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Elena Oliva

Offenbach cita Donizetti: il caso della Fille du régiment*

Data di pubblicazione su web 14/10/2021
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Come ha sottolineato William Ashbrook, La fille du régiment è stata quella che fra le opere di Donizetti ha detenuto in sede esecutiva il record assoluto di manipolazioni, tra tagli, aggiunte e adattamenti.[1] Un analogo primato l’opera raggiunse quanto a citazioni sulla scena del teatro musicale. Ciò accadde soprattutto in Francia, ma non solo: in Italia, ad esempio, l’occorrenza più nota è quella del finale del terzo atto della Forza del destino (1862) di Verdi, in cui risuona il celebre e rutilante “rataplan”. 

In Francia a rendere omaggio al lavoro del compositore bergamasco fu soprattutto il versante più popolare e “leggero” del teatro musicale nazionale, ossia l’operetta. Considerata a lungo ed erroneamente una filiazione diretta dell’opéra-comique – «la fille mal tournée de l’opéra-comique» diceva Camille Saint-Saëns[2] – l’operetta va invece considerata un genere autonomo sotto il profilo drammaturgico e musicale. Difatti se sul piano formale persiste l’alternanza tra dialoghi parlati e numeri cantati, per ciò che riguarda la scelta dei libretti si privilegiano soggetti con situazioni comiche ai limiti del boccaccesco. Ma è soprattutto il ricorso a forme chiuse e strofiche simili a canzonette, tipiche del vaudeville e del teatro di rivista, a distinguerla nettamente dall’opéra-comique, cui si aggiungeranno la sferzante satira alla società e ai costumi del tempo, la parodia, gli ammiccamenti erotici, i ritmi sillabici e martellanti della sua musica e, non ultimo, il tipo di circuito produttivo (quello dei teatri minori).[3] E tuttavia, nonostante le marcate differenze rispetto all’opéra-comique appena ricordate, l’operetta tenne in grande considerazione Donizetti, e in particolare La fille du régiment, contribuendo così ad ampliarne lo spazio di risonanza. 

Per capire i motivi di questo fenomeno bisognerà innanzitutto riflettere sul ruolo che l’opera ricoprì nell’immaginario collettivo francese nel corso dell’Ottocento. Un’importante testimonianza in questo senso ci viene da quanto successe a Parigi il 6 agosto 1870: nel pieno del conflitto franco-prussiano, una folla di manifestanti invase le strade e le piazze della capitale intonando a gran voce la Marsigliese, canto che era stato interdetto dai tempi della Restaurazione e che durante il Secondo Impero valeva come segnale di insurrezione.[4] In realtà si festeggiava la falsa notizia secondo cui la Francia di Napoleone III sarebbe avanzata vittoriosa sui campi di Saarbrücken. In serata, dalla zona di guerra filtrò la verità: le truppe francesi indietreggiavano e la Prussia avanzava. Un mese dopo la Francia fu definitivamente battuta a Sedan, sconfitta che suggellò la fine del Secondo Impero e di Napoleone III. 

In quella concitata giornata dell’agosto 1870, oltre alla Marsigliese, al Rhin allemand e ad altri canti patriottici, a Parigi si cantava anche Salut à la France, la cabaletta dell’aria di Marie dal secondo atto della Fille du régiment.[5] Il brano infatti da lungo tempo faceva vita a sé, perché diventato uno degli inni ufficiali del Secondo Impero, che i parigini potevano ascoltare più di una volta l’anno, in occasione di celebrazioni ufficiali.[6] 

