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Gianluca Stefani

Francesco Santurini il Baviera. Un “Welscher Ingenir” alla corte dei Wittelsbach (1662-1669)

Data di pubblicazione su web 08/09/2022
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Sul principio del 1662, desiderando rimpiazzare l’architetto-scenografo Lodovico Ottavio Burnacini alla corte di Vienna a causa del suo coinvolgimento in un illecito amoroso, l’imperatore Leopoldo I si informava presso il proprio ambasciatore a Venezia su chi fossero i più validi sostituti su piazza.[1] L’interpellato, il conte Humprecht Jan Czernin, non aveva dubbi: il migliore in circolazione era Gasparo Mauro, attivo in quegli anni in città al teatro dei Santi Giovanni e Paolo e all’Arsenale,[2] dove era impiegato come «calafà» ovvero calafato.[3] Se proprio non si fosse riusciti a strappare il Mauro dalla morsa dei tanti impegni lavorativi e dalla famiglia numerosa, di cui facevano parte i tre attaccatissimi fratelli,[4] il primo della lista era Francesco figlio di Stefano Santurini.[5] Ma c’era un problema: 

Questo Francesco sta in Trattato d’andar in Baviera, dice se però il parto dell’Elettrice sarà d’un Maschio, ma non per restarvi; solo che lo chiamaran per un opera sola che si farà, onde lui che dice che lasciarebbe quel partito transitorio per acquistar con qualche suo Vantaggio un servitio fermo in una Corte grande, non volse dichiararsi se prima non se li diceva cosa era solito darsi a Vienna il che io non sapevo.[6] 

Alla prova dei fatti, le cose alla corte di Monaco sarebbero andate secondo i migliori auspici. La coppia elettorale avrebbe avuto il figlio maschio desiderato e Santurini avrebbe accettato l’incarico, che prevedeva non una, bensì tre opere, più una serie di mansioni che lo avrebbero trattenuto in terra bavarese ben oltre i termini preventivati. Quanto all’affaire viennese, si risolse in un nulla di fatto: Burnacini fu perdonato e reintegrato, mentre la «Nota de Architetti migliori di Venetia e de Marangoni»[7] compilata dal conte Czernin, anziché essere stracciata, fu conservata «pro memoria» in caso di necessità,[8] giungendo fortunatamente fino ai nostri giorni. 

Quale fosse stato esattamente il percorso che portò Santurini alla corte bavarese non è chiaro. Certo è che, come attesta il documento citato, la sua fama era ormai accreditata a livello europeo. Stando alle parole del conte Czernin, Santurini era allora l’«Architetto nel Theatro di S. Luca»,[9] vale a dire di uno dei più importanti teatri della Serenissima Repubblica, di proprietà dei patrizi Vendramin. Questo dato, finora ignorato dalla storiografia, contribuisce a integrare la lacunosa biografia di un personaggio ancora in parte sfuggente. 

Di Francesco Santurini non si sa molto. Si apprendono dai dizionari tedeschi le date di nascita e di morte, che sarebbero avvenute rispettivamente a Venezia nel 1627 e a Monaco di Baviera nel 1682.[10] A giudicare dall’inedito certificato di morte rinvenuto nei registri della parrocchia veneziana di San Pietro di Castello, gli estensori di quelle voci biografiche erano abbastanza ben informati, malgrado la défaillance sulla collocazione geografica del decesso: 

[Venezia, 20 settembre 1682]
Messer Francesco del quondam Stefano Santurini Calafà dell’Arsenal d’anni 50 in circa dà molto tempo indisposto, soppragionto da febre in giorni tre morse. Il Medico Melis fà sepelir Messer Zuanne Mauri. Stà in Corte di San Zuanne.[11]

Del resto, come avrebbe rivelato Adelaide Enrichetta in una lettera al fratello Carlo Emanuele del 22 novembre 1669, Santurini mal sopportava il clima della bassa Baviera, cosa che gli avrebbe impedito di trattenersi troppo a lungo alla corte di Monaco.[12] Non sarà un caso che, scaduti i termini degli accordi, la sua presenza negli archivi tedeschi sparisce del tutto.[13] 

Dunque, Santurini svolgeva il mestiere di calafato all’Arsenale.[14] A seppellirlo fu Zuanne Mauro, presso la cui abitazione in corte di San Zuanne forse si era trasferito in seguito alla dipartita della quarantenne moglie Corona, con la quale aveva abitato poco distante «in Riello».[15] La consuetudine con la famiglia Mauro avvalora il rapporto “fraterno” con Francesco Mauro, padre di Zuanne, che a più riprese collaborò con lui in terra germanica. 

