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Lorena Vallieri

Il Grand Tour di Ladislao Sigismund Vasa (1624-1625) e lo spettacolo di corte europeo

Data di pubblicazione su web 12/07/2023
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L’ultimo, pregevole annale della rivista «Kronika Zamkowa. Roczniki / The Castle Chronicles», competentemente curato da Jacek Zukowski e Agnieszka Zukowska,[1] opportunamente riporta l’attenzione degli studiosi su un capitolo centrale della storia dello spettacolo europeo, a oggi solo in parte indagato: quello del mecenatismo teatrale e musicale della famiglia Vasa e, in particolare, di Ladislao Sigismund (1595-1648) (figg. 1-2), figlio di Sigismondo III e di Anna d’Austria, eletto nel 1610 Zar di Russia – con un incarico più formale che effettivo – e nel 1632 re di Polonia con il nome di Ladislao IV. La pubblicazione anticipa le celebrazioni organizzate in Polonia per il quattrocentesimo anniversario del Grand Tour europeo del principe polacco (1624-1625), che culmineranno in una attesa mostra che sarà ospitata dal Castello Reale di Varsavia tra il dicembre 2024 e il febbraio 2025. L’esposizione sarà dedicata al teatro di corte che, inaugurato tra il 1627 e il 1628, fu attivo fino al 1648 e ospitò opere in musica, balletti, compagnie di comici dell’Arte, nonché le esibizioni di numerosi attori inglesi, tra cui John Green, Arend Ärschen, Robert Reynolds, William Roe. 

L’attenzione ai legami artistici e teatrali tra Italia e Polonia è relativamente recente. Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso vennero pubblicati i pioneristici contributi di Julian Lewanski, Karolina Ana Szweykowska, Targosz-Kretowa, Tadeus Witczak, Paolo Fabbri, Federico Ghisi, Irene Mamczarz, Sergio Marinotti, Anna Panicali, Oreste Ruggeri e Gian Ludovico Domenico Zannini,[2] ma occorre attendere il nuovo secolo e gli studi di Alina Zórawska-Witkowska, Barbara Przybyszewska-Jarmińska e Juliusz A. Chrościcki per una più organica trattazione.[3] Un filone di ricerche rinnovato dalla recente pubblicazione dell’annale 2021 di «Kronika Zamkowa. Roczniki / The Castle Chronicles», che ha il merito di raccoglie interventi di studiosi di diversa provenienza (Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Spagna, Svizzera e Italia) e di presentare ricerche inedite sul mecenatismo teatrale del principe polacco. Il volume si pone dunque come un imprescindibile punto di partenza per future ricerche sui processi di disseminazione e codificazione del modello performativo del teatro, della danza e dell’opera in musica italiana in Polonia, anche in relazione alle altre capitali europee dello spettacolo di Antico Regime. 

Fin da bambino il principe Ladislao ebbe un’educazione umanistica di impronta europea, favorita dalla madre Anna – figlia dell’arciduca Carlo II d’Austria e nipote dell’imperatore Ferdinando I –, prematuramente scomparsa il 10 febbraio 1598, dalle dame di compagnia della regina, a cominciare da Urszula Meierin, che diventerà uno dei personaggi più influenti della corte polacca, e dalla seconda moglie di Sigismondo III, Costanza d’Asburgo, sorella della prima moglie, sposata il 2 ottobre 1605. Un episodio, quest’ultimo, accortamente messo in evidenza in una delle ventiquattro tele che nel 1612 decorarono la navata della fiorentina basilica di San Lorenzo, apparata a lutto per le esequie di Margherita d’Austria, regina consorte di Spagna e Portogallo, moglie di Filippo III e sorella di Anna e di Costanza, nonché di Maria Maddalena, granduchessa di Toscana. Il tema conduttore dell’intero allestimento – progettato dall’Accademia del Disegno ed eseguito sotto la direzione di Giulio Parigi – fu la rappresentazione del trionfo delle virtù spirituali della sovrana e delle sue azioni in favore della diffusione del cristianesimo. Il ciclo la celebrava, a fianco del consorte, in difesa della Spagna contro gli eretici, nella guerra contro i protestanti, nel sostegno alla costruzione di conventi ed edifici religiosi e nell’attenta promozione di vincoli matrimoniali tra le dinastie impegnate nella lotta contro l’eresia, tra cui i Vasa.[4] 

Il monocromo in cui L’ambasciatore di Sigismondo di Polonia ringrazia Margherita d’Austria per aver favorito le nozze con sua sorella Costanza, opera di Matteo Rosselli, attesta anche lo stretto legame – non ancora pienamente indagato – tra la Casa d’Asburgo, la corona di Spagna, la monarchia polacca e i Medici. Un rapporto familiare e diplomatico già sapientemente coltivato da Sigismondo III anche sul piano culturale. Il Vasa si contraddistinse infatti come munifico mecenate nei confronti di artisti e musicisti stranieri, molti dei quali italiani. Tra questi Luca Marenzio, che tra il 1596 e il 1598 era stato assunto come maestro della Cappella Reale. 

La passione per l’arte e per la musica fu trasmessa da Sigismondo al figlio Ladislao, come dimostra il dipinto di un anonimo pittore di Anversa conservato presso le collezioni del Castello Reale di Varsavia, che raffigura lo studio di Ladislao Sigismund Vasa con una serie di opere d’arte da lui acquistate tra il 1624 e il 1625 in occasione del suo Grand Tour in Europa che toccò la Francia, i Paesi Bassi, i territori dell’Impero e l’Italia (fig. 3).[5] Molti degli oggetti presenti nel quadro sono chiaramente identificabili, come i due ritratti del principe,[6] il Sileno ubriaco e la Madonna con bambino in una ghirlanda di fiori di Rubens,[7] la riproduzione in bronzo del Ratto delle Sabine di Giambologna e l’incisione con Tobia e l’angelo di Hendrick Goudt. Per quanto riguarda il monocromo in alto a destra è stato ipotizzato che possa trattarsi di una scenografia,[8] forse un bozzetto preparatorio per l’ultimo atto de La Regina Sant’Orsola di Andrea Salvadori,[9] musicata da Marco da Gagliano e sontuosamente rappresentata con balli di Agnolo Ricci il 28 gennaio 1625 nel Teatro Mediceo degli Uffizi alla presenza del principe polacco (fig. 4).[10] 

Per l’allestimento venne «chiamato il Signore Giulio Parigi ingegniere di Loro Altezze Serenissime, et a lui impostogli le prospettive, le nugole et le machine».[11] Lo scenografo, adeguandosi alle esigenze del libretto, adottò una soluzione inedita per la tradizione teatrale fiorentina[12] e rappresentò simultaneamente l’accampamento degli infedeli e le mura della città cristiana (fig. 5).[13] La scelta assecondava la «drammaturgia di macchine»[14] che era da tempo uno dei tratti caratterizzanti della spettacolarità medicea, che prevedeva il sapiente “riuso” di un patrimonio scenotecnico a questa altezza cronologica ormai ampiamente collaudato.[15] Nel corso dell’opera venne così riproposta la buontalentiana citta di Dite-Inferno (fig. 6):[16] 

La scena si rappresenta appresso le mura di Colonia Agrippina: vedesi da una parte un tempio con l’idolo di Marte, e dall’altra un bastione, che si sporge in fuora dal resto delle mura: nella lontananza apparisce la città di Colonia, il fiume Reno, e più oltre la campagna dove sono attendati gl’Unni: apresi nella prima scena dell’atto primo, una voragine, dove si vede in un lago di fiamme seder Lucifero sopra un’Idra, e fatto il concilio de’ demoni contro Sant’Orsola, si riserra. Il coro principale, che divide gl’atti è di Cristiani inglesi prigioni degl’Unni.[17] 

Nell’ultimo atto, dopo la distruzione del tempio di Marte – «qui per l’orrenda bestemmia cade un fulmine sopra il Re, e la terra l’inghiotte, cade ancora fulminato il tempio di Marte, e l’idolo va in pezzi» (fig. 7) –,[18] Sant’Orsola e il coro delle Vergini comparvero sulle tradizionali macchine-nuvole (fig. 4): 

Qui per applauso della vittoria fu ballato da nobilissimi cavalieri della Corte di Toscana, rappresentando parte di loro, soldati romani, e parte nobili di Colonia. Cangiossi di poi la scena in bellissimo Paradiso dove in mezzo alle sue Sante Vergini, et tra i cori di SS. Martiri fu vista trionfare S. Orsola.[19] 

Osservando le incisioni che illustrano il libretto, la grisaille che si intravede nella Wunderkammer del castello di Varsavia (fig. 8) sembra riprendere un particolare del tempio (fig. 9) raffigurato nella scena finale con il Trionfo di S. Orsola in cielo e ballo di romani vincitori (fig. 4) – culmine dello spettacolo – e dunque essere attribuita a Giulio Parigi.[20] Le somiglianze con il tempio sulla destra sono evidenti, anche se nel dipinto l’arco risulta decorato con inserti quale il bucranio, che rimandano all’antico, e arricchito con suggestioni che potrebbero derivare dal teatro Olimpico di Vicenza, visitato da Ladislao Sigismund Vasa durante il suo Grand Tour. In particolare la vittoria priva di ali, reggente un lauro e adagiata sull’archivolto richiama quella analoga, in questo caso alata, presente sull’arco della ianua regia del teatro palladiano (fig. 10). Nel quadro la mancanza delle ali è un inequivocabile segno di vittoria duratura, un omaggio che ben si confaceva al principe polacco, che nel 1621, dopo la battaglia di Chocim, si era guadagnato l’appellativo di “difensore della Fede”. Anche la posizione della grisalle all’interno del quadro, in linea con la riproduzione in bronzo con il ratto delle Sabine, non è casuale e sembra conferma l’origine fiorentina del monocromo. 

La decisione di omaggiare il principe con un particolare tratto dall’ultimo atto de La regina Sant’Orsola, oltre a nascondere un più profondo messaggio politico, risponde alla passione di Ladislao Sigismund Vasa per l’opera in musica. Una passione affinata durante il soggiorno in Italia, dove ebbe occasione di assistere a numerosi spettacoli a Venezia,[21] Mantova,[22] Bologna, Firenze, Roma e Napoli.[23] Per altro, l’opera di Salvadori, che con La Regina Sant’Orsola aveva inaugurato un nuovo filone del melodramma di soggetto sacro,[24] dovette incontrare particolarmente i gusti del Vasa che nel 1637, in occasione delle nozze con l’arciduchessa Cecilia Renata d’Asburgo, figlia dell’imperatore Ferdinando II, farà mettere in scena nel Castello Reale di Varsavia un dramma per musica di argomento agiografico: la Santa Cecilia di Virgilio Puccitelli.[25] 

Rientrato in patria nel 1625, il principe promosse e finanziò l’attività dei teatri di Varsavia e di Vilna.[26] Imbevuto di sogni italiani, per la buona riuscita degli spettacoli Ladislao si rivolse ad artisti e maestranze italiane, tra cui Puccitelli[27] che, assunto con la carica di segretario reale, aveva il compito di sovrintendere alle attività del teatro di corte, comporre drammi musicali, favole pastorali, introduzioni e intermedi per balletti – poi musicati dal maestro della Cappella Reale, il viterbese Marco Scacchi –,[28] reclutare i cantanti e far arrivare dall’Italia i tessuti necessari per le scene e i costumi. Determinante fu anche la presenza a corte dell’architetto-scenografo Agostino Locci detto il Romano, un professionista dello spettacolo che, al pari di Puccitelli, non risulta ancora pienamente apprezzato dalla storiografia italiana e non solo.[29] 

Tornando allo sguardo europeo della rivista, il teatro ospitò anche numerosi attori inglesi. Non a caso i primi due saggi dell’Annale sono dedicati al teatro elisabettiano e giacobino. In apertura Richard Dutton (Very Well Liked”: Sir Henry Herbert and Professional Drama at the Courts of James I and Charles I, pp. 7-31) offre una lettura originale dell’Office-book di Sir Henry Herbert che, in qualità di Master of the Revels di Giacomo I e Carlo I, supervisionò l’attività teatrale londinese dal 1623 alla chiusura dei teatri nel 1642. Il documento, assieme al Diario di Philip Henslowe, è considerato tra le principali fonti per lo spettacolo inglese della prima età moderna, ma fino ad oggi è stato utilizzato quasi esclusivamente per indagare le modalità di censura dei testi. Mentre sono state trascurate le preziose indicazioni – spesso uniche – che fornisce sui repertori delle compagnie e sulle opere selezionate per la corte, sui gusti del pubblico e sulla partecipazione dei membri della famiglia reale agli spettacoli. Esso permette inoltre, come indicato da Dutton, di meglio comprendere alcuni degli aspetti economici del teatro di corte. 

John Mucciolo (Hospitality and Shakespeare’s “The Tempest”: Traces of Homer’s “Odyssey” and Virgil’s “Aeneid”, pp. 33-50), partendo dall’annosa questione dell’influenza dell’Eneide e dell’Odissea nella Tempesta di Shakespeare, evidenzia la comune osservanza dei temi dell’ospitalità, del corteggiamento, del fidanzamento e del matrimonio dinastico. Tematiche che bene si adattavano all’occasione celebrativa in cui la drammaturgia shakespeariana venne riproposta a corte: recitata una prima volta il 1° novembre 1611 dai King’s Men nella Banqueting House di Whitehall Palace, la Tempesta venne infatti replicata nel 1613 in occasione dei festeggiamenti per le nozze della principessa Elisabetta Stuart con l’Elettore palatino del Reno Federico V. 

Sapientemente Marine-Claude Canova-Green, in “Dancing Queen”: The Court Ballets of Anne of Austria, Queen of France (1615-1635) (pp. 55-75), si inserisce nel proficuo filone di studi sul mecenatismo delle regine consorti e sul loro ruolo nell’ideazione e nell’organizzazione di spettacoli come momento di affermazione della propria autorità e influenza politica.[30] Una tradizione apparentemente portata avanti anche da Anna d’Austria, accortamente educata fin dall’infanzia a interpretare un ruolo ufficiale all’interno di una ritualità in cui la danza era vista come un’arte comportamentale che insegnava il controllo del corpo, sviluppandone l’agilità e la grazia, ma anche come un mezzo di autopromozione. Danzare davanti alla corte contribuiva a creare un’indispensabile aura di magnificenza attorno alle sovrane, in particolare in occasione dei cosiddetti ballets de la Reine. E in effetti le testimonianze relative alle esibizioni della Delfina ne sottolineano la particolare bellezza ed eleganza. 

Ma davvero la figlia di Filippo III di Spagna, che a soli quindici anni giunse in un paese che viene visto come a lei ostile, riuscì ad avere un ruolo nell’organizzazione di quegli spettacoli che la videro protagonista? Fino a che punto riuscì a imprimere le proprie preferenze culturali? Quale ruolo ebbe nell’affermazione di un meticciato artistico che portò alla predilezione, presso la corte francese, della moda alla spagnola? Sono queste alcune delle domande da cui parte Canova-Green nell’indagare la partecipazione della sovrana ai balli organizzati a corte tra il 1615 e il 1635, per giungere alla conclusione che, salvo poche eccezioni, il messaggio veicolato era quello di una dovuta e pretesa sottomissione al re e alla corona di Francia. Un messaggio che celava una ben più ampia speranza coltivata dai francesi: quella della sottomissione della Spagna – di cui Anna era un simbolo – alla Francia.[31] 

Ladies First? Some Thoughts on a Tournament Presented to Prince Ladislas Sigismund (Florence, 10 February 1625) (pp.77-95) di Tim Carter apre una serie di saggi dedicati al viaggio in Italia di Ladislao Sigismund Vasa (1624-1625). Il principe polacco soggiornò a Firenze nel gennaio-febbraio 1625, omaggiato dalla corte e dalle principali famiglie legate ai Medici con una lunga serie di intrattenimenti, tra cui la già ricordata Regina Sant’Orsola di Salvadori. L’organizzazione degli spettacoli dovette rispettare un cerimoniale particolarmente complesso, in parte giustificato dalla contemporanea presenza in città del cardinale Ludovico Ludovisi (23-31 gennaio), del principe Niccolò d’Este (29 gennaio-12 febbraio) e dell’ambasciatore del duca di Mantova Francesco Suardo (2-6 febbraio). Dopo una lunga digressione sul protocollo, Carter si sofferma sulla barriera La Precedenza delle dame (10 febbraio 1625)[32] collegandola alla particolare situazione politica della città che, dopo la morte di Cosimo II e data la giovane età di Ferdinando II, era governata dall’Arciduchessa Maria Maddalena d’Austria e dalla Granduchessa Cristina di Lorena in una dualità di poteri non di rado in conflitto tra loro. Un aspetto interessante e sicuramente da approfondire ulteriormente, soprattutto alla luce dei fondanti studi di Sara Mamone e Anna Maria Testaverde, quest’ultima ricordata solo per il contributo su Epica spettacolare ed etica dinastica alla corte medicea nel secolo XVII[33] e di cui si ignora, ad esempio, lo scritto dedicato a La liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina, messa in scena nella villa di Poggio Imperiale proprio in occasione della visita di Ladislao del 1625.[34] 

Prima di giungere a Firenze il principe polacco aveva soggiornato a Napoli. I nuovi documenti rintracciati da Elisa Spataro, in parte registrati nel saggio In Honour of the Polish Prince: The Festivities of the Duke of Alba in Naples and Ladislas Sigismund’s Stay at the Medici Court (1625) (pp. 97-118), forniscono inedite informazioni sulla visita di Ladislao alla città partenopea e sugli spettacoli equestri organizzati dal duca di Alba. Tra le fonti individuate anche l’epistolario dell’agente toscano Vincenzo Vettori, a cui il 16 dicembre 1624 la corte fiorentina chiedeva, tramite il segretario Dimurgo Lambardi, puntuali relazioni sulle «belle feste fatte per la venuta del Serenissimo Principe di Pollonia».[35] In particolare Vettori avrebbe dovuto soffermarsi «con la solita sua diligenza» su tutti quei dettagli che avrebbero permesso ai Medici di superare in magnificenza le celebrazioni napoletane: 

La quale avviserà anche, se la suddetta festa si faccia con cavalli di pezza, se sieno Corsieri, o Saltatori, se il Balletto sia galoppando, o trottando, o in altra maniera, et insomma vorrebbe sua Altezza essere avvisata di ogni minuzia, et puntualità, et del numero anche de’ Cavalieri et d’ogni altra cosa. [36] 

Richiesta prontamente accolta dall’agente, che pochi giorni dopo rassicurava «in confidenza» il firmatario della missiva: 

Alligata viene la relatione delle feste che qua si preparano al Principe di Pollonia, con discorso sopr’a tutte quelle particolarità che Vostra Signoria richieda et con aggiunta anco della spesa delli habiti et quel più che io ho giudicato poter giovare il saperli per trapassarlo. Una cosa le aggiungo fra lei, et me in confidenza che ancor che costà facesser male, dove che faran benissimo ben lo so io che altre volte mi vi son trovato a massime nelle feste delle nozze dell’Arciduchessa Nostra Signora: non farebber tanto male che qua non sia per farsi peggio in quanto all’opera, perché non solamente nel provarsi han fatto cose da ridere ma, quel che è più, entron nella festa forse la terza parte di cavalieri tanto giovani, et inesperti che vedo bisogna che s’imbroglino, che più? Ce ne son molti che da che si pubblicò il doversi far feste, da quella hora et non prima si son messi a cavallo et vergognandosi tra di loro si fidono più tosto di un forestiero, et vengon mattina e sera in un mio cortile grande et serrato ad imparare. Che riuscita possin fare questi tali in pubblico lo lascio considerare a Vostra Signoria et in summa il numero et la mostra saran le più riguardevoli cose.[37] 

La prestigiosa visita dell’ospite illustre era per Firenze una importante occasione di promozione, ma il primato non poteva stabilirsi che per comparazione. Nella gara di prestigio con le altre Case regnanti l’imperativo era dunque quello di “trapassare” («giovare il saperli per trapassarlo») e per farlo era necessario cercare di conoscere le strategie allestitorie dei rivali mantenendo la più riservata segretezza nei preparativi. Sapere senza far sapere.[38] 

Nel frattempo anche la corte di Mantova si stava preparando ad accogliere il principe, che sarebbe giunto in città verso la fine del febbraio 1625, e dunque dopo il soggiorno in Toscana. Per l’occasione il duca Ferdinando I impalcò un articolato programma di eventi, nonostante il difficile momento attraversato dalla corte. Se infatti apparentemente i Gonzaga erano impegnati nel riordino delle proprie collezioni artistiche, la famiglia era economicamente indebolita e prossima a un irreversibile declino politico. Nel 1627 il ramo mantovano si sarebbe estinto e il titolo ducale sarebbe passato al ramo francese dei Gonzaga-Nevers. Nonostante ciò vennero messe in campo tutte le risorse artistiche e musicali a disposizione, come dimostrano le poche fonti note. In Ladislas of Poland’s Visit to Mantua (1625): Music in Open and Enclosed Spaces (pp. 119-139) Paola Besutti le incrocia con nuove testimonianze, arrivando a individuare gli spazi utilizzati durante la visita e a chiarire il ruolo degli artisti impegnati. Tra questi Nicolò Sebregondi. Le parallele ricognizioni condotte da Carlo Togliani (“Un ingenere mantovano”: La “Galatea” Warsaw Staging (1628) in the Light of Documents in the Italian Archives, pp. 141-159) presso l’Archivio di Stato di Mantova hanno permesso di individuare nuovi documenti che hanno spinto l’autore a riconoscere in lui – e non in Giovan Battista Bertazzolo,[39] come a lungo è stato creduto – l’anonimo «ingegnere mantovano» ricordato in una lettera del Nunzio Antonio Santa Croce al Cardinale Francesco Barberini per aver realizzato le scenografie per La Galatea rappresentata a Varsavia nel 1628: 

Il Serenissimo Principe Vladislao fece settimana passata rappresentare in musica la favola pescatoria di Galatea, con intermedi apparenti, macchine e cose simili avendo a questo effetto condotto in Polonia un ingegnere mantovano. V’intervennero Maestà e Ser[enissimi] Principi con molto loro gusto e maggior dei Polacchi per esser a loro cosa peregrina.[40] 

Una conferma del ruolo chiave delle maestranze italiche nella nascita del teatro musicale polacco, come emerge anche da alcune ricerche condotte da Marco Bizzarini sul teatro del Castello Reale di Varsavia (Beyond the Court Theatre: Rethinking the Origins of Early Opera Houses in Italy with Reference to the Musical Stage of Ladislas IV, pp. 161-177). 

Inaugurato nel 1637, in concomitanza con le fiorentine Nozze degli Dèi e con la prima stagione lirica pubblica veneziana, il teatro voluto da Ladislao Vasa viene messo in relazione con le sale operistiche italiane per dimostrare che fu progettato secondo le più aggiornate teorie architettoniche. D’altro canto è noto quanto la secentesca gestione impresariale, fondata sul profitto e inaugurata con la messa in scena dell’Andromeda di Benedetto Ferrari e Francesco Mannelli al teatro San Cassiano (già stanza dei comici professionisti) durante il carnevale 1637, sia stata decisiva per l’affermazione della sala all’italiana e per la diffusione dell’opera in musica in Europa già nella prima metà del Seicento. 

Nonostante ciò in molti studi sul teatro musicale persistono diffidenze lessicali e ontologiche legate all’utilizzo del termine “opera”. Soprattutto da quando, agli inizi del XX secolo, Robert Haas, Edward J. Dent e Donald J. Grout, basandosi sulla lettura di un campione di libretti, dichiararono marginale la diffusione del vocabolo a favore di altre definizioni come favola in musica o dramma per musica. Non concorda Daniel Martín Sáez, che in Origins and Consolidation of the Term “Opera”: From Italy to the Holy Roman Empire, England, France, and Spain (pp. 179-196) collega il termine al latino opus, ampiamente usato in musica nei secoli XVI e XVII e coniugato in vari modi prima di diventare il nome di un genere. Secondo lo studioso la sua diffusione fu più capillare di quanto fino ad oggi ritenuto e le tante varianti attestate servono a dimostrare tutta la vitalità del nascente melodramma. 

Quello che si afferma tra corte, accademia e mercato agli inizi del XVII secolo è un teatro musicale in cui le macchine svolgono un ruolo fondamentale. Nate dalla sapienza degli scenografi e dalla progettualità degli apparatori, impegnati a dare vita ai grandi miti del passato, esse assunsero nel teatro di corte un valore mitopoietico che fu alla base della loro fortuna.[41] Poche quelle giunte fino a noi. Rimangono le insostituibili testimonianze iconografiche – scenografie, frontespizi, schizzi progettuali – che, se lette alla luce di altre fonti, soprattutto trattatistiche, permettono di ricostruirne il funzionamento e l’utilizzo nella rappresentazione del potere e il ruolo svolto nell’economia generale dell’opera. Va in questa direzione lo scritto di Annette Kappeler Merveilleux et Mathématique: Theatre Machines and Their Dual Iconographical Representation (pp. 197-214) in cui, se opportunamente viene approfondito uno specifico caso di studio, quello dello spettacolo di corte francese, si sente la scarsa conoscenza degli studi italiani sull’argomento. 

Frank Mohler, in The “Miraculous” Early Modern Scenic Change in Court Theatres and the Venetian Public Opera (pp. 215-234), propone alcune interessanti ricostruzioni grafiche dei sistemi per i cambi di scena utilizzati nel XVII secolo nei teatri pubblici veneziani e in quelli di corte. Il punto di partenza sono i noti trattati di Serlio e Sabbatini, il meno conosciuto Codex iconographicus 401, conservato alla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco, recentemente scoperto da Hole Rößler e attribuito in modo convincente a Joseph Furttenbach il Vecchio,[42] gli scritti di Danti e del Vignola, le descrizioni degli spettacoli. Lo studioso arriva a rivalutare il ruolo degli architetti-scenografi di area emiliana Francesco Guitti e Alfonso Rivarola detto il Chenda. 

Cristina Grazioli (Looking for the Light: Researching Stage Lighting in Renaissance and Baroque Eras, pp. 235-254) affronta il tema della luce come elemento connaturato al teatro e necessario alla concezione unitaria dello spettacolo. Se tradizionalmente la “rivoluzione” della luce in scena viene individuata nella diffusione degli impianti elettrici alla fine dell’Ottocento, essa riveste un ruolo fondamentale anche nei secoli precedenti. Valga come esempio il passo dell’Orlando furioso in cui Bradamante, «non men che fiera in arme, in viso bella», ormai dentro la Rocca di Tristano, si libera dell’armatura e rivela ai presenti la propria identità:

Quale al cader de le cortine suole
parer fra mille lampade la scena,
d’archi e di più d’una superba mole,
d’oro e di statue e di pitture piena;
o come suol fuor de la nube il sole
scoprir la faccia limpida e serena:
così l’elmo levandosi dal viso,
mostrò la donna aprisse il paradiso (O.F., XXXII, LXXX) 

Le influenze del coevo teatro sono evidenti. Grazioli auspica per il futuro una maggiore attenzione storiografica su un ambito di studi ancora in gran parte da definire. Un compito per il quale occorre preliminarmente delineare adeguati strumenti metodologici, a partire dall’individuazione delle molteplici tipologie di fonti utilizzabili, non solo di ambito strettamente teatrale, e una terminologia soddisfacente, a partire dalla stessa definizione della materia, che adeguandosi all’“assolo” della voce Illuminotecnica dell’Enciclopedia dello spettacolo, non ha mai pensato di legittimarsi con un termine che ne evidenziasse anche le concezioni teoriche.[43] 

In conclusione Teresa Chirico presenta alcuni degli esiti delle sue ricerche sul palazzo romano della Cancelleria, che fu abitato dai cardinali e vicecancellieri Francesco Barberini e Pietro Ottoboni, entrambi importanti mecenati.[44] Nuovi documenti rintracciati dalla studiosa alla Biblioteca Apostolica Vaticana forniscono informazioni sugli spazi del palazzo che furono trasformati dai due prelati per ospitare opere in musica. In particolare, alla fine del 1640, Francesco Barberini ordinò la ristrutturazione di una rimessa per le carrozze per far rappresentare La Genoinda ovvero L'innocenza difesa (1641) di Giulio Rospigliosi; successivamente Pietro Ottoboni utilizzò lo stesso spazio per allestire il suo primo teatro. Al tempo dei Barberini alcuni eventi musicali furono probabilmente ospitati anche in un salone del primo piano della Cancelleria, poi destinato dall’Ottoboni all’esecuzione di oratorî che prevedevano l’utilizzo di un’apposita macchineria. Nello stesso edificio risiedevano diversi interpreti al servizio dei due cardinali. 

Quanto qui esposto conferma la piena aderenza della cultura di Ladislao IV al “secolo cantante” di matrice italiana e rende sempre più auspicabile   una miglior conoscenza dell’assunzione del modello performativo italiano nell’immenso territorio governato dai Vasa (Svezia, Polonia, Lituania e Russia, fig. 11). La storiografia per noi più consueta prende in considerazione quasi esclusivamente la vicenda svedese, anche per la conversione al cattolicesimo della figlia di Gustavo II Adolfo, Cristina, appartenente ad un ramo della famiglia,[45] e il suo successivo radicamento nella sede romana. Risulta invece più che opportuna una revisione delle gerarchie riassegnando alla Polonia, almeno fino alla metà del XVIII secolo, quel ruolo centrale che la fece protagonista della vita culturale dei paesi del Nord.



[1]  Cfr. «Kronika Zamkowa. Roczniki / The Castle Chronicles. Annals», n.s., 8, 74, 2021.

[2]  Per quanto riguarda i contributi di ambito italiano, essi furono in gran parte l’esito di una serie di Incontri con la musica italiana e polacca i cui interventi furono pubblicati sulle pagine della rivista «Quadrivium», diretta da Giuseppe Vecchi, di cui è possibile consultare gli indici on line: http://www.amismusicaantica.org/catalogo/quadrivium.pdf (ultima data di consultazione: 6 maggio 2023). Cfr., e.g., A. PANICALI, Un librettista italiano in Polonia: Virgilio Puccitelli (1599-1654), in «Studi Secenteschi», IX, 1968, pp. 287-298; Primo incontro con la musica italiana in Polonia: dal Rinascimento al Barocco, Bologna, A.M.I.S, 1974; P. FABBRI, Storia e preistoria dell’opera a Varsavia: il passaggio per Mantova di Ladislao, principe di Polonia, in «Quadrivium», XVIII, 1977, pp. 135-147; ID., Un soggiorno veneziano di Ladislao principe di Polonia: un incontro con Claudio Monteverdi, in «Subsidia musica veneta», III, 1982, pp. 27-52; F. GHISI, Cronistoria delle visite a Firenze del 1624 e del 1634 dei principi di Polonia Ladislao Sigismondo e Alessandro I, in «Quadrivium», XI, 1970, pp. 191-197; Miscellanea Settempedana, II. Miscellanea Settempedana, II. Virginio Puccitelli e il teatro per musica nella Polonia di Ladislao IV, a cura di O. RUGGERI, San Severino Marche, Bellarba, 1979; Vita teatrale in Italia e in Polonia fra Sei e Settecento, a cura di M. BRISTIGER et al., Varsavia, Accademia Polacca delle Scienze, 1984.

[3]  Cfr. A. ZÓRAWSKA-WITKOWSKA, Dramma per musica at the Court of Ladislaus IV Vasa (1627-1648), in Italian Opera in Central Europe, a cura di M. BUCCIARELLI, N. DUBOWY e R. STROHM, Berlin, Berliner Wissenschafts, 2006, vol. I. Institutions and Ceremonies, pp. 21-49; ID., Warszawska Galatea (1628) - fakty i domyslys, in «Muzyka», 2003-2004, 48, pp. 95-118; B. PRZYBYSZEWSKA-JARMINSKA, Habsburg Queens of Poland and Music at the Polish Royal Court at the End of 16th and in the 17th Centuries, in «Arti Musices», 47, 2016, 1-2, pp. 7-25; ID., The Careers of Italian Musicians Employed by the Polish Vasa Kings (1587-1668), in «Musicology Today», VI, 2009, 1, pp. 26-43; ID., The Music Courts of the Polish Vasas, in «De Musica». XIV, 2017, pp. 10-14; ID., Wloskie wesela arcyksiazat z Grazu a poczatki opery w Polsce, in «Muzyka so», 2005, 3, pp. 17-19; J.A. CHROŚCICKI, Stanisław Mossakowski, King Sigismund Chapel at the Cracow Cathedral (1515-1533), Cracovie, IRSA Publishing House, 2012; Les funérailles princières en Europe, XVIe-XVIIIe Siècle, a cura di J.A. CHROŚCICKI, M. HENGERER e G. SABATIER, Paris, Éditions de la Maison des sciences de l’homme, Centre de recherche du château de Versailles, 2012-2015, 3 voll.

[4]  Cfr. La morte e la gloria. Apparati funebri medicei per Filippo II di Spagna e Margherita d’Austria, catalogo della mostra a cura di M. BIETTI (Firenze, 13 marzo-27 giugno 1999), Livorno, Sillabe, 1999, in partic. il saggio di Anna Maria Testaverde, Margherita d’Austria, regina e “perla” di virtù (pp. 132-137) e la scheda del monocromo redatta da Lisa Goldemberg Stoppato (pp. 186-188).

[5]  Anonimo pittore di Anversa, Cabinet d’art del principe Ladislao Vasa, 1626, olio su tavola, Varsavia, Castello Reale. La scritta «Here [?] Fecit / Warsau 1626» visibile su un angolo dell’incisione al centro del dipinto consente di datare il quadro, ma non di identificarne l’autore. In base alle caratteristiche stilistiche l’opera è stata attribuita a diversi artisti, tra cui il francese Étienne de la Hyre. Più prudentemente la scheda presente sul sito del museo rimanda a un anonimo pittore attivo ad Anversa. Cfr. https://kolekcja.zamek-krolewski.pl (ultima data di consultazione: 30 aprile 2023).

[6]  Raffigurato sia nel dipinto a mezzo busto al centro del tavolo, sia sulla medaglia in primo piano, probabilmente realizzata da Alessandro Abondio a Vienna nel 1624. Cfr. ibid.

[7]  Entrambe le opere sono conservate alla Bayerische Staatsgemäldesammlungen - Alte Pinakothek di Monaco. Sui rapporti tra Rubens e Ladislao Sigismund Vasa cfr. J.A. CHROŚCICKI, Rubens w Polsce, in «Rocznik Historii Sztuki», XII, 1981, pp. 133-215; K. KRZYŻAGÓRSKA-PISAREK, Two Portraits of the Prince Ladislas-Sigismund Vasa from the Collections in Wawel Castle Re-Examined, in «Rocznik Historii Sztuki», XXXVII, 2012, pp. 93-113.

[8]  Cfr. A. PUDLIS-M. BIZZARINI, Un’autorappresentazione simbolica riferita al viaggio in Italia di Ladislao Vasa (1624-25) e alle sue esperienze musicali, in Turismo musicale: storia, geografia, didattica, a cura di R. CAFIERO et al., Bologna, Pàtron, 2020, pp. 32-40.

[9]  Cfr. La Regina Sant’Orsola d’Andrea Salvadori, recitata in musica nel Teatro del Serenissimo Gran Duca di Toscana. Dedicata al Serenissimo Principe Ladislao Sigismondo Principe di Polonia e di Svezia, Firenze, Pietro Cecconcelli, 1625. Il libretto riporta, per ciascun atto, l’illustrazione degli apparati scenici realizzati da Giulio Parigi.

[10]  Alfonso Parigi (da Giulio Parigi), Trionfo di S. Orsola in cielo e ballo di romani vincitori, scena finale de La Regina Sant’Orsola d’Andrea Salvadori, 1625, incisione, in La Regina Sant’Orsola d’Andrea Salvadori, cit., tavola fuori testo.

[11]  Come viene ricordato nel Diario di Cesare Tinghi. Sul passo cfr. S. MAMONE, La macchina o l’indifferenza del mito, in ID., Dèi, Semidei, Uomini. Lo spettacolo a Firenze tra neoplatonismo e realtà borghese (XV-XVII secolo), Roma, Bulzoni, 2003, pp. 193-209: 200.

[12]  Cfr. D. SARÀ, Andrea Salvadori e lo spettacolo fiorentino all’epoca della reggenza (1621-1628), tesi di laurea in Storia del teatro e dello spettacolo, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli studi di Firenze, a.a. 1999-2000, relatore: prof. Sara Mamone; ID., Andrea Salvadori alla corte medicea: osservazioni sul mecenatismo spettacolare di Cristina di Lorena e Maria Maddalena d’Austria, in «Medioevo e Rinascimento», XVI / n.s. XIII, 2002, pp. 269-311: 287-288.

[13]  Alfonso Parigi (da Giulio Parigi), Battaglia fra Romani e Unni. Atto secondo, 1625, incisione, in La Regina Sant’Orsola d’Andrea Salvadori, cit., tavola fuori testo.

[14]  Cfr. S. MAMONE, Drammaturgia di macchine nel teatro granducale fiorentino. Il Teatro degli Uffizi da Buontalenti ai Parigi, in «Drammaturgia», XII / n.s. 2, 2015, pp. 17-43; ID., The Uffizi Theatre: The Florentine Scene from Bernardo Buontalenti to Giulio and Alfonso Parigi, in Technologies of Theatre. Joseph Furttenbach and the Transfer of Mechanical Knowledge in Early Modern Theatre Cultures, a cura di Jan Lazardzig, Hole Rößler, «Zeitsprünge. Forschungen zur Frühen Neuzeit», Band 20, 2016, Heft ľ, pp. 389-415.

[15]  Sul capitolo del riuso, centrale nell’economia dell’arte e dello spettacolo fiorentino, cfr. S. MAMONE, Il risparmio e lo spreco sotto lo sguardo di Callot, in ID., Dèi, Semidei, Uomini, cit., pp. 149-168.

[16]  Alfonso Parigi (da Giulio Parigi), Concilio di Demoni contro S. Orsola. Atto primo, 1625, incisione, in La Regina Sant’Orsola d’Andrea Salvadori, cit., tavola fuori testo.

[17]  Ivi, p. n.n.

[18] [18] Alfonso Parigi (da Giulio Parigi), Il re degli Unni fulminato e rovinasi il tempio di Marte. Atto V, 1625, incisione, ivi, tavola fuori testo (p. 97 per la citazione).

[19]  Ivi, p. 102.

[20]  PUDLIS- BIZZARINI, Un’autorappresentazione simbolica riferita al viaggio in Italia di Ladislao Vasa, cit., pp. 36-37. Gli autori suggeriscono anche ipotesi alternative. Cfr. ivi, pp. 37-39.

[21]  Cfr. FABBRI, Un soggiorno veneziano di Ladislao principe di Polonia: un incontro con Claudio Monteverdi, cit.

[22]  Cfr. FABBRI, Storia e preistoria dell’opera a Varsavia: il passaggio per Mantova di Ladislao, principe di Polonia, cit.

[23]  È possibile leggere le relazioni del viaggio in Podróż królewicza Władysława Wazy do Krajów Europy Zachodniej w latach 1624-1625 w świetle ówczesnych relacji, a cura di A. PRZYBOŚ, Kraków, Wydawnistwo Literackie, 1977. Si veda anche GHISI, Cronistoria delle visite a Firenze del 1624 e del 1634 dei principi di Polonia Ladislao Sigismondo e Alessandro I, cit.

[24]  Nell’Argomento e nel Prologo anteposti all’edizione del testo si affermava l’intenzione di aprire «un nuovo campo, di trattare con più utile e diletto, lasciate le vane favole de’ Gentili, le vere e sacre azzioni Cristiane» (La Regina Sant’Orsola d’Andrea Salvadori, cit., p. 13). L’opera era stata scritta quattro anni prima per le nozze di Claudia de’ Medici con Federico Ubaldo della Rovere, ma non fu messa in scena per la morte di Cosimo II. Cfr. SARÀ, Andrea Salvadori alla corte medicea, cit., passim; S. MAMONE, Storia di Iudith da Betulia a Firenze, in «Il castello di Elsinore», XXVI, 2013, 67, pp. 107-120.

[25]  La S. Cecilia. Dramma musicale, con gl’intermedii favolosi rappresentato nelle reali nozze delle maestà di Polonia e Svezia Vladislao IV e Cecilia Renata. Di Virginio Puccitelli. Dedicato alla ser.ma Claudia de’ Medici arciduchessa d’Austria, [Varsavia?], s.e., [1637]; A. SZWEYKOWSKA, Un dramma per le nozze reali (‘La S. Cecilia’), in Miscellanea Settempedana, II. Virginio Puccitelli e il teatro per musica nella Polonia di Ladislao IV, cit., pp. 157-166.

[26]  Cfr. K. TARGOSZ-KRETOWA, Teatr dworski Wŀadysŀawa IV, Kraków, Wydawnistwo Literackie, 1965; ZÓRAWSKA-WITKOWSKA, Dramma per musica at the Court of Ladislaus IV Vasa (1627-1648), cit.; D.M. SÁEZ, Ópera y diplomacia entre Italia y Polonia: del paso de Vladislao Vasa por Florencia hasta la inauguración del teatro de Varsovia, in Diplomacy and the Aristocracy as Patrons of Music and Theatre in the Europe of the Ancien Régime, a cura di I. YORDANOVA e F. COTTICELLI, Wien, Hollitzer, 2019, pp. 37-62.

[27]  Cfr. Miscellanea Settempedana, II. Virginio Puccitelli e il teatro per musica nella Polonia di Ladislao IV, cit.; A. SZWEYKOWSKA, Puccitelli, Virgilio, in Grove Music Online, https://doi.org/10.1093/gmo/9781561592630.article.22513, data di pubblicazione su web 2001 (ultimo accesso 30 aprile 2023); B. PRZYBYSZEWSKA-JARMIŃSKA, Puccitelli, Virgilio, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2016, vol. 85, https://www.treccani.it/enciclopedia/virgilio-puccitelli_%28Dizionario-Biografico%29/ (ultimo accesso 30 aprile 2023); A. PELLEGRINO, Virginio Puccitelli. Un drammaturgo europeo accademico della Florida, «MusiCultura on line», 30 novembre 2019, https://www.musiculturaonline.it/virgilio-puccitelli-un-drammaturgo-europeo-accademico-della-florida/ (ultimo accesso 30 aprile 2023).

[28]  Cfr. A. PATALAS, Scacchi, Marco, in Dizionario biografico degli italiani, cit., vol. 91 (2018), https://www.treccani.it/enciclopedia/marco-scacchi-Dizionario-Biografico (ultimo accesso 30 aprile 2023).

[29]  Cfr. H. SAMSONOWICZ OSIECKA, Agostino Locci. Scenograf i architekt na dworze królewskim w Polsce, Warszawa, Instytut Sztuki Polskiej Akademii Nauk, 2003.

[30]  Sull’argomento, oltre alle referenze indicate nel contributo, cfr. S. MAMONE, Firenze e Parigi, due capitali dello spettacolo per una regina: Maria de’ Medici, ricerca iconografica di S.M., fotografie di F. VENTURI, Cinisello Balsamo (Mi), Silvana, 1987 (un reference book per comprendere il contesto spettacolare in cui giunse la quindicenne Anna d’Austria dopo il matrimonio con Luigi XIII); C. PAGNINI, Anna di Danimarca e i “Queen’s Masques” (1604-1611), in «Drammaturgia», XII / n.s. 2, 2015, pp. 71-88; ID., Luci sullo spettacolo di corte tra i mari del Nord: Anna di Danimarca da Copenaghen al trono di Scozia (1574-1590), in «Il Castello di Elsinore», 2018, 78, pp. 11-27 (e relative bibliografie).

[31]  Ma si veda Louis XIV espagnol? Madrid et Versailles, images et modèles, a cura di G. SABATIER e M. TORRIONE, Paris, Éditions de la Maison des sciences de l’homme-Centre de recherche du Château de Versailles, 2009.

[32]  Cfr. La precedenza delle dame. Barriera nell’arena di Sparta. Fatta dal principe Gian Carlo di Toscana, e da altri cavalieri giovanetti. Al Serenissimo Ladislao Sigismondo principe di Polonia, e Svezia. Invenzione del sig. Andrea Salvadori, Firenze, Pietro Cecconcelli alle stelle medicee, 1625. Le musiche furono di Jacopo Peri, le scenografie di Giulio Parigi.

[33]  Cfr. A.M. TESTAVERDE, “Trattino i cavalier d’arme e d’amor”. Epica spettacolare ed etica dinastica alla corte medicea nel secolo XVII, in L’arme e gli amori: Ariosto, Tasso and Guarini in Late Renaissance Florence. Acts of an International Conference (Florence, 27-29 june 2001), ed. by M. ROSSI and F. GIOFFREDI SUPERBI, Firenze, Olschki, 2004, pp. 231-253.

[34]  Cfr. A.M. TESTAVERDE, Reminiscenze estensi nel ‘giardino di delizie’ del Poggio Imperiale: “La liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina” (1625), in La Festa delle Arti. Scritti in onore di Marcello Fagiolo per cinquant’anni di studi, a cura di M. BEVILAQUA, V. CAZZATO, S. ROBERTO, Roma, Gangemi, 2014, vol. II, pp. 998-1001.

[35]  Lettera di Dimurgo Lambardi a Vincenzo Vettori, Firenze, 16 dicembre 1624, Firenze, Archivio di Stato, Mediceo del Principato, 4158, c. n.n., trascritto In Honour of the Polish Prince: The Festivities of the Duke of Alba in Naples and Ladislas Sigismund’s Stay at the Medici Court (1625), in «Kronika Zamkowa. Roczniki / The Castle Chronicles. Annals», n.s. 8, 74, 2021, pp. 97-118: 108.

[36]  Ibid.

[37]  Lettera di Vincenzo Vettori a Dimurgo Lambardi, Napoli, 31 dicembre 1624, Firenze, Archivio di Stato, Mediceo del Principato, 1449, c. n.n., trascritto ivi, p. 109. Mia la sottolineatura.

[38]  Cfr. S. MAMONE, Le nozze rivali, in ID., Dèi, Semidei, Uomini, cit., pp.127-147.

[39]  Cfr. FABBRI, Storia e preistoria dell’opera a Varsavia: il passaggio per Mantova di Ladislao, principe di Polonia, cit., p. 147.

[40]  Lettera del Nunzio Antonio Santa Croce al Cardinale Francesco Barberini, Varsavia, 8 marzo 1628, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. Lat. 6584, c. 58v., trascritto in TOGLIANI, “Un ingenere mantovano”: La “Galatea” Warsaw Staging (1628), cit., p. 142.

[41]  Cfr. MAMONE, La macchina o l’indifferenza del mito, cit., p. 193.

[42]  Il manoscritto, di argomento teatrale, è corredato da una serie di note incisioni di Remigio Cantagallina e di Jacques Callot ed arricchito da schizzi e disegni tecnici riferibili a spettacoli andati in scena a Firenze tra il 1608 e il 1617. Databile agli inizi del Seicento, la fonte trattatistica dà puntuali indicazioni sul Teatro degli Uffizi e circa il funzionamento della sua complessa macchineria attestando, ancora una volta, la fortuna internazionale della tecnologia d’avanguardia della scena del principe. Cfr. Technologies of Theatre. Joseph Furttenbach and the Transfer of Mechanical Knowledge in Early Modern Theatre Cultures, cit.

[43]  Si veda anche C. GRAZIOLI, Luce e ombra. Storie, teorie e pratiche dell’illuminazione teatrale, Roma-Bari, Laterza, 2008.

[44]  Cfr. T. CHIRICO, The Performance Space at the Palazzo della Cancelleria in Rome (1640-1690), ivi, pp. 255-270.

[45]  Figlia di Gustavo II Adolfo Vasa e di Maria Eleonora di Brandeburgo, Cristina nacque nel 1626, salì sul trono di Svezia a soli sei anni e abdicò il 6 giugno 1654 in favore del cugino Carlo Gustavo. Il padre, uomo ambizioso e combattente infaticabile, soprannominato il leone del Nord, ebbe un ruolo centrale nella Guerra dei Trent’anni in difesa dei protestanti, proseguendo una linea politica che era stata del padre, Carlo IX, che nel 1599 aveva cospirato per deporre Sigismondo III, padre di Ladislao e re di Svezia, che si era dichiarato a favore della Controriforma. In risposta Sigismondo decise di incorporare la Livonia nella Confederazione Polacca dando inizio a una guerra che si concluse solo nel 1629 con la vittoria degli svedesi che ottennero la restituzione della Livonia. Sigismondo venne costretto a cedere definitivamente la corona a suo zio Carlo e a riconoscerlo come legittimo sovrano di Svezia.



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