Il successo della Fille du régiment – testimoniato dall’alto numero di rappresentazioni, soprattutto negli anni del Secondo Impero,[7] e dalle svariate riduzioni dell’opera per canto e pianoforte pubblicate nel corso dell’Ottocento – si spiega, come ha rilevato Jean-Claude Yon, col fatto che il lavoro di Donizetti s’inserì in modo coerente nel fenomeno chiamato dagli storici «leggenda napoleonica»:[8] l’opera, infatti, nel glorificare le armate della Rivoluzione e dell’Impero, e non direttamente le gesta di Napoleone Bonaparte, portava in scena miti e rituali dell’immaginario popolare francese. Tonio, ad esempio, con il suo strenuo patriottismo ricalcava la figura leggendaria di Nicolas Chauvin (da cui chauvinisme), il soldato pluridecorato da Napoleone per la sua fedeltà e il suo fanatismo, divenuto tanto popolare da divenire oggetto di numerose caricature, chanson e racconti, nonché protagonista di svariate pièce teatrali.[9] 

Più in generale, il particolare rilievo attribuito da Donizetti ai gesti e ai riti della vita militare (saluti, marce, rulli di tamburi ecc.) faceva della Fille du régiment un’opera non solo militare, ma, come ha giustamente sottolineato Yon, anche patriottica,[10] che differiva nettamente dalle opere dello stesso genere che l’avevano preceduta perché ne era protagonista una donna.

In Marie, insomma, i francesi trovarono la loro Marianne, sì filomonarchica – cosa che a Napoleone III dovette andare più che bene –, ma ugualmente rivoluzionaria, se pensiamo che Salut à la France rimase in auge anche sotto la Terza Repubblica. Un’opera, dunque, che seppe resistere agli stravolgimenti della storia francese grazie alla sua equilibrata combinazione di militarismo, patriottismo, sentimentalismo e comicità. Non per nulla venne presa a modello da diversi compositori attivi nel campo dell’operetta, che di milites gloriosi e donne guerriere ne avrebbero creati in gran numero. Fu Offenbach il primo a indicare La fille du régiment come possibile modello per i giovani compositori che si affacciavano al mondo dell’opera comica: 

Nous nous bornerons à dire que, s'il y a progrès, ce n'est pas, à coup sûr, dans le genre, en lui-même, qui a disparu, ou à peu près, de la scène française.

La cause en est plutôt dans les livrets qui, au lieu de rester gais, vifs, gracieux, se sont transformés en poèmes d'opéra, ont assombri leur couleur, distendu leur cadre et embrouillé la fable dramatique. Le mal n'est pas grand pour les maîtres dont le génie souple et varié sait retrouver, au besoin, la grâce et la finesse. Mais l’écueil est fatal pour les jeunes gens qui débutent dans la carrière; leur verve s'épuise et s'étiole à se mesurer avec des sujets pompeux. Ils perdent dans ces efforts prématurés la fraîcheur de leurs premières inspirations, et il leur arrive d'échouer dans une carrière où ils avaient rêvé la gloire et le succès.

Qu'on veuille bien ne pas prendre ceci pour une critique à l'adresse des écrivains de talent qui enrichissent nos scènes lyriques. — MM. Scribe, de Saint-Georges, Mélesville, Sauvage, de Leuven, Carré, etc. La Dame blanche, Fra-Diavolo, l'Éclair, la Fille du Régiment, les Mousquetaires de la Reine, sont de véritables œuvres, existant indépendamment de la musique ; et certes, cela l'emporte sur les Amours d'été et Biaise et Babet autant pour le moins que les vers de M. de Lamartine dépassent les versiculets de Favart.[11] 

Queste riflessioni fanno parte di un articolo più ampio apparso sul «Figaro» del 1867, in occasione del primo concorso di composizione di un opéra-comique indetto da Offenbach e sponsorizzato dal Théâtre de Bouffes-Parisiens. Intento del compositore era quello di «ressusciter le genre primitif et vrai» e riportarlo sulla strada del comico. Un primo passo consisteva nella scelta di un soggetto adatto, che presentasse situazioni di genuina comicità, simili a quelle rintracciabili nelle opere di Boieldieu, Adam, Halévy e Donizetti, autori che erano effettivamente stati fonte d'ispirazione per Offenbach stesso. La fille du régiment, poi, si era rivelata particolarmente utile per le sue opere di satira politica e militaresca. 