La prima notizia che collega Santurini al “mestiere” di scenografo risale al 1657, quando il suo nome figura nel libretto de Le fortune di Rodope e Damira di Pietro Andrea Ziani al Teatro di Sant’Aponal a fianco di un altro Mauro, il già menzionato Gasparo, fratello di Francesco.[16] Da allora la sua carriera prendeva quota. L’anno successivo era al Teatro di San Cassiano con L’incostanza trionfante overo il Theseo, sempre con Gasparo, a supporto del «maestro delle scene» Gasparo Beccari,[17] mentre il carnevale seguente nella stessa sala curava la parte macchinistica dell’Antioco su musica di Francesco Cavalli.[18] È possibile che già nella stagione teatrale 1660-1661 Santurini fosse lo scenografo di riferimento del San Luca;[19] di sicuro fu lui a realizzare le mutazioni sceniche di Cleopatra di Giacomo Dall’Angelo e Daniele da Catrovillari, il cui debutto nella sala Vendramin è datato al 29 gennaio 1662.[20] Di lì a poco il calafato prestato al teatro sarebbe entrato nella sfera di interesse della diplomazia monacense. Conclusa felicemente la trattativa dopo le titubanze iniziali, entro il mese di maggio il trentaseienne Santurini prendeva alloggio presso la corte di Adelaide Enrichetta e Federico Maria Wittelsbach, preparandosi a ricoprire il ruolo di massimo responsabile degli apparati festivi di corte.[21] 

Le tesi storiografiche circa una precedente esperienza dell’architetto-scenografo veneziano in terra bavarese o non tengono conto della letteratura tedesca,[22] che ormai da tempo ha sgombrato il campo da tali infondate speculazioni,[23] oppure si basano su indizi fuorvianti da tempo archiviati dagli studi più avvertiti.[24] Il primo di questi indizi è dato dalla figura misteriosa del «Welsche Paumaisters Francisci»[25] collegato alla ristrutturazione dell’Opernhaus am Salvatorplatz, primo teatro concepito come edificio a sé stante della Baviera, che ha fatto pensare per mera “assonanza”, ma senza prova alcuna, che quel “Francesco” fosse da identificarsi con Santurini e che a lui spettasse la paternità del teatro.[26] Il secondo indizio consiste nella firma “Francesco Santi” sulle incisioni dell’Oronte, opera di Giorgio Jacopo Alcaini e Johann Caspar Kerll allestita il 13 febbraio 1657 nello stesso teatro monacense: la supposizione che “Santi” fosse forma contratta per “Santurini” è stata messa in ombra dalla più convincente identificazione dello scenografo con il musico Santi, sulla base delle ricerche messe a punto anni or sono da Gertraud Löwenfelder.[27] Fatto sta che, assente il nome di Santurini dai registri contabili di corte ante 1662, l’ipotesi circa sue presunte attività per i Wittelsbach prima di quella data è al momento indimostrabile. Tanto più alla luce del documento viennese citato, che parrebbe attestare che i primi contatti dell’elettorato bavarese a beneficio del veneziano fossero avvenuti proprio in quella circostanza. 

La più antica menzione di Santurini nei documenti tedeschi risale al maggio 1662, quando il Welscher Ingenir fu registrato nel libro paga di corte (l’Hofzahlamtsrechnungen) per il ragguardevole salario mensile di 50 talleri.[28] Complessivamente, grazie alle numerose donazioni che gli furono elargite, pare che il suo stipendio ammontasse a poco meno di 1.000 fiorini l’anno.[29] Un compenso generoso che dà conto della delicatissima incombenza cui fu sottoposto, quella di dirigere la complicata macchina scenografica degli Applausi festivi, la trilogia di «musicali attioni»[30] ideata dal nobile vicentino e gentiluomo da camera dei prìncipi elettori Bissari per celebrare il battesimo dell’erede al trono Massimiliano Emanuele.[31] 

Lo spettacolo diviso in tre parti – l’opera tradizionale Fedra incoronata,[32] la giostra in maschera Antiopa giustificata[33] e la ‘serenata’ intercalata da eventi pirotecnici Medea vendicativa[34] impegnò l’estro creativo e le abilità tecnologiche di Santurini in una intensa preparazione a tempo di record, in cui furono coinvolte numerose maestranze locali, tra le quali il pittore di corte Kaspar Amort, al fianco di tre artigiani del legno, due mastri artificieri e un maestro di lingua tutti provenienti dall’Italia.[35] È lecito pensare che allo stesso veneziano fosse stata offerta la possibilità di scegliere i compatrioti che lo avrebbero assistito, a partire dalla squadra di falegnami composta da Anastasio Marangoni, Aloisio Rosetto e il fidato Francesco Mauro, quest’ultimo già suo probabile collaboratore a Venezia. Lo staff comprendeva anche il compositore di corte Kerll, autore delle musiche (perdute), e il maestro di tornei Vincenzo Castiglione, cui fu affidata la direzione delle coreografie. 

