopo aver dato eccellente prova di sé
in diverse occasioni teatrali e cinematografiche (si pensi soltanto ai
“bellocchiani” Esterno notte (2022) e Rapito (2023) si cimenta nuovamente con la regia
teatrale e, in particolare, con Eduardo De Filippo. Una voce narrante introduce
alcuni personaggi che, forti del proprio carattere, descrivono e trasmettono
abilmente scenari e sensazioni, come quella del freddo, trasportando lo
spettatore nel mondo “altro” della cornice teatrale.
La storia ruota intorno
allimpresario Oreste Campese (Russo Alesi), capocomico che decide di
rivolgersi alle istituzioni per far valere i propri diritti. Campese incede a
tempo di musica – elemento dalla forte valenza drammaturgica – e fa il proprio
ingresso nellufficio del prefetto, al quale ha intenzione di chiedere un
sussidio e di far costruire un nuovo teatro: quello dove si esibiscono
abitualmente è andato a fuoco e quello comunale non attrae un giusto pubblico.
Si tratta di una compagnia di tradizione famigliare (come del resto quella dei De Filippo e del
“predecessore” Eduardo Scarpetta)
e caratterizzata dal nomadismo. Il repertorio è principalmente quello
shakespeariano, «la solita zuppa», come afferma il prefetto, poco impegnato e
finalizzato al “solo” intrattenimento. Un momento dello spettacolo © Filippo Manzini
Larte della commedia mette in scena una “crisi” del teatro ma soprattutto
leterna lotta tra i “due” teatri italiani: quello di sapore intellettuale,
squisitamente novecentesco, e quello “di mestiere”, realizzabile anche su poche
tavole di palcoscenico, con scenografie essenziali, dove i principali
ingredienti sono lattore, limprevisto e la presenza del pubblico. È dunque
una storia sì politica ma di carattere meta-teatrale attraverso la quale Russo
Alesi – senza pretese storiografiche – riflette soprattutto sullo statuto
attuale del teatro e del performer che, allinterno di un panorama
troppo spesso caratterizzato dal “politicamente corretto”, non dovrebbe
necessariamente svolgere un servizio socialmente “utile” né essere censurato o
censurarsi. «Il potere è unambizione che fa parte del genere umano, ed è
qualcosa con cui bisogna imparare a dialogare», dichiara il regista
palermitano. «Saperlo gestire bene e renderlo al servizio degli altri: questa è
la sfida. Chi detiene il potere deve sempre mettersi nei panni degli altri e
cercare di ascoltare profondamente le domande che vengono poste» (Il teatro
come necessità, intervista a Fausto Russo Alesi, di Angela Consagra).
Mentre il capocomico Campese
rivendica il proprio status di lavoratore, Russo Alesi – nei panni del
personaggio – ironizza sul luogo comune dellattore-artista privilegiato,
libero, spensierato, lontano da problemi ed esigenze concreti che in realtà
molto riguardano il sistema di produzione spettacolare, nonché il ruolo
produttivo del teatro allinterno della società. E proprio il suo essere
cangiante, trasformabile, inafferrabile dellattore – e indefinibile ancora
oggi – è in grado di inibire non solo le autorità ma anche chi delle dinamiche
del palcoscenico è ignaro. Ladattamento di Russo Alesi propone una scenografia
essenziale ma funzionale, che allinizio dello spettacolo si avvale di
unapertura sul piano del palco che consente agli attori di comparire e
scomparire. Un momento dello spettacolo © Filippo Manzini
Tra i personaggi, il “narratore”
rimane sempre visibile e gestisce il tempo della messinscena appendendo un
orologio a un chiodo e togliendolo al momento opportuno. Oltre al capocomico,
uno dopo laltro si presentano in prefettura il dottore, la maestra, il
sacerdote, il farmacista, ognuno rivendicando i propri diritti con tesi
inattaccabili e mantenendo vivo il dubbio (sia nel prefetto sia negli
spettatori) se siano reali lavoratori o attori della compagnia sotto mentite
spoglie. È una commedia dichiaratamente pirandelliana, a carattere fortemente
musicale: una processione, capitanata dal crocefisso e dalla bandiera
tricolore, sfila al ritmo di Valzer per un amore di Fabrizio De André;
mentre Tango italiano di Milva rimanda al ballo come momento lieto del
Dopoguerra (il periodo in cui è ambientata la storia) e il suono ovattato della
radio rimanda ai tempi passati.
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