Laffioramento del fantastico nel teatro musicale postunitario è stato per lungo tempo ritenuto un fenomeno marginale del panorama spettacolare tardo-ottocentesco: un effetto collaterale di certe tendenze esterofile non rapportabile alla tradizione operistica italiana, la quale rimaneva saldamente ancorata al realismo. Più recentemente gli studi di Adriana Guarnieri Corazzol hanno dimostrato come la presenza del sovrannaturale assunse un rilievo paradigmatico nellopera italiana di fine secolo, poiché per la prima volta si osò guardare oltre il rigido dualismo dei binomi realistico-italiano e fantastico-straniero. Fu soprattutto la Scapigliatura ad avvertire il “paradosso” di questa antitesi – che in qualche maniera obbligava a scegliere tra nazionalismo e cosmopolitismo (quindi tra patriottismo e antipatriottismo) – e a tentare una terza via: la creazione di un «fantastico “mediterraneo” alternativo», in cui elementi nordici si mescolavano a motivi della tradizione italiana. La prima edizione del Mefistofele di Arrigo Boito (1869), come è noto, rappresenta uno degli esempi più significativi di mediazione e compenetrazione tra nord e sud, cui si possono aggiungere altri titoli meno noti, ma non per questo meno significativi, che negli ultimi anni sono stati oggetto di più estese e approfondite indagini da parte degli studiosi del teatro dopera. Limportanza del sovrannaturale nellopera postunitaria è dunque un dato storiograficamente acquisito che ci consente finalmente di ampliare lindagine ai campi limitrofi della scena musicale coeva per valutarne gli echeggiamenti. Rimanendo sul versante della Scapigliatura, vale la pena di esaminare come lanima più popolare del movimento abbia reagito alla suggestione del fantastico proveniente dallalto. Importanti spunti di analisi in tal senso li offre il teatro musicale leggero – genere largamente apprezzato (e praticato) in determinati ambienti scapigliati – che, nel suo porsi in costante dialogo con lattualità, costituisce una sorta di cartina al tornasole per delineare lo spazio di risonanza dei fenomeni e delle tendenze che interessarono il teatro musicale dellepoca. Ci soffermeremo, dunque, sulla fiaba umoristica in musica di Antonio Scalvini, poeta, commediografo e librettista molto attivo sul versante del teatro musicale leggero e in particolare sul suo primo e più riuscito esperimento: La principessa invisibile, con musiche di Michele Iremonger. Rappresentata con enorme successo al Teatro Fossati di Milano a partire dal 24 dicembre del 1868, la fiaba, in tre atti e sette quadri, fece sin da subito il giro dei teatri italiani rimanendo presenza fissa su molte scene del paese fino alla fine del secolo. Lintento di Scalvini, come lui stesso spiega nella nota introduttiva al libretto, era di «far rivivere le innocenti fiabe dei tempi andati e che da più dun secolo erano sparite dal nostro teatro», sottraendole una volta per tutte al monopolio dei vicini doltralpe. Parole queste che fanno il verso alle idee espresse pochi anni prima da Andrea Maffei nella prefazione alla nuova edizione di Turandot di Carlo Gozzi (1863), in cui il letterato elogiava i tedeschi per aver mantenuto costante linteresse nei confronti dei lavori gozziani, auspicando un atteggiamento simile da parte degli italiani. Non a caso dopo il successo della Principessa invisibile, il cui soggetto presenta già, come vedremo, alcuni elementi narrativi gozziani, Scalvini passerà alle fiabe di Gozzi, portando in scena Lamore delle tre melarance (1874) e Laugellin belverde (1876). Ma se il proposito di Maffei era quello di favorire nella considerazione del fantastico un «ritorno del rimosso romantico» – motivato anche dal fatto che la sua edizione di Turandot era una traduzione dal tedesco di un testo di Schiller –, lo stesso non si può dire per Scalvini, i cui lavori riflettono semmai lo spirito più antiromantico di certa Scapigliatura. Saranno Boito, Faccio e Bazzini, per citare alcuni dei nomi più rappresentativi del coté scapigliato alto, a seguire la strada tracciata da Maffei, collocandosi entro lorizzonte intellettuale del Romanticismo tedesco, che poi, si è detto, rimoduleranno in senso nazionale. Scalvini, invece, pur comprendendo la rilevanza culturale della suggestione maffeiana, nel recupero del fantastico si orienterà nella direzione opposta, guardando alla Francia e alluniverso del varietà parigino. Difatti La principessa invisibile prende a modello vari