L’esito trionfale di quel ciclo festivo valse certamente a Santurini un’altra commissione di pari prestigio che lo tenne impegnato per svariati mesi consecutivi: la realizzazione del bucintoro.[36] 

Fin dal XVI secolo i duchi bavaresi possedevano una flottiglia sul lago di Starnberg.[37] L’idea maturata nella mente di Ferdinando Maria Wittelsbach era quella di coronare quel piccolo patrimonio con una sfarzosa nave da diporto sul modello di quella dogale dell’amatissima Venezia.[38] Il calafato Santurini, che aveva alle spalle una solida esperienza di ingegnere navale presso l’Arsenale veneziano, era l’uomo giusto per accontentarlo. Antichi dubbi sulla sua paternità dell’opera sono fugati da una inequivocabile lettera di pugno dell’elettrice Adelaide Enrichetta, che gli attribuisce il merito di aver «basty n.re Bucentore».[39] Come se non bastasse un registro di centosessantaquattro pagine con la fatturazione completa dell’imbarcazione informa passo per passo sul procedere dei lavori e sull’imponente squadra di costruttori, artigiani, aiutanti, falegnami, boscaioli, guardiani e interpreti coinvolti.[40] Tra i collaboratori di Santurini c’erano il fidato Francesco Mauro, forte anch’egli del mestiere pluriennale di operaio in Arsenale, e Pietro Renner, verosimilmente loro collega a Venezia;[41] mentre il reclutamento degli artigiani locali fu forse compito di Amort, che assunse la direzione della decorazione pittorica della galea.[42] Anche l’architetto di corte Marx Schinnagl ebbe un ruolo attivo nell’impresa, probabilmente nell’esecuzione degli arredi e di altri elementi strutturali.[43] 

I lavori iniziarono il primo dicembre 1662 e terminarono, dopo ottantasei settimane, a metà agosto 1664. In qualità di capo costruttore dell’opera, Santurini ottenne un salario mensile di 75 fiorini, che gli fu erogato dalla data di inizio cantiere fino allo scadere del gennaio 1665, ben oltre il termine di completamento delle operazioni; in più gli fu corrisposta (fino al 18 ottobre 1664) una rilevante somma di denaro per vitto (vino, pane, birra) e alloggio riscaldato e illuminato. Per parte sua, Francesco Mauro ricevé 36 fiorini al mese, mentre Renner ne percepì 30.[44] 

Il Bucintoro fu varato assai prima della chiusura del registro dei pagamenti, nell’estate del 1663. Lo chiarisce una lettera del 5 luglio di quell’anno in cui Adelaide Enrichetta racconta alla madre di essere in procinto di recarsi insieme ai figli «deux iours à Starneberg a la belle galere que S.H.E. à faict faire».[45] Tuttavia i lavori non erano ancora del tutto conclusi e la nave aveva bisogno di continua assistenza. Uno scambio di missive del gennaio 1664 (1663 more veneto) tra l’agente di Ferdinando Maria e il Reggimento dell’Arsenale documenta la necessità di ottenere da Venezia «un huomo habile a regger le vele, e dargli a suo tempo la concia […] che per qualche tempo possi andare a quel servizio».[46] Che ci si rivolgesse per questa mansione a un professionista veneziano non deve stupire: in assenza di manuali o di scuole di formazione specifiche,[47] i segreti della messa in assetto e del calafataggio di simili imbarcazioni circolavano oralmente di generazione in generazione tra le famiglie che operavano nei cantieri navali della Serenissima ed erano di loro esclusivo dominio. 

La nave che «Nicolo de Demitrio calafato da Maglio»,[48] inviato a Monaco dal Reggimento dell’Arsenale di Venezia, si trovò davanti a Starnberg era una bireme a tre ponti lunga 34 metri, larga 8,5 e alta 6,[49] che poteva accogliere fino a cinquecento persone compreso l’equipaggio.[50] Rispetto al bucintoro veneziano del 1606 al quale pure si ispirava,[51] quello messo a punto da Santurini era più largo per garantire – in corrispondenza del secondo ponte – la disposizione di capienti sale per l’alloggio dei prìncipi, della corte e dei loro ospiti.[52] Il ponte inferiore era occupato dai rematori (fino a centoventi), mentre quello superiore era destinato ad accogliere i musicisti, i cortigiani meno illustri, il timoniere e uno schieramento di cannoni pronti per il saluto.[53] 

Alcuni dipinti e incisioni poco più tardi mostrano in tutta la sua magnificenza l’orgoglio del mecenatismo targato Wittelsbach:[54] una imbarcazione blu e bianca – i colori dell’elettorato bavarese – adorna di pitture, statue e decorazioni dorate. La stessa Adelaide Enrichetta era entusiasta della nave ammiraglia voluta dallo sposo,[55] come si apprende da una lettera al marchese di San Tommaso del 12 settembre 1664 in cui la principessa raccontava di essere «venuë au lac de Starnberg, pour prendre quelque divertissement sur le tres-superbe Bucentore que S.A.E. a faict bastir».[56] 

Il bucintoro tenne impegnato Santurini fino agli ultimi giorni della sua presenza a Monaco. Lo documentano le voci di pagamento a lui intestate, registrate nell’Hofzahlamtsrechnungen anno per anno a partire dal 1666.[57] L’ultimo compenso gli fu erogato nel 1669: «Francesco Santurini gewester Schifmaister zu Starnberg für Außlesungs spesa laut Rechnung fl. 127».[58] 

La permanenza del veneziano presso i Wittelsbach fu, a quanto risulta, continuativa: oltre al bucintoro, il Welscher Ingenir realizzò nel 1665, in occasione del battesimo del principe Luigi Amedeo Gaetano, le scenografie de L’amor della patria superiore ad ogn’altro[59] e de I trionfi di Baviera,[60] un’opera e un balletto allestiti rispettivamente nell’Opernhaus am Salvatorplatz e nel teatro provvisorio della Herculessaal della Residenza.[61] Ipotesi circa suoi temporanei rientri in patria durante il periodo bavarese non sono al momento documentabili. Non è lui il Francesco Santurini, «detto Negro», che stilò nel 1666 l’inventario degli elementi scenografici al teatro San Moisè di Venezia.[62] Non lo è perché nella citata «Nota de Architetti migliori di Venetia e de Marangoni» l’estensore del documento menziona, oltre al nostro scenografo, un certo «Santorini Negri, Marangon […] infarinato dell’arte»,[63] che a questo punto va piuttosto identificato con l’omonimo quondam Antonio, per l’appunto “marangone” (falegname) di professione, che fu poi impresario proprio al San Moisè, quindi al Sant’Angelo.[64] 

Entro l’autunno del 1669, dunque, carico di onori, il quarantaduenne Santurini riprese la via dell’Italia. Una lettera di Adelaide Enrichetta al fratello evidenziava, non senza rammarico, l’ineluttabile partenza di un cavallo di razza: 

Celuy qui rendrà cellecy a V.A.R. est l’Ingenieur Santurinj de Venise, qui nous à si bien servy icy pour le Theatre, que sans les incommoditez de l’air, qui ne luy estoit point salutaire, on ne l’auroit jamais laissè partir de Baviere. J’ay donc voulu le recommander à V.A.R. dans le dessein qu’il à d’aller à Turin pour luy offrir sa personne, et ses services. Et comme il s’entend en toutes choses, ayant mesme basty n.re Bucentore, j’espere qu’elle aurà plaisir de connoistre un tres habil’homme en matiere de Machines pour toute sorte de festes. Je supplie pourtant V.A.R. de croire qu’il se rendrà bien digne de sa protection, et des graces qu’elle luy voudrà departir a la consideration de la priere que luy en fait celle qui est tres passionnement.[65] 

Non sappiamo se la raccomandazione torinese dell’elettrice sortì gli esiti sperati. Quel che è certo è che di lì a poco Santurini avrebbe riconquistato il suo ruolo di architetto al teatro di San Luca.[66] 

In seguito al suo definitivo rientro a Venezia, Francesco Santurini venne soprannominato – come attesta Bartolomeo Dal Pozzo – “il Baviera”.[67] A suggello di un’esperienza straordinaria alla quale sarebbe rimasto per sempre legato nella memoria collettiva.



[1]  Pare che, violando le regole della corte viennese, una sorella di Burnacini avesse sposato in segreto, con il consenso del fratello, un valletto di palazzo. Di questa vicenda dà dettagliata notizia A. SOMMER-MATHIS, Lodovico Ottavio Burnacini scenografo e costumista di Antonio Draghi, in «Quel novo Cario, quel divin Orfeo». Antonio Draghi da Rimini a Vienna. Atti del convegno internazionale (Rimini, 5-7 ottobre 1998), a cura di E. SALA e D. DAOLMI, Lucca, LIM, 2000, pp. 387-410: 391-392.

[2]  «Questo è il Meglio, li ho fatto parlare e li ho parlato, non si sà risolvere, richiede magg.re tempo a risolversi, ha casa numerosa, Moglie, molti figlioli, tre fratelli che tutti lo dissuadono, però lui potendo migliorare il suo utile si lasciarebbe credo io disponere, qui fra diversi impieghi che ha continovi [= continui] nel Arsenale e governo del teatro San Gio: e Paolo cavarà d’utile in circa sei cento taleri, oltre li straordinarij che in breve tempo lor [sic] fanno guadagnar molto, cioè quando vengono chiamati fuori da questi Duchi per un Opera sola, questa consideratione havranno ancora tutti gli altri che [cancellatura] li cessarà questo straordinario, benché li crescesse l’ordinario utile» (Wien, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Obersthofmeisteramt Sonderreihe 367, cc. 623r-624v: 623r). Il documento, reso noto da Sommer-Mathis (Lodovico Ottavio Burnacini scenografo e costumista di Antonio Draghi, cit., p. 392 nota 12), è databile ante 8 aprile 1662 (cfr. infra nota 8). Gasparo Mauro (1627-1715 ca.) faceva parte di una celebre dinastia di architetti, scenografi e ingegneri teatrali (cfr. E. POVOLEDO, Mauro, in Enciclopedia dello Spettacolo, Roma, Le Maschere, 1960, vol. VII, coll. 310-321).

