Questo scritto è dedicato alla memoria dellamico Stefano
Mazzoni
Premessa
Le attese di pubblico e di critica per
la prima tournée – nonché debutto sulla scena internazionale – di Ermete
Zacconi nei paesi di lingua tedesca nel 1897 sono mosse da due fattori: da un
lato, il fascino esercitato da un prestigioso attore mattatore di scuola
italiana; dallaltro lato, la misura del suo ampio repertorio tecnico-espressivo
in funzione dei tratti psicologici, morali e fisici del personaggio come
definito dalla drammaturgia del testo, ossia il suo “carattere” nellaccezione
ottocentesca, ossia il “temperamento” tedesco.
Nella “vecchia” Vienna e nella “moderna”
Berlino, le due capitali imperiali dello spettacolo di fine Ottocento, questa
doppia angolatura produce interpretazioni ora convergenti e ora divergenti dettate
dallanalisi del rapporto di Zacconi con il naturalismo in voga, il corrispettivo
tedesco del verismo italiano di cui lattore era sostenitore[1].
Nel 1891 Hermann Bahr aveva pubblicato Die Überwindung des Naturalismus (Il superamento del Naturalismo), un
saggio fondamentale e di riferimento per il dibattito sul Naturalismo inteso
come «una pausa per riposarsi dalla vecchia arte, oppure è una pausa per
prepararne una nuova. In ogni caso è un intermezzo». Alla rappresentazione
della realtà oggettiva si contrappone quella delluomo nella sua sostanza
nervosa e nella mutevolezza emotiva. Questo «romanticismo dei nervi» o «mistica
dei nervi» si traduce nella Nervenkunst
(Arte dei nervi). Per lattore significa manifestare «limpulso, limpeto, la
sfrenatezza, la frenetica brama, le molte febbri, i grandi misteri»[2].
La distanza dalla rappresentazione
naturalistica è netta e questo potrebbe compromettere lapprezzamento di un
attore italiano educato dal verismo. Non a caso, Roberto Bracco, giornalista e
soprattutto drammaturgo molto stimato a Vienna a seguito della rappresentazione
de Linfedele al Deutsches Volkstheater
(29 novembre 1895), pubblica nel settimanale «Die Zeit» un profilo artistico di
Zacconi, magari pensando a un suo arrivo sui palcoscenici viennesi che avevano
ospitato famosi interpreti italiani, da Ernesto Rossi (1891) a Eleonora Duse
(1892, 1893, 1895), dalla compagnia Bellotti-Bon (1892) a quella di
Andò-Leibach (1895).
Dopo aver descritto laspetto «che non
reca alcuna impronta di supremazia né fisica né spirituale» e che, pertanto,
«non ha mai gonfiato un personaggio per attirare maggiormente lattenzione del
pubblico», Bracco sottolinea la pratica dello «studio dal vero […] sempre
compiuto da lui come in un laboratorio invisibile». In Spettri di Henrik Ibsen, lattore «riproduce integralmente lo
sfacelo dellanima e del corpo di Osvaldo, quello sfacelo terribile,
spaventoso, raccapricciante che dovette far fremere Ibsen quando contemplò
latavismo fatale per cui il figliuolo sconta le colpe del padre». Analogamente
Nikita, protagonista della «tragedia naturalistica» La potenza delle tenebre di Tolstoj, è recitato con «assoluto
obiettivismo», nel suo essere «debole, floscio, senza forza, senza volontà,
senza energia morale».
Si tratta di «interpretazioni
completamente libere di pastoie accademiche» codificate dalla tradizione che –
conclude Bracco – definiscono Zacconi «non solo attore italiano moderno» ma
anche il «più radicale nei suoi propositi e [il] più evidente nei suoi
risultati» e perciò «va suscitando le maggiori discussioni»[3].
Zacconi al Carltheater di Vienna (10-14 aprile
1897)
Il 10 aprile 1897 Zacconi debutta al
Carltheater con Spettri di Ibsen, che
sette anni prima era stato accolto con molte riserve nella produzione del
Deutsches Volkstheater[4]. La
critica è unanime nel riferire il turbamento del poco pubblico presente e nel
sottolineare le doti performative dellattore italiano costruite su una rete di
gesti e movimenti di geometrica precisione nel tracciare con senso oggettivo il
decadimento fisico e mentale di Osvald. Non mancano dubbi circa la credibilità
artistica del verismo clinico unitamente allo spostamento del baricentro
narrativo dal centralismo della madre, la signora Alving, a quello del figlio[5].
Anche la seconda serata (11 aprile) si
svolge in una sala semivuota. Zacconi presenta Pane altrui di Ivan Turgeniev, novità assoluta per la platea
viennese, e I diritti dellanima di
Giuseppe Giacosa, dramma allestito nel 1895 al Burgtheater in tedesco
(traduzione di Otto Eisenschitz, con Paul Hartmann e Stella Hohenfels nei ruoli
di Paolo e Anna)[6].
Qualcosa è cambiato rispetto a Spettri.
Nella parte del vecchio, umiliato e parassita Vasili, Zacconi recita sì da «abile
virtuoso» ma soprattutto «come abile maestro dellespressione che viene dal
sentimento»[7].
Dalle poche parole spese per I diritti
dellanima, più che Zacconi, emerge la rivelazione Varini nel ruolo della
moglie Anna tanto da essere consigliata alle attrici tedesche per imparare a
rendere «le emozioni più violente con uno scatto di ciglia o degli angoli della
bocca, con i movimenti delle narici, quasi senza gesto»[8].
La stessa Varini ruba in parte la scena
a Zacconi nel successivo Anime solitarie di
Gerhard Haptmann (12 aprile)[9].
Impegnata nella parte di Caterina Vocherat, moglie profondamente ferita dal
tradimento platonico del marito Giovanni (Zacconi) con una studentessa
universitaria dalle idee rivoluzionarie, lattrice incanta la platea, questa
volta gremita, per gli sfoghi di passione assai controllati e adattati al registro
naturalistico. Contrapposte risultano le valutazioni per Zacconi: il suicidio
del suo personaggio è lesito di un percorso interiore restituito sulla scena
con «naturalezza» tanto che «ti dimentichi completamente di avere un attore
davanti a te»[10];
oppure la recita si presenta esteriore, da mattatore provvisto di bagaglio
tecnico inibito da un testo che non gli offre «fuochi d‘artificio»[11].
Il poco pubblico, prevalentemente
italiano, vive con grande trasporto emotivo la rappresentazione della conclusiva
La morte civile di Paolo Giacometti
(14 aprile). Lanonimo cronista di «Wiener Zeitung» annota le reazioni degli
spettatori di fronte alla morte in scena di Corrado (atto quinto, scena terza),
topos dellattore verista, dopo aver ingerito il veleno[12]: le
convulsioni producono un «boato assordante» proveniente dalla galleria; poi
ogni «sorta di grido» invade tutta la sala, accompagnato dal rimbombo di
bastoni e scarpe del pubblico maschile che battono il pavimento. Questo «entusiasmo
estatico», che culmina in una tempesta di applausi, è alimentato anche
dallesibizione dellattore: piuttosto che virtuoso, appare umanamente
credibile, verista nella cura certosina di particolari mimico-gestuali come il
movimento delle «labbra tremanti […], i singhiozzi, una ruga sulla fronte, una
chiusura degli occhi, un sospiro sommesso»[13].
Il bilancio artistico delle recite
zacconiane è stilato da due autorevoli osservatori della scena viennese. Bahr mette in luce i difetti di Zacconi: è
«piccolo di statura, un po pesante e impacciato, quasi goffo nei modi, non
bello […]; la voce, poco melodiosa, persino monotona, diventa roca e fumosa
nella passione». Potrebbe sembrare un attore modesto ma «improvvisamente le sue
mani, mani grandi e robuste con dita pesanti, cominciano a parlare, […]
improvvisamente mille lingue sembrano crescere da quel corpo». Analogamente «ha
imparato a parlare con le sopracciglia» e «la stessa eloquenza ha sulle gambe».
Zacconi «ha creato la sua tecnica, una tecnica tutta nuova, la tecnica del corpo
difettoso» diventando, sempre a detta di Bahr «il più grande tecnico che
conosca». E questo costituisce il suo limite: «non mi ha mostrato la sua anima,
ho visto solo il suo corpo in mille arti», perciò «noi non abbiamo imparato
nulla dalla sua arte»[14].
In questo momento «Zacconi è il migliore
degli italiani […], il più grande rappresentante del verismo sul palcoscenico»,
scrive il giornalista e drammaturgo Theodor Herzl. Sul palco anima una sequenza
di mutevoli «fotografie viventi» che immortalano lesteriorità del personaggio
oscurando la sua interiorità. Così la malattia di Osvald in Spettri «è
solo teatrale […] ma di nessun effetto drammatico» poiché il vero dramma è
quello vissuto dalla madre. Il declino psico-fisico del protagonista è espresso
«da grandi trucchi artistici» sostenuti da padronanza e varietà mimico-gestuale
secondo certa maniera latino-italiana riconducibile, secondo Herzl, alle
Atellane e alla Commedia dellArte. Ma quando «queste maschere» escono dal territorio di origine «diventano
gradualmente sfocate». È il caso di Zacconi i cui personaggi-maschera a Vienna
«non hanno rivelato la loro umanità»[15].
Il ritorno di Zacconi al Carltheater (20 settembre-9
ottobre)
Zacconi si ripresenta al Carltheater dopo
le esibizioni a Zagabria e Graz[16].
Al cospetto di una platea gremita e plaudente lattore si esibisce nuovamente
in Spettri (20 settembre), dimostrando «una buona conoscenza dell‘arte [di]
mitigare i suoi atteggiamenti naturalistici [che] precedentemente avevano
creato troppi contrasti […] con la piena verità della vita» raccontata da Ibsen[17]. Probabilmente
memore dellesperienza precedente, Zacconi sembra consapevole che la presa sul
pubblico, complice la mancata conoscenza della lingua italiana, scatta più
attraverso il linguaggio mimico e gestuale che non con la parola. «Ha offerto
più sfumature di quelle precedenti», anche se il suo spostarsi da un tavolo
allaltro, la difficoltà per il paziente di sedersi, l‘impossibilità di
pronunciare singole lettere, il corpo che si contraeva, il costante balbettare,
il passaggio dalla risata alle lacrime […], tutto questo per quanto vero e
reale possa essere per il medico, era troppo». Nellesibizione di aprile era
stato un «artista», in questa appare ancora «troppo virtuoso».[18]
Tra Spettri
e il successivo I disonesti (22
settembre) intercorre una certa affinità data dallo squilibrio mentale dei
corrispettivi protagonisti: se Osvald è vittima di una malattia ereditata,
Carlo è colpito dalla gelosia morbosa. Le loro alterazioni progrediscono quasi
parallele, sembrano incontrarsi in un comune terreno espressivo: «nel roteare
gli occhi, nello spasso delle labbra che si contorcevano in singhiozzi, nel
balbettio e nel gemito, in molti tremolanti movimenti».[19] De
I disonesti colpisce soprattutto la grande scena del secondo atto in cui
esplode la rabbia del marito che, con furore verbale e fisico, si avventa sulla
moglie fino a costringerla alla confessione delladulterio. Il pubblico
palpita, la critica osserva che: «nonostante la perfezione delle sottigliezze
che manifestano la sua brutalità, non ci si scrolla di dosso che ogni movimento
sia calcolato». Pur di alto livello tecnico, la recitazione «è meccanica, senza
ispirazione».[20]
Suscita qualche perplessità la scelta di
Kean di Dumas (24 settembre e 1° ottobre), testo considerato inadatto
per la statura di Zacconi, vista la sua diffusione negli ambienti
dilettanteschi viennesi[21].
Di fronte a un personaggio dalle molteplici sfaccettature – uomo di salotto,
ubriacone, marinaio turbolento, cuore nobile, genio capriccioso – lattore
italiano ridimensiona laspetto canagliesco e si concentra maggiormente sui
tratti romantici. Segnatamente si fa applaudire a scena aperta quando recita la
sequenza di brani shakespeariani nellatto quinto per poi essere colto da un
attacco di (finta) follia interpretata con grandi effetti scenici. ma senza
carattere.
Passa del tutto inosservata a livello
giornalistico la messinscena de La morte
civile (28 settembre),
mentre grande attenzione viene riservata a Re
Lear (30 settembre e 8 ottobre),
ossia latteso confronto con un testo classico considerato importante per
valutare a pieno le potenzialità di un attore[22]. Per
la prima volta pubblico e critica concordano nella valutazione dellesibizione
zacconiana che incanta in diversi passaggi narrativi distribuiti allinterno di
un testo non integrale. È come se si animassero sequenze cinematografiche di
alta suggestione: nello scontro con Gonerilla (atto primo, scena quarta),
Lear-Zacconi fissa «la creatura degenerata con gli occhi spalancati e a bocca
aperta, finché la rabbia sposta la sorda incredulità e il dubbio sulla propria
comprensione dal viso e scoppia in bestemmie selvagge». Oppure quando si
sveglia dalla follia (atto quarto, scena settima), riconosce Cordelia e «allinizio
non osa affatto guardarla, per paura che il riflesso del suo sogno possa
dissolversi»[23];
poi «la guarda dapprima stupito, si inginocchia davanti a lei, la tira vicino a
sé e le bacia il braccio»[24].
Quello che emerge è il profilo di un re
umanizzato, soprattutto «non è folle» perché, dopo aver verificato
lingratitudine delle figlie, «acquista lucidità» e «dà a se stesso un resoconto
della realtà delle cose»[25].
Zacconi mette in primo piano la fragilità mentale e fisica di un uomo vestito
da re. Questo atteggiamento accorcia le distanze dal pubblico che, perciò, si
commuove a più riprese. La recitazione conferma la «perfezione inaudita della
sua tecnica» che si adatta con coerenza alla parola derivata da un adattamento
della tragedia shakespeariana «con sovrano arbitrio alle sue esigenze»[26]. «Non conosco nessun attore, tedesco o
altro – commenta Bahr – che possa misurarsi con il suo Lear». Dopo aver
ricordato gli esempi di Mitterwurzer e Kainz, Bahr individua nel gioco della
metafora la forza creativa dellattore italiano. Vale la pena leggere per
esteso la sua riflessione: «La grandezza per me è il suo modo di trattare la
metafora. Gli altri dichiarano le metafore al galoppo, a lui sembrano nascere
da sole dalle sue dita. Prima dice una parola, il nome comune della cosa che
intende; ma questo non gli basta, il suo sentimento è molto più ricco, ora
vuole nominarlo con gli occhi, le sue mani devono avvicinarsi, allunga una
mano, sembra che stia impastando qualcosa, poi le sue labbra finalmente si
muovono di nuovo, ne sentiamo cadere da loro una metafora, come a dire il vero
ed essenziale e primo nome di quella cosa nel linguaggio originario della
natura»[27].
«Mancava mezzora a mezzanotte e il
pubblico ancora esitava […] a uscire dalla sala: almeno una dozzina di volte il
sipario dovette essere alzato e abbassato prima che la sala si svuotasse
gradualmente»[28]:
è il resoconto della serata trionfale del 4 ottobre nella quale Zacconi
presenta tre brevi atti unici uniti da un sottile filo rosso: il rendere «limpossibile
come reale» tramite la «raffinatezza della tecnica [che] si trasforma in
semplicità e pura verità»[29].
Questo a partire da Gringoire di Theodore de Banville, commedia solitamente
interpretata in modo farsesco. Il poeta scapestrato del titolo è reso da
Zacconi, come Re Lear, nelle sue declinazioni umane e sentimentali, contenute
in un corpo debole e stanco. Seguono due opere del repertorio italiano: Don Piero Caruso dellamico Bracco
accomodato in sala e per la prima volta spettatore della messinscena del suo
dramma, e I diritti dellanima di
Giacosa, già presentato nella tournée primaverile e occasione per rivelare
lestro della Varini: «questa maga che, con pudore indescrivibile, può essere
toccata teneramente da uno sguardo gentile e da un mezzo tono, e può scuotere
il suo cuore più profondo»[30]. Il penultimo impegno di Zacconi, Lamico delle donne di Dumas, si consuma
al cospetto di una sala vuota, probabile segno di disappunto per la scelta di
una commedia che contrastava con la visione di Zacconi quale attore tragico
come si era definito in questo ciclo di spettacoli viennesi[31].
Lattore italiano si congeda dal
pubblico del Carltheater con Il padrone
delle ferriere di Georges Ohnet. Il suo Derblay, il ricco e piacente
industriale alle prese con la tormentata relazione matrimoniale con la giovane
e bella Claire, è sobrio e manifesta un contenuto equilibrio espressivo «incarnato
nella calma e nella raffinatezza del marmo»[32];
lontano da languidi sentimentalismi tardoromantici, incarna la vita reale nella
sua dimensione interiore.
Spetta a Bahr evidenziare, stilando una
sorta di bilancio artistico, i tratti peculiari dellattore italiano, anche in
rapporto ai colleghi austriaci: «Verso ogni nuovo ruolo che Zacconi interpreta,
dobbiamo correggere le nostre opinioni su di lui. Pensiamo sempre di poterlo
finalmente afferrare, solo per vedere subito che ci è scivolato via di nuovo. […]
Non si può credere che sia la stessa persona che una volta sembri essere il più
grande tecnico, unaltra volta un artista molto moderno, e che presto sembra
essere uno stilista della vecchia scuola. Oggi siamo assolutamente certi che
sia un virtuoso a cui purtroppo manca l'anima; domani ci apparirà che ogni
parola, ogni sguardo, è anima, solo anima. È ovviamente un tipo di recitazione
molto diversa da quella a cui siamo abituati, per la quale dobbiamo abituarci
lentamente. Siamo abituati al fatto che l'attore dovrebbe darci più del ruolo
che interpreta: lasciando sempre trasparire tutta la sua natura dietro di sé.
In ogni ruolo, Zacconi dona solo una parte della sua natura, proprio quella che
è gli è conforme; altrimenti la fa tacere. Solo dopo averlo visto in tanti
ruoli inizi a renderti conto di quanto infinitamente ricca debba essere questa
natura!»[33].
Zacconi al Neues Theater di Berlino (29 ottobre-11
novembre 1897)
Pubblico e critica teatrale berlinesi consideravano
la tappa di Vienna quale principale prova generale per un attore prossimo a
esibirsi nella capitale prussiana. In merito a Zacconi, proveniente da Budapest[34] e
atteso al Neues Theater, Rudolf Steiner riporta la notizia delle recite al
Carltheater di Vienna «che hanno avuto dellincredibile. Dopo la Duse, [Zacconi
nella] comunità artistica della città danubiana ha suscitato un tale entusiasmo
che qualcosa di simile non è stato visto lì»[35].
Zacconi apre il ciclo berlinese con Spettri
(29-31 ottobre). La scelta è azzardata e coraggiosa: dal debutto del 1887
al Residenz Theater ad opera dei Meininger allallestimento curato da Otto
Brahm al Lessing Theater nel 1889, il dramma di Ibsen era al centro di un vero
e proprio dibattito alimentato dalle novità introdotte dal Naturalismo circa il
valore e la funzione dellarte teatrale in rapporto alla rappresentazione di
una patologia[36].
Come lattore viennese, attento alla
sostanza interiore del personaggio, anche quello berlinese, per effetto della
lezione del Naturalismo, tende a eliminare la declamazione e lartificio, il
trucco e il pathos propri del virtuosismo a favore di uninterpretazione in armonia
con le indicazioni del testo. A confronto con questo modulo espressivo, Zacconi
«di Osvald interpretò una figura direttamente proveniente dallospedale»,
commenta il critico del quotidiano «Berliner Börsen-Zeitung» dopo averlo
considerato «il principale naturalista della scena moderna […], un vero
italiano, il vero italiano virtuoso» alle prese con un dramma non ascrivibile
al protocollo drammaturgico di matrice realista[37].
Lerrore è lo spostamento del baricentro narrativo dalla madre, vista come la
vera figura tragica, al figlio dissoluto. «Ieri Zacconi era solo un virtuoso,
perché ci ha mostrato tutte le atrocità contro le intenzioni del poeta», si
legge in «Berliner Tageblatt»[38].
Lautorevole Steiner, dopo aver riferito
che «il delirio viennese ha avuto poco effetto su quello berlinese» tanto da
presentarsi vuota la sala alla terza replica di Spettri, spiega
lanomalia: Zacconi «eleva un quadro clinico a opera darte», perciò, rispetto
al testo «si muove nella direzione sbagliata»; ma «la sua arte è […] così
grande che vieni catturato nel suo incantesimo. Si segue ogni parola, ogni
gesto, ogni movimento con la massima attenzione». Perciò «Zacconi è perdonato
quando appare nei peggiori testi che possa concepire»[39].
Nel 1910 Alfred Kerr pubblica Schauspielkunst,
un libro importante in cui si leggono i profili degli attori tedeschi e
internazionali dotati di un repertorio espressivo innovativo. Vicino a Albert
Bassermann, Rudolf Richter, Adalbert Matkowsky, Emanuel Richter, Agnes Sorma –
i massimi attori del naturalismo tedesco – si incontrano i nomi di Eleonora
Duse, Ermete Novelli e Zacconi. Del quale, sempre a proposito di Spettri,
rileva: «fa troppo […] per mancanza di temperamento», un attributo ritenuto
fondamentale per la definizione dellattore moderno emancipato dalla tradizione
istrionica. Eppure «dà qualcosa di indimenticabile» quando si mette le mani nei
capelli, «si piega indietro, la sua faccia si divincola e piange» al punto che
negli spettatori «si insinua una compassione umana senza nome»[40].
Zacconi cerca il rilancio proponendo
nella stessa serata I disonesti di Rovetta e Don Piero Caruso di
Bracco (1° e 11 novembre)[41].
Il pubblico riconosce litalianità in scena declinata secondo i codici del
Verismo. Soprattutto nel secondo atto del dramma di Rovetta, considerato una
rielaborazione della ibseniana Nora e noto a Berlino per linterpretazione
di Mitterwurzer, esplodono rabbia e gelosia latine rese con effetti umani privi
di virtuosismo, gli stessi riscontrati anche nellatto unico di Bracco, «un
ottimo studio del carattere italiano che però assume forma drammatica solo
attraverso costruzioni improbabili e false»[42], comunque
apprezzate da un pubblico partecipe e plaudente.
Anche nella serata successiva (3
novembre con repliche l8 e il 9) Zacconi si esibisce in due ruoli distinti ma
uniti dalla debolezza del personaggio poi sfociata in esplosive reazioni di
fronte a ingiustizie e soprusi subiti. Sono rispettivamente il vecchio Kusoskin
in Pane altrui di Turgenev e il giovane Paolo di Diritti dellanima
di Giacosa.
Da questi spettacoli sono emerse luci e
ombre, in attesa del vero banco di prova: il confronto di Zacconi con
Shakespeare. Alla visione di Re Lear (3 e 7 novembre) partecipa un
pubblico numeroso e composto anche da tanti italiani e attori tedeschi.
Colpisce, in primo luogo, il superamento delle interpretazioni tradizionali:
piuttosto che presentare un ruvido re guerriero, lattore disegna un «povero,
vecchio Lear» privo di grandezza drammatica e avvolto da «sconvolgente
intimità»[43].
«Zacconi umanizza il gigante Lear», osserva Kerr, e lo trasforma in un «vecchio
uomo ammutolito dal dolore interiore». Lo studioso si domanda: «Era la figura
di Shakespeare? Non lo so. Sì, lo era»[44]. Critica
viennese e berlinese concordano: in Re Lear Zacconi ha abbandonato il
virtuosismo del Grande Attore.
Allapice raggiunto con la tragedia
shakespeariana segue un drastico ridimensionamento provocato dalla messinscena
di Anime solitarie di Hauptmann (4 novembre). «La scelta è stata
sfortunata» e viziata da due errori: la mediocrità artistica della compagnia
che avrebbe compromesso la coralità dello spettacolo di contro incentrato solo
su Zacconi-Vockerat il quale trasforma il personaggio da «studioso tedesco
pallido e sognatore», come definito da Hauptmann, in «un uomo piuttosto
robusto, gelatinoso, agile […], che non è stanco della vita»[45].
La critica trascura la rappresentazione
de La morte civile di Giacometti (5 novembre) che comunque ottiene un
certo gradimento di pubblico[46],
mentre maggiore attenzione cattura Kean di Dumas (6 novembre, con
replica il 10). Si tratta di unaltra verifica importante, dopo le titubanze
viennesi, circa il virtuosismo riscontrato nellattore italiano. Se il testo
prevede uno sdoppiamento tra Kean attore e Kean uomo sospeso tra genio e sregolatezza,
ladattamento zacconiano non considera questa distinzione: «recita anche quando
parla nel salotto» aristocratico e «recita anche quando riceve le visite della
sua amata nel camerino». Questo perché lattore «ha esposto la sua natura. Ha
dato tutta la sua personalità allarte comica» con i suoi trucchi che incantano
lo spettatore[47].
Invece di Kean romantico e passionale, Zacconi modella un personaggio tenero e
garbato, tanto che «la forza, il cuore e il fuoco non si elevano ai livelli
dellarte ideale per la passione drammatica»[48].
Quanto osserva Steiner, sintetizza la
ricezione zacconiana da parte di un osservatore tedesco: «unarte autonoma è la
recitazione di Zacconi. […] Ma i poeti non potrebbero scrivere drammi per il
palcoscenico, se tutti gli attori recitassero come Zacconi. Dovrebbero solo
scrivere le istruzioni per gli attori»[49].
La sua originalità si fonderebbe sul
tradimento del testo. Ma non è fine a se stessa e nemmeno riconducibile solo
allistrionismo proprio del Grande Attore. Significativamente simili
osservazioni si leggono in quotidiani lontani da Vienna e Berlino,
probabilmente meno condizionati dal confronto con modelli attorali in voga. A
titolo esemplificativo vale ancora Kean in scena al Landestheater di
Zagabria l11 settembre 1897. In «Agramer Zeitung» si legge uninterpretazione
in parte diversa. Zacconi «non era fondamentalmente lo storico Kean», recitava
«lattore stesso, la sua tragedia umana generale»[50]. Un
anonimo critico salisburghese aggiunge che Zacconi ha esibito «il timbro di una
concezione più moderna» discostandosi «molto dalla rappresentazione popolare
tedesca a cui siamo abituati»[51].
Come emerso in Re Lear, il lavoro
di Zacconi sul personaggio diventa ricerca di elementi metaforici capaci di
esprimere una condizione umana, nello specifico di Kean quella del
mestiere dellattore. Si tratta della «modernità» del primo Zacconi
evidenziata, tra i tanti, da Alessandro Laila-Paternostro: «Zacconi è il più fedele interprete delluomo
comè oggi, con tutte le sue virtù, i suoi vizii, i suoi pregii e i suoi
difetti. Egli è lartista che in un atteggiamento del viso, in una modulazione
della voce, in un sottinteso del gesto, riesce a mostrarci tutto un ambiente
intimo della vita moderna pare […] che dalla sua figura in azione emani lanima
della modernità»[52].
[13] «Wiener Zeitung», 15 aprile 1897. Vedi anche «Neues Wiener
Tagblatt», 15 aprile 1897; «Neues Wiener Yournal», 15 aprile 1897. Da «Wiener
Salonblatt» (18 aprile 1897) Zacconi è definito «un titano della naturalezza
artistica, un virtuoso della pittura realistica, sgargiante e dettagliata senza
esagerazioni comiche e effetti speciali».
[16] Nel 1897 Zacconi
si era esibito due volte al Landestheater di Zagabria. Nel primo Gastspiel (1-4
giugno 1897) il programma prevede Spettri
(1 giugno), Pane altrui (2 giugno), La morte civile (3 giugno), Lamico delle donne di Alexandre Dumas figlio
(4 giugno). Lorganico della compagnia rimane immutato ad eccezione di Emilio
Piamonti subentrato a Blanes nel ruolo di Engstrand). I titoli scelti per la
seconda tournée (10-14 settembre) presentano novità probabilmente introdotte
dal capocomico pensando a un loro rodaggio in vista dellimminente ritorno a
Vienna. Spiccano Re Lear (10
settembre) e Kean di Dumas figlio (11
settembre), seguiti dai collaudati Anime
solitarie (12 settembre) e I
disonesti (14 settembre). Nel viaggio di avvicinamento a Vienna è inserita
la tappa al Theater am Stadtpark di Graz (16-18 settembre), dove Zacconi si
esibisce in Spettri (16 settembre), La morte civile (17 settembre), Anime
solitarie (18 settembre).
[21] Nella locandina
di Kean si leggono i seguenti nomi: Kean-Ermete Zacconi, Il principe di
Galles-Luigi Zoncada, Il conte di Koefeld-Ferdinando Nipoti, Lord Mewill-Carlo
Bordeaux, Salomone-Emilio Piamonti, Pistola-Stanislao Ciarli, Il conestabile-Vittoria
Pieri, Peter Patt-Achille Ricciardi, John Cooks-Adalgisa Rissone, Dario-Enrichetta
Sabatini, Il direttore di scena-Anna Sabatini, Un servo-Enrichetta Rissone,
Elena-Emilia Varini, Amy-Emma Cairo, Ofelia-Clelia Dominici, Gilga-Ferdinando
Nipoti, Ketty-Olga Varini, La balia-Adalgisa Zoncada.
[22] Il cast della
tragedia shakespeariana è in seguente: Re Lear-Ermete Zacconi, Goneril-Emilia
Aliprandini Pieri, Regan-Maria Volante, Cordelia-Emilia Varini, Duca di Albany-Emilio
Piamonti, Duca di Cornovaglia-Vittorio Pieri, Conte di Gloucester-Ferdinando
Nipoti, Conte di Kent-Enrico Sabatini, Edmund-Carlo Bordeaux, Edgar-Luigi
Zoncada, Oswald-Adalgisa Rissone, Il buffone-Stanislao Ciarli, Curano-Enrichetta
Rissone, Un gentiluomo-Giuseppe Patrioli, Araldo-Anna Sabatini, Un cavaliere-Achille
Ricciardi.
[24] «Neue
Wiener Zeitung», 1° ottobre 1897.
[32] «Neues Wiener
Yournal», 10 ottobre 1897. La distribuzione dei ruoli de Il padrone delle ferriere di Ohnet: Filippo Derblay-Ermete Zacconi,
Clara De Beaulieu-Emilia Varini, Marchesa Beaulieu-Enrichetta Sabatini,
Atenaide-Maria Volante, Baronessa De Prefons-Emma Cairo, Susanna-Clelia
Dominici, Brigida-Ja Nipoti, Moulinet-Emilio Piamonti, Duca di Bugny-Luigi
Zoncaga, Bachelin-Ferdinando Nipoti, Barone di Prefonds-Stanislao Ciarli,
Ottavio-Carlo Bordeaux, Il generale-Vittorio Pieri, Robert-Adalgisa Rissone, Il
prefetto-Enrico Sabatini, Dottor Servan-Adalgisa Rissone, Di Pontac-Enrico
Sabatini, Giovanni-Vittorio Rissone, Domestico-Enrichetta Rissone.
[33] H. BAHR, in «Die Zeit», 9 ottobre 1897.
[34] Al
Kunstspieltheater di Budapest Zacconi aveva presentato I disonesti e Don Piero Caruso (20 ottobre), Spettri
(21 ottobre), Kean (22 ottobre), Re Lear (23 ottobre).
[41] Il cast de I disonesti è il seguente: Carlo Moretti-Ermete Zacconi, Elisa Moretti-Emilia
Varini, La signora De Fornaris-Maria Volante, Il signor Peppino Sigismondi-Ja
Nipoti, Orlando Orlandi-Emilio Piamonti, Teresa-Emma Cairo, Giovanni, portinaio-Adalgisa
Rissone, Serafino-Carlo Bordeaux, Camilla-Olga Varini.
[46] I personaggi de
La morte civile sono così distribuiti: Corrado-Ermete Zacconi, Arrigo
Palmieri-Enrico Sabatini, Don Ferrante-Carlo Bordeaux, Gaetano-Anna Sabatini,
Rosalia-Emilia Aliprandini Pieri, Emma-Clelia Dominici, Agata-Ferdinando
Nipoti.
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