generi del teatro musicale leggero francese: il vaudeville, la rivista e soprattutto la féerie che, per la fastosità della messa in scena e il suo carattere fortemente satirico, si trovava agli antipodi della romantische Oper anche nelleventualità di lavori comici (si pensi a Die lustigen Weiber von Windsor di Otto Nicolai, la cui comicità mantiene sempre un carattere idilliaco e moraleggiante). Con La principessa invisibile ci troviamo dunque in un campo dazione differente, non solo perché viene proposta un tipo di comicità degradata, ma anche per la particolare configurazione che vi assume il fantastico, fortemente radicato nella dimensione materiale. Ma vi è di più: afferendo a un settore come quello della nascente industria dello spettacolo di massa, il lavoro di Scalvini doveva soddisfare le particolari attese del pubblico postunitario sempre più bisognoso di novità. A tal proposito vale la pena leggere alcuni passi di un articolo apparso sul quotidiano «La perseveranza» nel marzo 1873, il cui anonimo estensore, nello spiegare le ragioni che stanno alla base del successo dei romanzi di Jules Verne in Italia, mette in evidenza questo desiderio diffuso di novità: Il merito principale di Giulio Verne è quello daver scoperto un nuovo genere di letteratura romanzesca. Se fosse possibile mettere insieme tutti i romanzi che dal principio del secolo ad oggi furono scritti in Europa, non ci sarebbe biblioteca capace di contenerli. In tanta abbondanza di produzione ognuno – intendiamo de migliori – cercò farsi strada tra gli altri, vuoi cercando la novità del soggetto, vuoi la naturalezza ed evidenza della forma, e così avemmo i romanzi storici iniziati da Walter Scott, poi, quando mille imitatori si furono mossi sulle sue tracce, i romanzi contemporanei, i romanzi intimi, i romanzi sociali, i romanzi pastorali, perfino i romanzi politici e i romanzi commerciali. Ma tutti su per giù peccavano di monotonia a non parlare di certe lubriche scritture, nelle quali leffetto è provocato principalmente dalla svergognatezza dellargomento, tutte codeste opere di fantasia si riassumono in un intreccio di passioni, tra le quali campeggia sempre la passione amorosa; cè sempre il primo uomo, che fa allamore colla prima donna, il baritono, che li avversa, e quindi i soliti episodi di duetti, fughe, rapimenti, assassini ecc.; cose tutte, le quali a chi abbia fatto qualche pratica del genere sono così impresse nella memoria che, dopo aver letto il primo capitolo di uno di codesti libri, vi sa dire come la faccenda andrà a finire. Non è difficile cogliere il riferimento al melodramma nella battuta «cè sempre il primo uomo, che fa allamore colla prima donna, il baritono che li avversa», tradizionalmente attribuita a George Bernard Shaw, ma che, come è stato dimostrato, rispecchiava una concezione assai diffusa già a metà Ottocento, quindi prima che il critico inglese la rendesse celebre. I romanzi di Verne rispondevano ad alcuni dei bisogni culturali del pubblico italiano, quali la curiosità, lesotismo e il meraviglioso. Lo stesso avvenne nel comparto teatrale. Il pubblico, stanco del melodramma, stanco delle classiche commedie e drammi borghesi, preferì di gran lunga esperire un prodotto artistico innovativo tanto nei contenuti quanto nello stile. Dunque lacclimatazione del sovrannaturale nella cultura popolare dellepoca si deve non tanto alle aspirazioni di una ristretta cerchia di intellettuali, quanto al pubblico stesso che, nella ricerca di un perimetro di cultura condivisa, si mostrava un soggetto attivo e capace di formulare richieste ben precise. Così si spiega lincredibile e duraturo successo della Principessa invisibile sulle scene italiane: offriva al pubblico la possibilità di proiettarsi in una dimensione sognante, di evasione e riscatto dalle difficoltà della vita quotidiana, di soddisfare insomma la sua fame di illusione. Al potenziamento di tale orizzonte percettivo concorreva anche la musica della Principessa invisibile, tratta in larga parte dalluniverso delloperetta francese, che con il sovrannaturale aveva avuto da sempre un rapporto privilegiato. Seguendo infatti una consuetudine del teatro musicale leggero (in particolare del vaudeville e della rivista), Michele Iremonger, oltre a comporre alcuni brani appositamente per la pièce, si occuperà di adattare musiche già esistenti al testo di Scalvini. Sebbene la provenienza di tali musiche non sia espressamente dichiarata, dalle