[3]  Così viene qualificato nelle pubblicazioni relative al suo atto di matrimonio del 21 febbraio 1657 more veneto (= 1658) con Anna figlia di Vincenzo «Vice Protto [= Capo] di Marangoni [= Falegnami]»: ASPV, Parrocchia di San Pietro, Registri dei matrimoni, reg. 7, cc. 78v-79r, 3 febbraio 1657 more veneto (= 1658). Il documento è stato pubblicato da A. AMBROSIANO, I Mauro e Antonio Vivaldi: nuove informazioni e spunti di riflessione, in «Studi vivaldiani», 2018, 18, pp. 3-39: 20 e nota 83.

[4]  Ossia Francesco (1622-1687), Pietro (1634-1714) e Domenico (1642-1712). I quattro fratelli lavorarono spesso insieme come apparatori di spettacoli. Per la genealogia dei Mauro: G. STEFANI, Nuovi documenti su Domenico Mauro e figli, in Illusione e pratica teatrale. Atti del convegno internazionale di studi in onore di Elena Povoledo (Venezia, 16-17 novembre 2015), a cura di M.I. BIGGI, Firenze, Le Lettere, 2016, pp. 284-293; AMBROSIANO, I Mauro e Antonio Vivaldi, cit., p. 30.

[5]  Su costui si consultino almeno le seguenti voci enciclopediche: E. VON CRANACH-SICHART, Santurini, Francesco, in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler: von der Antike bis zur Gegenwart, a cura di U. THIEME e F. BECKER, Leipzig, Seemann, 1935, vol. XXIX, pp. 452-453 (con bibliografia); E. POVOLEDO, Santurini, Francesco (detto il Baviera), in Enciclopedia dello Spettacolo, cit., vol. VIII (1961), coll. 1497-1498; M. VIALE FERRERO, Santurini, Francesco (I), in The New Grove Dictionary of Opera, a cura di S. SADIE, London, Macmillan, 1992, vol. IV, pp. 174-175 (con bibliografia).

[6]  Wien, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Obersthofmeisteramt Sonderreihe 367, c. 623r (nel documento si legge, per un evidente refuso, «Francesco Lantorini»). La lista degli architetti prosegue con un certo «Pellegimo», seguito da Antonio Bottari e da tre marangoni; questi ultimi preceduti, nientemeno, da Giacomo Torelli e Gasparo Vigarani, entrambi al rientro dalla Francia: «Del Torelli non ho potuto cavar altra informatione. Dell’altro dicono che sii homo di tutto proposito e che eccedi nella sua professione la riga ordinaria» (ivi, 623v-624r).

[7]  È il titolo originale del documento succitato.

[8]  Lettera dell’imperatore Leopoldo I al conte Humprecht Jan Czernin, 8 aprile 1662, in SOMMER-MATHIS, Lodovico Ottavio Burnacini scenografo e costumista di Antonio Draghi, cit., p. 391 nota 11.

[9]  Wien, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Obersthofmeisteramt Sonderreihe 367, c. 623r.

[10]  La voce enciclopedica di riferimento è quella dell’Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, cit., che a sua volta si rifà a cataloghi biografici ottocenteschi di area tedesca: F.J. LIPOWSKY, Baierisches Künstler-Lexikon, München, Fleischmann, 1810, 2 voll., vol. II, pp. 66-67; Neues allgemeines Künstler-Lexicon, oder, Nachrichten von dem Leben und den Werken der Maler, Bildhauer, Baumeister, Kupferstecher, Formschneider, Lithographen, Zeichner, Medailleure, Elfenbeinarbeiter, etc., a cura di G.K. NAGLER, München, Fleischmann, 1835-1852, 22 voll., vol. XVI (1845), p. 6. Lo studioso Per Bjurström aveva a suo tempo supposto che il Santurini incontrato a Venezia dall’architetto svedese Nicodemus Tessin nel carnevale 1688 fosse Francesco anziché, com’è molto probabile, Stefano (cfr. P. BJURSTRÖM, Giacomo Torelli and Baroque Stage Design, Stockholm, Nationalmuseum, 1962, p. 233 nota 7; per il brano di Tessin: N. TESSIN THE YOUNGER, Travel Notes 1673-77 and 1687-88, a cura di M. LAINE e B. MAGNUSSON, Stockholm, Nationalmuseum, 2002, p. 357).

[11]  Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Parrocchia di San Pietro di Castello, Registri dei morti, reg. 7, c. 60r., 20 settembre 1682.

[12]  Cfr. documento infra a nota 65.

[13]  Il presunto documento procurato da Felix Joseph Lipowsky sulla permanenza di Santurini presso la corte bavarese fino alla data di morte non è mai stato ritrovato: G. LÖWENFELDER, Die Bühnendekoration am Münchner Hoftheater von den Anfängen der Oper bis zur Gründung des Nationaltheaters 1651-1778, Dissertation zur Erlangung der Doktorwürde der Philosophischen, Fakultät der Ludwig-Maximilians-Universität zu München, 1955, 2 voll., vol. I (relatore: prof. Dr. Hans Heinrich Borcherdt), p. 132 nota 105.

[14]  Come molti suoi colleghi scenografi, a partire da Giacomo Torelli: P. BJURSTRÖM, Nicodemus Tessin il Giovane: Descrizione delle macchine sceniche nei teatri veneziani, 1688, in Giacomo Torelli. L’invenzione scenica nell’Europa barocca, catalogo della mostra a cura di F. MILESI (Fano, 8 luglio-30 settembre 2000), Fano, Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, 2000, pp. 29-32: 29-30. La contiguità tra cantiere navale e teatro, con provvide ricadute tecnologiche dell’uno nell’altro, è uno dei grandi capitoli della storia dello spettacolo moderno d’occidente.

[15]  Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Parrocchia di San Pietro di Castello, Registri dei morti, reg. 6, c. 164r, 30 marzo 1679.

[16]  Le fortune di Rodope e Damira, Venezia, Andrea Giuliani, 1657. Santurini e Mauro furono i «Direttori de le Scene, e Machine», mentre gli esecutori delle scenografie erano Antonio Lech, Antonio Zanchi e Giovan Battista Recaldi (ivi, pp. 9-10). La poesia era di Aurelio Aureli. Cfr. F. MANCINI-M.T. MURARO-E. POVOLEDO, I teatri del Veneto, vol. I. to. I. I teatri di Venezia. Teatri effimeri e nobili imprenditori, Venezia, Regione del Veneto, Giunta regionale-Corbo e Fiore, 1996, p. 369.

[17]  L’incostanza trionfante overo il Theseo, Venezia, Andrea Giuliani, 1658 (citazione a p. non numerata). La musica era dello stesso Ziani, la poesia di Francesco Piccoli. La prima dell’opera andò in scena il 19 gennaio 1658 (cfr. B.L. GLIXON-J.E. GLIXON, Inventing the Business of Opera. The Impresario and His World in Seventeenth-Century Venice, Oxford, Oxford University Press, 2006, p. 329).

[18]  Antioco, Venezia, Andrea Giuliani, 1658. La poesia era di Nicolò Minato. Lo spettacolo debuttò il 25 gennaio 1659 (cfr. GLIXON-GLIXON, Inventing the Business of Opera, cit., p. 330). Sulla macchina produttiva di quest’opera: L. BIANCONI-T. WALKER, Production, Consumption and Political Function of Seventeenth-Century Opera, in «Early Music History», 4, 1984, pp. 209-296 (in partic. per Santurini vedi p. 225). È possibile che Santurini fosse lo scenografo del San Cassiano anche per la stagione 1659-1660, con Elena di Minato-Cavalli (cfr. GLIXON-GLIXON, Inventing the Business of Opera, cit., p. 330).

[19]  Quell’anno si diede La Pasife di Giuseppe Artale, con intonazione di Daniele da Castrovillari, ed Eritrea di Giovanni Faustini, su musica di Cavalli (cfr. GLIXON-GLIXON, Inventing the Business of Opera, cit., p. 331).

[20]  Sulla cronologia dell’opera: ivi, p. 332.

[21]  Cfr. CRANACH-SICHART, Santurini, Francesco, cit., p. 452; VIALE FERRERO, Santurini, Francesco (I), cit., p. 174.

[22]  A partire dall’egregio lavoro di Löwenfelder, tutto basato su ricerche d’archivio: Die Bühnendekoration am Münchner Hoftheater, cit.

[23]  Divulgate fino ai nostri giorni dalla voce biografica dell’Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, cit.

[24]  Con dubbie argomentazioni Marialuisa Angiolillo mette in discussione le tesi di Löwenfelder (M. ANGIOLILLO, Lo spettacolo barocco a Venezia, Roma, Guidotti, 1998, pp. 111-113).

[25]  Cfr. LÖWENFELDER, Die Bühnendekoration am Münchner Hoftheater, cit., p. 24.

[26]  Cfr. le giuste osservazioni di Löwenfelder (ivi, pp. 24 e 150 nota 81). Che fosse Santurini (in collaborazione con Francesco Mauro) il costruttore dell’Opernhaus am Salvatorplatz viene reiterato dagli studi più recenti: cfr. e.g. M. CIAMMAICHELLA, Scenografia e prospettiva nella Venezia del Cinquecento e Seicento. Premesse e sviluppi del teatro barocco, Napoli, La scuola di Pitagora, 2021, 156-157.

[27]  Cfr. LÖWENFELDER, Die Bühnendekoration am Münchner Hoftheater, cit., pp. 26-27.

[28]  L’Hofzahlamtsrechnungen è conservato presso il Bayerisches Hauptstaatsarchiv. Vedi la nota seguente.

[29]  Riporto qui le voci dell’Hofzahlamtsrechnungen relative a Santurini sub anno 1662: «Bl. 498a: Francesco Santurini Ingeniern dessen bsoldung Monats Mai, Juni, Juliy, Augusti, Septembris, das vom 1. bis 8. October in allem an dem Ime monatlich verwilligt 50 Thaler… fl. 393,45; Bl. 499: Saturini [sic] und… jedem zur Zöhrung… fl. 42; Bl. 594: F. S. welschen Ingenier ein laut Ordinanz v. 23. July dis Jahrs wochentlich 3 fl. Costgelt angeschaft worden, thuet des jahrs 150 fl. thuet das ratum so er empfangen fl. 33» (LÖWENFELDER, Die Bühnendekoration am Münchner Hoftheater, cit., Anhang, p. 3).

[30]  Fedra incoronata, Monaco, Gioann Iekelino, 1662, p. n.n.

[31]  Sugli Applausi festivi cfr. in particolare: C. MOLINARI, Le nozze degli dèi. Un saggio sul grande spettacolo italiano nel Seicento, Roma, Bulzoni, 1968, pp. 194-197; G. SCHONE, Les grandes fêtes de Munich en 1662, in «Baroque», V, 1972, pp. 121-127; J. SCHLÄDER, Das Fest als theatrale Fiktion von Wirklichkeit: über die Bühnenästhetik der Münchner “Applausus festivi” von 1662, in «Basler Jahrbuch für historische Musikpraxis», XXIII, 1999, pp. 41-58; W. HELLER, Loving Theseus: The Spectacle of Feminine Passions on the Munich Stage (1662), in «Basler Jahrbuch für historische Musikpraxis», XXXIII, 2009, pp. 197-212; ID., Phaedra’s Handmaiden: Tragedy as Comedy and Spectacle in Seventeenth-Century Opera, in Ancient Drama in Music for the Modern Stage, a cura di P. BROWN e S. OGRAJENŠEK, Oxford, Oxford University Press, 2010, pp. 67-84: 76-84; S. BRACCA, L’occhio e l’orecchio: immagini per il dramma per musica nella Venezia del ’600. Incisori, pittori e scenografi all’Opera con un repertorio dei libretti illustrati stampati in Laguna tra il 1637 e il 1719, Treviso, ZeL, 2014, pp. 186-193; A. GARAVAGLIA, Il mito delle Amazzoni nell’opera barocca italiana, Milano, LED, 2015, pp. 111-123; E. MERINO, Escenarios de poder en el Seicento. La escenografía veneciana de fin de siglo y su proyección europea. Francesco Santurini, in «Ludica», XXVI, 2020, pp. 35-49.

[32]  Cfr. infra nota 30.

[33]  Antiopa giustificata, Monaco, Gioann Iekelino, 1662. Sulla definizione di “giostra”: B. GESSI, Il giuoco de’ cavalieri. Discorso sopra le Giostre, ed i Tornei, in Prose de’ Signori Accademici Gelati di Bologna […], a cura di G.B. CAPPONI, Bologna, Manolessi, 1671, pp. 5-63: 18-19.

[34]  Medea vendicativa, Monaco, Gioann Iekelino, 1662.

[35]  In particolare, tra gli italiani risultavano operativi gli artificieri Satter e Dormitosa e il maestro di lingua Ludovico Bonda; tra i pittori e gli scultori bavaresi figuravano Mathias Schöfflhueber, Franz Koch, Balthasar Egger, Johann Maria Holzmair, Johann Wilhelm Holzmair, Johann Adam Holzmair, Hans Georg Pichler, Hans Georg Irmkauf, Adam Grißmann, Mathias Schüz, Johann Pader, Balthasar Ableitner (cfr. LÖWENFELDER, Die Bühnendekoration am Münchner Hoftheater, cit., Anhang, pp. 3-4).

[36]  Sul bucintoro bavarese cfr. soprattutto H. SIMONSFELD, Der Bucintoro auf dem Starnberger See, in Jahrbuch für Münchener Geschichte, a cura di K. VON REINHARDSTÖTTNER e K. TRAUTMANN, Bamberg (München), Buchnersche, 1890, vol. IV, pp. 175-214; R. VON BARY, Henriette Adelaide von Savoyen. Kurfürstin von Bayern, München, Süddeutscher, 1980: 179-191; G. SCHOBER, Prunkschiffe auf dem Starnberger See: Eine Geschichte der Lustflotten bayerischer Herrscher, München, Suddeutscher, 1982; H. KURZ, Barocke Prunk- und Lustschiffe am kurfürstlichen Hof zu München, München, UNI-Druck, 1993, pp. 20-117; L. URBAN, L’iconografia dell’ultimo Bucintoro della Serenissima e bucintori oltre Venezia, in Il Bucintoro dei Savoia. Contributi per la conoscenza e per il restauro. Atti del convegno internazionale di studi (Torino, 22-23 marzo 2012), a cura di S. DE BLASI, Torino, Editris, 2012, pp. 47-59: 54-55. 

[37]  Questa fu bruciata dagli svedesi durante la Guerra dei Trent’anni e poi sostituita (cfr. BARY, Henriette Adelaide von Savoyen, cit., p. 180).

[38]  Pare che l’idea del bucintoro fosse stata concepita da Bissari (cfr. ivi, p. 180). Sul bucintoro veneziano cfr. in particolare Con il legno e con l’oro. La Venezia artigiana degli intagliatori, battiloro e doratori, a cura di G. CANIATO, Verona, Cierre, 2009; D. SUCCI, Il Bucintoro nella grande arte della Serenissima, Treviso, ZeL, 2017 (con bibliografia).

[39]  Cfr. infra il documento alla nota 65.

[40]  L’Ueber das grosse Leibschöff und der aufgesetzten neuen Schöff- und werckhütten zue Starnberg Anno 1663 è conservato presso lo Staatsarchiv München (cfr. KURZ, Barocke Prunk- und Lustschiffe am kurfürstlichen Hof zu München, cit., pp. 25 e 263 nota 5).

[41]  Cfr. ivi, pp. 24 e 26.

[42]  Cfr. ivi, pp. 26, 30, 32 e 51.

[43]  Cfr. ivi, pp. 27-28.

[44]  Cfr. ibid.

[45]  Lettera di Adelaide Enrichetta a Maria Cristina di Savoia detta “Madama Reale”, 5 luglio 1663, Torino, Archivio di Stato, Materie politiche per rapporto all’interno, Storia della Real Casa, Lettere diverse della Real Casa, Lettere principi diversi, mazzo 23, fascicolo 2, documento n. 59 (la lettera si trova già menzionata in C. MERKEL, Adelaide di Savoia elettrice di Baviera. Contributo alla storia civile e politica del Milleseicento, Torino, Bocca, 1892, p. 376). In effetti, dalle fatture del registro di conti si evince che la nave fu portata in acqua all’inizio di giugno (cfr. KURZ, Barocke Prunk- und Lustschiffe am kurfürstlichen Hof zu München, cit., p. 25).

[46]  Documenti citati in Appendice (Beilagen) da SIMONSFELD, Der Bucintoro auf dem Starnberger See, cit., pp. 204-205.

[47]  Cfr. KURZ, Barocke Prunk- und Lustschiffe am kurfürstlichen Hof zu München, cit., p. 268 nota 84.

[48]  SIMONSFELD, Der Bucintoro auf dem Starnberger See, cit., p. 205.

[49]  Più precisamente, era lunga 100 piedi, larga 25 e alta 17 (cfr. KURZ, Barocke Prunk- und Lustschiffe am kurfürstlichen Hof zu München, cit., p. 31).

[50]  Cfr. ivi, p. 38.

[51]  Cfr. ivi, pp. 42-49. Il grande bucintoro veneziano fu varato il giorno dell’Ascensione del 1606 sotto il doge Leonardo Donà. Questa elegante galea era ben nota grazie alla circolazione di incisioni quali quella di Giacomo Franco intitolata Il Nobilissimo et gran vasccelo Bucintoro (1610).

[52]  Cfr. ivi, p. 45.

[53]  Cfr. ivi, p. 31.

[54]  Cfr. ivi, pp. 31-32.

[55]  Fu Ferdinando Maria a commissionare la nave: BARY, Henriette Adelaide von Savoyen, cit., pp. 182-183.

[56]  Torino, Archivio di Stato, Materie politiche per rapporto all’interno, Storia della Real Casa, Lettere diverse della Real Casa, Lettere principi diversi, mazzo 23, fascicolo 3, documento n. 64 (la lettera si trova già menzionata in MERKEL, Adelaide di Savoia elettrice di Baviera, cit., p. 376).

[57]  Riporto qui le voci dell’Hofzahlamtsrechnungen post 1662 relative a Santurini: «1666. Bl. 400: …welscher Ingenir hat vom 24. Marty a 1665 bis 6. Dezembris a 1665 alsda er abgefertiget worden, wegen verferttigung der Starnbergischen Schiff vom Hofzalamt empfangen crafft Schein v. verzeichnus fl. 1 300. 1667. Bl. 577: … ist wegen verferttigung 2 Schöf auf dem Starnberg See vermög Ordinanz monatlich mit 50 thaler und ein Adiunst mit 30 thaler, so lang sie mit verfettigung diser Schöf zuthun haben werden vom 23. August dieß Jahrs angeschafft worden, thuet dem Santur. monatl. 75 und dem Adiuncten 45 zusammen 170 des Jahrs… fl. 1 440. 1668. Bl. 561: Francesco Santurini wegen verferttig. 2 Schif aufn Starnberg Ses monatlich 50 Thaler und sein Adiunet 30 Thaler, doch nur so lang sie mit verfertig. diser Schöf zuthum haben werden, thust monatlich 120 und des Jahrs fl. 1440. Weillen er zu Starnberg bezalt wird als empfängt er disserorts - fl.; Bl. 401. Unter der Rubrik Abferttigung: Francesco Santurini per dergl. laut Scheins fl. 150. 1669. Bl. 421a: Francesco Santurini gewester Schifmaister zu Starnberg für Außlesungs spesa laut Rechnung fl. 127» (LