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Di nuda pelle

di Diana Perego
  Le Baccanti. Dionysus il Dio nato due volte
Data di pubblicazione su web 11/12/2016  

Dopo encomi di pubblico e critica e il tutto esaurito da mesi, lo spettacolo del regista Daniele Salvo approda al Teatro Menotti di Milano. 

Le Baccanti, a distanza di secoli, continuano a esercitare su pubblico e lettori il loro fascino inquietante attraverso un’atmosfera cupa e allucinata e un continuo intrecciarsi di gioco e crudeltà.  La seduzione della tragedia euripidea è quella di un enigma insolubile, un riddle (“rompicapo”), come lo definì il famoso grecista Gilbert Norwood (The Riddle of the Bacchae, the Last Stage of Euripides’ Religious Views, Manchester, Manchester University Press, 1908). Illusorio cercarne una chiave interpretativa univoca e definitiva. Da qui le interpretazioni registiche più diverse, tra cui quelle di Luca Ronconi (2002), e di Antonio Calenda (2012) entrambe allestite nel teatro greco di Siracusa. 


Un momento dello spettacolo©
Un momento dello spettacolo
© Giovanni Bocchieri

La proposta di Daniele Salvo (allievo e collaboratore di lungo corso dello stesso Ronconi) ha il merito di restituire la violenza, la profonda emotività, il senso di straniamento euripidei. Lo spettatore ne è insieme coinvolto e sconvolto. 

La performance inizia con il video di una città metropolitana e di un feto nel grembo materno. Riferimenti analogici alla polis di Tebe e alla doppia nascita di Dioniso? Sono i primi interrogativi insoluti che si moltiplicano nel corso dello spettacolo.

La sceneggiatura è fedele al testo euripideo, tradotto e rielaborato con sapienza dal regista, che ha una solida esperienza di teatro greco. Basti ricordare la direzione degli spettacoli siracusani sofoclei: Edipo a Colono (2009), Aiace (2010), Edipo re (2013), Coefore/Eumenidi (2014).

La messinscena è di taglio moderno. Studio filologico della tragedia euripidea ed elementi contemporanei non sempre si mescolano in modo armonioso. Non convincono, ad esempio, gli abusati costumi dark in pelle nera di Dioniso e Penteo, che ricordano le divise degli ufficiali tedeschi del Reich (soluzione già adottata anche da Salvo in Edipo re). Pure l’utilizzo dei video non sempre è funzionale alla messinscena. Alcuni filmati sono mimetici di spazi scenici (la reggia di Tebe), retroscenici (il carcere in cui è imprigionato Dioniso) ed extrascenici (il monte Citerone abitato dalle Baccanti); altri sono utilizzati in un modo “analogico” non sempre comprensibile (le statue ammassate di Venere).


Un momento dello spettacolo ©Giovanni Bocchieri
Un momento dello spettacolo 
© Giovanni Bocchieri

La dirompente emotività dello spettacolo è merito di bravi attori che già in passato si sono confrontati con il teatro greco e che ne conoscono la potenza espressiva. Paolo Bessegato nel ruolo di Cadmo, il vecchio re di Tebe aperto ai nuovi culti; Melania Giglio, interprete convincente della rhesis anghelikè in cui riferisce con tragicità visionaria lo sparagmós di Penteo; e Manuela Kustermann (l’attuale direttrice del Teatro del Vascello di Roma), un’Agave straziante. La loro recitazione è molto “corporea”, quasi una danza costante, ipercinetica, a tratti snervante. Così Penteo (Diego Facciotti), il difensore dell’ordine della polis, il quale urla in modo esasperato e corre con una prossemica iperbolica costringendo lo spettatore a vagare continuamente con lo sguardo.

Il fascino ambiguo di Dioniso è espresso pienamente dallo stesso Salvo soprattutto attraverso la mimica facciale. Il trucco è funzionale: incarnato bianco (richiamo analogico al trucco della tragedia delle origini?) e labbra rosso brillante esprimono una seduzione dirompente e pericolosa. 

Il coro delle Baccanti, come nelle intenzioni di Euripide, costituisce l’omphalos dello spettacolo. Sette attrici interpretano sia le Baccanti d’Asia che hanno seguito Dioniso dal lontano Oriente fino a Tebe, sia le Baccanti tebane che in preda all’estasi dionisiaca hanno abbandonato “spole e telai” e si sono ritirate sul monte Citerone. Il movimento delle menadi è continuo e fremente. Con ritmo tellurico evocano Dioniso Bromio, “il fragoroso”. Si esprimono con canti, preghiere talvolta in greco antico, e versi ancestrali. Le parole urlate, il falsetto, la monodia, il canto corale, la danza scomposta, talvolta lasciva, coinvolgono il pubblico in un’atmosfera “dionisiaca”. Semplicistica e superflua tuttavia la scena dell’orgia lesbica in cui le seguaci di Dioniso indossano un ridotto costume in stile burlesque.


Un momento dello spettacolo ©Giovanni Bocchieri
Un momento dello spettacolo 
© Giovanni Bocchieri

Mentre nel testo euripideo si insiste sul concetto del “vedere” – Dioniso è venuto a Tebe per rendersi “visibile”, l’epifania dionisiaca è θέατρον: teatro/spettacolo da vedere – la scelta registica di Salvo è rivolta ad una fruizione soprattutto sonora. Emerge lo studio attento (in collaborazione con il foniatra Marco Podda, autore delle musiche) sulla vocalità indagata nelle sue tante sfumature: falsetto, sfiatati, stimbrati, grida gutturali, versi atavici.

La scenografia è minimal: una montagna al centro (monte Citerone e theologheion), lo schermo sullo sfondo (dietro al quale in alcune scene si intravedono le Baccanti allineate come nelle pitture vascolari) e lo scheletro nero di Semele sul proscenio (un memento mori barocco) abbracciato nel finale da Dioniso. Quest’ultimo, dopo aver punito in modo spietato Agave che in preda al furor dionisiaco ha ucciso il figlio Penteo, assume un tratto di umanità, assente nel testo euripideo, abbracciando lo scheletro della madre. Un finale consolante.

Un piccolo “kolossal” penalizzato dall’angusto palcoscenico del Teatro Menotti. Una performance potente, esplosiva che meglio avrebbe interagito con il maestoso spazio dell’antico Teatro di Siracusa, già sede di altri apprezzati spettacoli di Salvo. 




Le Baccanti. Dionysus il Dio nato due volte
cast cast & credits
 


© Giovanni Bocchieri

Lo spettacolo per la regia di D. Salvo al Teatro Menotti di Milano


 
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