poche fonti musicali rimasteci[13] siamo in grado di affermare che una parte di queste fu tratta dallŒil crevé di Hervè, dal cui III atto fu presa, per esempio, la Romance de Fleur de noblesse, che, appositamente riarrangiata, divenne la canzone Cip-cip. Dietro questa scelta vi è senzaltro la volontà di rincorrere la novità: loperetta di Hervé, pur essendo stata rappresentata nel 1867 a Parigi, non era ancora conosciuta dal pubblico italiano, che lavrebbe ascoltata per la prima volta alla fine del 1870. Non solo: trattandosi di una parodia del Freischütz di Weber, lopera più rappresentativa del Romanticismo tedesco, non è da escludere che Scalvini e Iremonger avessero voluto stigmatizzare e ridicolizzare lossessione per il fantastico della cerchia boitiana e dei wagneriani in generale. A rincarare la dose concorse successivamente unaltra fiaba: Pimpirimpara o La principessa visibile, portata in scena da Scalvini nel febbraio 1873, quasi un anno dopo il celebre allestimento alla Scala del Freischütz diretto da Faccio con la traduzione del libretto curata da Boito. Qui la parodia del fantastico raggiunge livelli parossistici: la Regina Isotta viene svegliata dal Principe Pim e canta: «Via laria mesta / Facciamo festa / Noi canterem / Noi beverem / Polkeggerem / Mazurkerem».[14] Le fiabe di Scalvini non si limitano a sottolineature di questo genere. A prevalere, infatti, è la satira politica, aspetto che in qualche misura contravviene a quanto lautore aveva dichiarato nella nota introduttiva al libretto della Principessa invisibile: Chi si pensasse di trovare in questo scherzo la logica, il buon senso, la parte letteraria e più di tutto la politica, si sbaglia di grosso.
Mi son fatto uno studio di evitare tutti questi pregi.
In unepoca in cui il pubblico è già troppo preoccupato da serie e dolorose riflessioni, pensai chera duopo lasciar da banda la politica e tutti gli altri seri malanni che ci frastornano il capo, per dargli in teatro un paio dore di sollievo, ridendo.
Far ridere... Ecco lunico scopo chio mi proposi; ed è per questo che mi saltò il ghiribizzo di abbandonare (per questanno almeno) le solite riviste, per far rivivere le innocenti fiabe dei tempi andati e che da più dun secolo erano sparite dal nostro teatro Il libretto riporta solamente le parti musicate della fiaba. In assenza di quelle recitate, non è possibile ricostruire nel dettaglio lo svolgersi dellazione. Grazie a una serie di fonti coeve (in larga parte articoli sulla stampa periodica) è possibile però delineare la trama principale della pièce. Ne sono protagonisti Rodrigo e Blasillo, studenti di Salamanca. A Rodrigo appare in sogno una Principessa di nome Amata la quale richiede il suo aiuto: costei è infatti vittima degli intrighi della corte di Falbalà che la rendono invisibile. Grazie allintercessione della Follia, Rodrigo e Blasillo intraprendono così un viaggio attraverso vari regni (Il regno del Sole, Lisola della semplicità, Limpero dei bomboni, Il regno dei gaudenti) e superano le varie prove richieste per aver in sposa la Principessa. Rodrigo, infatti, deve portare alla Principessa tre raggi di sole, un corteo di damigelle dellIsola della Semplicità e tre frutti del progresso. Missione che Rodrigo riesce a portare a termine, riuscendo così a sposare la Principessa. La pièce di Scalvini è un pastiche di fiabe e racconti preesistenti rivisitati in chiave umoristica, con una serie di inserzioni che rimandano allattualità. Le fonti usate sono molteplici: innanzitutto Carlo Gozzi, evocato attraverso la citazione di alcuni elementi narrativi di Turandot e della Principessa filosofa, come la principessa da conquistare per mezzo delle tre prove, nonché linserzione di interventi delle maschere della Commedia dellArte (Arlecchino e Pulcinella sbucano da un uovo gigante allinizio del I atto); poi La storia di Gil Blas di Santillana di Alain-René Lesage, che, come è noto, narra le vicende di Gil Blas, studente di Salamanca che intraprende, come Rodrigo, un viaggio fatto di mirabolanti avventure che si conclude con il matrimonio, fin lì ostacolato, con la bella Dorotea. Fonte che trova ulteriore riscontro nel personaggio di Blasillo, nomignolo di Blas e caricatura del protagonista del romanzo picaresco di Lesage. Non poche inoltre le allusioni alla Principessa di Pimpirimpara, terzo racconto dellAltrieri di Carlo Dossi (1868): anche qui protagonista è un giovane studente (Dossi stesso), il