Risale, infatti, a Ba-ta-clan (1855), chinoiserie musicale in un atto, il primo richiamo all’opera di Donizetti, presente già dal titolo: da intendere non tanto nel suo significato originario (“trambusto”), quanto come storpiatura cinese di “rataplan”, visti i toni militareschi che caratterizzano questo lavoro. L’operetta è ambientata in una fantomatica corte cinese, dove si progetta un complotto contro l’imperatore Fé-ni-han (“fannullone”). Due naufraghi francesi scoprono che l’imperatore è anch’egli francese, così come il capo della congiura, il capitano Ko-ko-ri-co. Insomma, congiurati e detentori del potere fanno parte della stessa fazione (e della stessa Nazione). 

Il tratto distintivo e caratterizzante di Ba-ta-clan è il travestimento satirico, che emerge già a partire dai personaggi, francesi camuffati da cinesi. Fé-ni-han, ad esempio, è in realtà un nativo di Brives-la-Gaillarde. Anche la musica non fa eccezione: la Chanson de Bataclan è una Marsigliese con sfumature cromatiche orientaleggianti. Il Duo italien, invece, è una rivisitazione in chiave carnascialesca del duetto di Giorgio nei Puritani di Bellini.[12] Ma più in generale è lo stile donizettiano a permeare tutta l’operetta, sia nella scrittura orchestrale, sia nella parte cantata. Il riferimento più esplicito alla Fille du régiment si trova nel quartetto della prima scena, Cloc-Clock Moc-Mock. Qui Offenbach si cimenta in un’operazione di ibridazione che diventerà uno dei tratti distintivi dei suoi lavori: il quartetto è infatti intervallato da ritornelli in pieno stile “rataplan” (“Maxalla Chalallaxa”), che richiamano non solo il lavoro di Donizetti, ma anche l’atto III degli Ugonotti di Meyerbeer. L’effetto di distorsione caricaturale che ne derivava suscitava certamente grande ilarità nel pubblico parigino, all’epoca perfettamente in grado di cogliere gli elementi di parodia presenti nella partitura. 

Offenbach ritorna a La fille du régiment due anni dopo con Dragonette, andata in scena al Théâtre des Bouffes Parisiens nel marzo 1857. L’operetta, pure questa in un atto, presenta un intreccio molto simile a quello della Fille, giacché anche qui ci troviamo in un reggimento e con una donna guerriera, Dragonette, come protagonista. Dragonette si traveste da soldato perché costretta a rimpiazzare il fratello gemello Julien, che rischia altrimenti l’accusa di diserzione. Julien, infatti, si era allontanato furtivamente dal reggimento in cerca d’aiuti per fronteggiare l’accerchiamento dei nemici. Il sotterfugio viene scoperto, ma Julien torna in tempo con i rinforzi e la Francia è salva (“Vive la France!”).  Le analogie con il lavoro di Donizetti non si limitano al soggetto: Offenbach, infatti, prende interi numeri della Fille du régiment adattandoli al testo più scollacciato e irriverente della sua operetta. Si veda ad esempio la ben nota lezione di canto dell’atto II, che in Dragonette diventa una lezione di ballo impartita dal giovane maestro di danza Tityre alla vecchia vivandiera Adélaide Schabraque (interpretata da un uomo), la quale tenta invano di sedurlo (Scena VI). Ma la convergenza più eclatante si verifica col duetto tra Lambert e Dragonette (Scena IV): il confronto tra padre e figlia richiama inequivocabilmente quello tra Marie e Sulpice nell’atto I dell’opera. L’aderenza al modello donizettiano emerge già dal couplet di Dragonette “L’jour de ma naissance”, che ricorda “Et comme un soldat” di Marie. Le due vivandiere del reggimento, nate entrambe sotto il segno della guerra, allevate a suon di cannoni e tamburi, dichiarano la loro fede incondizionata alla patria e all’esercito:

Marie (La fille du régiment, Atto I, Scena III)
Et comme un soldat, j’ai du cœur!
Au bruit de la guerre,
J’ai reçu le jour...
À tout, je préfère
Le son du tambour,
Sans crainte, à la gloire,
Je marche soudain...
Patrie et victoire,
Voilà mon refrain![13]

 

Dragonette (Dragonette, Scena IV)
L’jour de ma naissance
Le canon grondVait
Et toute la France
En chœur répondait
Quel concert magique
Je me souviendrai
De cette musique
Tant que je vivrai.