quale, come nel lavoro di Scalvini, vede in sogno una principessa in cerca di aiuto. Laderenza al modello dossiano è evidente anche sul piano della scrittura. Scalvini tenta infatti di riprodurre il «guazzabuglio di stile e di lingua» dellAltrieri, elaborando un idioma costellato di lombardismi, toscanismi, sostantivi in disuso, neologismi e onomatopee. Un alto livello di espressività verbale del tutto congruente con il linguaggio anticonvenzionale delloperetta, i cui ritmi fortemente sillabici ben si adattavano alle bizzarrie linguistiche di Scalvini. Allimmaginario fiabesco Scalvini infine aggancia quello fantascientifico alla Verne per cui Rodrigo e Blasillo nel II atto intraprendono un viaggio allinterno del Sole dove trovano un paesaggio fatto di «piante, minerali, laghi e vulcani di ogni natura»; mentre nel III atto i due si trovano nel futuro ad esplorare lItalia del 4869, che però è pressocché identica a quella del 1869. Se lobbiettivo di Scalvini era quello di proporre una via di fuga dallinsicurezza individuale e collettiva che attraversava gli animi degli italiani alla vigilia della presa di Roma, la realtà che lautore tenta di far uscire dalla porta entra, anzi irrompe, quasi sempre dalla finestra: La principessa invisibile, infatti, rappresenta una fotografia surreale della contemporaneità italiana post-unitaria nella quale sotto la sferzante lente satirica di Scalvini sono ritratte le inefficienze burocratiche, la corruzione, le ruberie degli ambienti del potere e tanti altri malcostumi della nuova Italia. Gli esempi sono molteplici, a partire da Re Febo nellatto II, un sovrano modello, che per non gravare sulle finanze dello stato del Sole, si serve della sua cassetta particolare. Una frecciatina non troppo sottile alla classe politica italiana e in particolare a quei parlamentari coinvolti nello scandalo della Regìa cointeressata dei tabacchi. Vicenda che viene evocata in maniera più esplicita nellIsola della Semplicità (atto II): lambientazione in piazza Duomo a Milano, presentata come un campo di battaglia disseminato di legumi giganti, oltre a rimandare ai lavori mai avviati della Galleria Vittorio Emanuele, allude ai tumulti dellestate del 1869, quando, a seguito dellassassinio del ministro Cristiano Lobbia che denunciò lo scandalo, la folla scese in piazza in segno di protesta. Il forte impatto che il lavoro di Scalvini produsse sulla società italiana è testimoniato anche dallenorme interesse mostrato dalla stampa dellepoca, che lo considerò una sorta di metafora universale della natura irrazionale del potere. Ne sono un esempio le vignette umoristiche pubblicate nel «Pasquino» del 1° maggio 1870 (figg. 1-2), in cui le vicende della Principessa invisibile vengono trasposte nella dimensione politica francese. Qui i protagonisti sono Gigi e Olivier, alias Napoleone III e il primo ministro Èmile Ollivier, che, visto il malcontento del loro popolo, si travestono da studenti di Salamanca e vanno alla ricerca della Principessa invisibile, ossia della popolarità. Ma le tre prove non sono sufficienti al raggiungimento dello scopo e Gigi, per ottenere lagognata principessa, si dovrà affidare alla volubilità. Di là dallesplicito sentimento antifrancese – condiviso dalla maggioranza degli italiani per il clamoroso voltafaccia della Francia nella questione romana –, queste vignette testimoniano in modo evidente la valenza fortemente simbolica che il lavoro di Scalvini aveva assunto nellimmaginario collettivo come filtro esorcizzante e trasfigurante della realtà, capace di innescare, anche grazie allimponente apparato scenico, un tipo di emozionalità affine a quella che susciterà successivamente il cinema. Tra fuochi del Bengala, vulcani iridescenti e giochi illusionistici di ogni sorta, lo sguardo spettatoriale era iperstimolato e condotto a unesperienza sensoriale agli estremi del fantastico. Un vortice visivo, ma anche uditivo – considerati i ritmi sfrenati e martellanti della musica –, ad altissima intensità, che se da un lato produceva un potente straniamento, dallaltro riusciva a mantenere vivo il senso di realtà. Ne derivava un effetto di straniamento controllato, di ricalibrazione percettiva tra eccedenza del reale e dellirreale, in linea con i bisogni del pubblico postunitario che trovò nella Principessa invisibile il proprio spazio di evasione, rassicurante e consolatorio almeno fino alla fine del secolo.
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