Je passai de suite
Apprenti troupier
On avance vite
Dans not’beau métier
A chaque bataille
Je grandis voilà
Qu’importe la taille
Quand le cœur est là.[14]

In questo caso non ci troviamo di fronte all’ennesima distorsione comica atta a destare ilarità nel pubblico, ma a un richiamo quasi letterale della figura di Marie, la quale possedeva già dei tratti fortemente caricaturali. Analoga corrispondenza si rintraccia sul fronte musicale: al couplet, che è anch’esso una marcia in tempo ternario, con un articolazione ritmica abbastanza simile fatta di brusche e imprevedibili accelerazioni, Offenbach – ricalcando la stessa struttura del numero di Donizetti – fa seguire una sezione dialogica che prelude all’Allegretto finale in 6/8, dove ritroviamo il classico “rataplan”:  

DRAGONETTE
En avant,
Rataplan,
Fifre et tambour En avant,
En avant,
Rataplan
C’est la marche du régiment.[15]

Si rintracciano “rataplan” in molte altre operette di Offenbach (La vie parisienne, 1866; La grande-duchesse de Gérolstein 1867; L’île du Tulipatan, 1868; Le roi carotte, 1872; La jolie parfumeuse, 1873; Madame Favart, 1878; La fille du tambour-major, 1879). Ma tra questi il caso certamente più rilevante, per gli effetti sul piano della ricezione, fu quello della Grande-duchesse de Gérolstein, l’operetta che sancì la fama di Offenbach a livello internazionale. 

Se con Dragonette Offenbach rendeva omaggio al maestro bergamasco, qui l’intento si potrebbe dire opposto. La grande-duchesse è infatti un’anti-Fille du régiment: salace satira sull’eccessivo militarismo dell’esercito francese e sul nepotismo del sistema napoleonico. Ambientata in una piccola corte tedesca del Settecento, l’operetta non è altro che un elogio dell’antieroismo, a partire da quello della protagonista, la granduchessa, grottesca figura di femme fatale, che nel suo dedicarsi “anima e corpo” all’esercito (“Ah! que j’aime les militaires!”) si qualificava come l’anti-Marie per eccellenza.

Pur agli antipodi, La grande-duchesse deve comunque molto alla Fille du régiment. Il primo atto dell’opera è infatti una carrellata di canti e cori in stile rataplan: a partire dalla Chanson Militaire della granduchessa, che allude a Marie non solo per i suoi ripetuti “rataplan”, ma anche per il modo con cui si riprendono in chiave erotica gli argomenti dell’eroina donizettiana. Se Marie ama la guerra, la granduchessa, ama i militari che vanno in guerra. Se Marie è grata di essere vivandiera per il servizio che può rendere alla patria, la granduchessa ambirebbe ad esserlo solo per poter inebriare i soldati: 

LA GRANDE-DUCHESSE (La grande-duchesse de Gérolstein, Atto I, Scena VIII)
Ah! que j’aime les militaires,
Leur uniforme coquet,
Leur moustache et leur plumet!
Ah! que j’aime les militaires
Leur air vainqueur, leurs manières,
En eux, tout me plaît.
>Quand je vois là mes soldats
Prêts à partir pour la guerre,
Fixes, droits, l’œil à quinze pas,
Vrai Dieu! je suis toute fière!
Seront-ils vainqueurs ou défaits?
Jen’en sais rien...ce que je sais...

LE CHŒUR
Ce qu’elle sait ...
 
LA GRANDE-DUCHESSE
Ce que je sais…
C’est que j’aime les militaires,
Leur uniforme coquet, etc.

Je sais ce que je voudrais…
Je voudrais être cantinière!
Près d’eux toujours je serais
Et je les griserais!
Avec eux, vaillante et légère,
Au combat je m’élancerais!
Cela me plairait-il, la guerre?
Je n’en sais rien...ce que je sais...

LE CHŒUR
Ce qu’elle sait ...

LA GRANDE-DUCHESSE
Ce que je sais…
C’est que j’aime les militaires, etc.[16]

 

La grande-duchesse fu l’operetta che più di altre procurò a Offenbach non poche difficoltà, soprattutto negli anni della Terza Repubblica. Dopo Sedan, infatti, ebbe iniziò sulla stampa francese una campagna di delegittimazione di Offenbach e della sua produzione teatrale. Opinione diffusa era che il compositore fosse stato uno dei principali fautori del processo di degenerazione dei costumi, e quindi di perdita del senso patriottico, conosciuto dalla Francia. Le risate troppo “bruyants” insomma non erano più opportune. Era giunto il momento della riflessione e dunque di un’operetta più “sage” e “charmante”. La fille de Madame Angot di Charles Lecocq (1872) e Les cloches de Corneville di Robert Planquette (1877) furono i prodotti più significativi di questa nuova stagione, enormemente gradite al pubblico per la centralità dell’intrigo amoroso, condotto spesso con ammiccante malizia. Fu così che Offenbach si mise al passo coi tempi e decise di riprendere in mano, a distanza di anni, la partitura di Donizetti, da cui prese nuova ispirazione per comporre l’ultimo successo della sua vita: La fille du tambour-major (Parigi, Théâtre des Folies-Dramatiques, 13 dicembre 1879), opera dalla satira decisamente più garbata e dalla quale il sentimento patriottico non viene scalfito.[17] 

Il soggetto ricalca in larga parte quello dell’opera “madre”: Stella, figlia del tamburo maggiore Monthabor e della duchessa Della Volta, si arruola come vivandiera nelle file francesi, quando Napoleone Bonaparte conquista l’Italia del Nord. I francesi entrano a Milano, salutati come liberatori; Stella può sposare il tenente Roberto di cui è innamorata. Anche questa volta Offenbach riprende i motivi militari e patriottici del lavoro di Donizetti ma, a differenza del passato, ora è il côté sentimentale della Fille du régiment a prevalere: alla fine dell’opera, Stella, come Marie, sposerà l’uomo amato. Sul fronte musicale lo stile donizettiano è meno presente, ad eccezione delle parti più marcatamente militaresche. Si veda ad esempio la canzone di Stella, “Je suis Mam’zelle Monthabor, ra ra ra fla! La fille du tambour-major”, nel finale dell’atto II, che richiama il couplet di Marie per i ritmi marziali e l’immancabile “rataplan”, filtrato però da una mediazione lecocquiana. La canzone di Stella, infatti, ricorda il primo couplet di Clairette nell’atto I della Fille de Madame Angot (“De la mère Angot, Je suis la fille”) non solo perché in entrambi i casi le protagoniste vogliono rimarcare la loro identità (cosa che nel caso di Stella comporta lo svelamento delle sue origini aristocratiche), ma anche per il tono più civettuolo con cui queste si porgono al pubblico, in virtù di una scrittura vocale maggiormente ornata e meno sillabica. Nonostante la fitta rete di riferimenti ai compositori della seconda generazione d’operetta parigina, nell’immaginario collettivo francese La fille offenbachiana resterà pur tuttavia strettamente associata alla Fille donizettiana. Non è un caso che nel corso del Novecento, ormai entrata stabilmente nel repertorio dell’Opéra-comique, l’operetta verrà rappresentata insieme al lavoro di Donizetti, quasi ne fosse il naturale prolungamento.



[1]  W. Ashbrook, Donizetti. Le opere, Torino, EDT, 1987, pp. 198-202.

[2]  Il compositore diede tale definizione dell’operetta nel giugno del 1921 in occasione di una conferenza tenuta all’École des Hautes Études Musicales di Fointainebleau. Il discorso di Saint-Saëns fu pubblicato sul «Ménestrel» del luglio 1921: C. Saint-Saëns, Sur la Musique, in «Le Ménestrel», lxxxiii, 29, 22 juillet 1921, pp. 3-4.

[3]  Sulle caratteristiche principali dell’operetta francese anche in rapporto agli altri generi teatrali parigini si rimanda a: M. Csáky, Operetta, in Enciclopedia della musica, a cura di J.-J. Nattiez, 5 voll., Torino, Einaudi, 2004, Storia della musica europea, vol. IV, pp. 976-1001.

[4]  Sul ruolo che la Marsigliese ha avuto nel periodo della guerra franco-prussiana, anche in riferimento ai fatti del 6 agosto 1870, si veda: J. Tyre, Music in Paris during the Franco-Prussian War and the Commune, in «Journal of Musicology», 2005, 22, pp. 173-202.

[5]  La testimonianza si trova in Nouvelles Diverses, in «Revue et gazette musicale de Paris», XXVII, 32, 7 août 1870, p. 255.

[6]  Cfr. Ashbrook, Donizetti. Le opere, cit., p. 200.

[7]  Solo al teatro dell’Opéra-Comique nel periodo 1851-1875 il numero si aggira intorno alle 600 unità: S. Rollet, Donizetti et la France (1831-1897). Carrière, créations, réception, Paris, Classique Garnier, 2021, p. 415.

[8]  J.-C. Yon, La fille du régiment, opéra français et patriotique, in «Donizetti Society Journal», 2002, 7, pp. 293-304: 295.

[9]  Sulla figura di Nicolas Chauvin e sull’impatto che avuto nella costruzione dell’identità nazionale francese si faccia riferimento a: G. De Puymège, Chauvin and Chauvinism: In Search of a Myth, in «History and Memory», 1994, 6, pp. 35-72.

[10]  Yon, La fille du régiment, opéra français et patriotique, cit., p. 295.

[11]  J. Offenbach, Concours pour une opérette en un acte, in «Figaro», III, 148, 17 juillet 1856, pp. 6-7: 7.

[12]  Un’analisi del duetto la ritroviamo in P. Ackermann, Jacques Offenbach e l’opera italiana del suo tempo, in Musicus Discologus. Musiche et scritti per il 70° anno di Carlo Marinelli, a cura di G. Macchi, M. Gallucci, C. Scimone, Vibo Valentia, Monteleone, 1997, pp. 93-106.

[13]  Per il libretto si è fatto riferimento all’edizione pubblicata nel 1855 in Théâtre de Jean-François Bayard, Paris, L. Hachette et Cie, 1855, tome II, pp. 281-354: 289.

[14]  L’unica versione del libretto pervenutaci è quella di censura del 1857, che corrisponde interamente a quella dello spartito pubblicato nello stesso anno da Heuguel & Cie. Qui si è fatto riferimento all’edizione del libretto di censura fatta Jean-Christophe Keck nel 2003 per Boosey & Hawkes (J. Offenbach, Dragonette. Opéra-bouffe en 1 acte. Livret de Jamie et Mestépès. Livret de censure. Paris 1857, ed. by J.-C. Keck, Berlin, Boosey & Hawkes, 2003, p. 8.).

[15]  Ivi, p. 9.

[16]  OFFENBACH, La Grande-Duchesse de Gérolstein. Opéra-bouffe en trois actes, quatre tableux par Henri Meilhac & Ludovic Halévy. Musique de Jacques Offenbach, Paris, Michel Lévy Frères, 1867, p. 21.

[17]  Questo cambiamento di rotta è avvertito anche dalla stampa dell’epoca. Così, infatti, si esprime il critico del quotidiano conservatore «Le XIXe siécle» nel dicembre del 1879, all’indomani della prima rappresentazione dell’operetta: «[…] et j'ai même du plaisir à le constater, à propos de la Fille du Tambour-Major, œuvre de ce même M. Offenbach, qui du révolutionnaire de la Belle-Hélène est devenu un gentil conservateur». Causerie Dramatique, in «Le XIXe siécle», 2914, 16 décembre 1879, pp. 1-2:1.




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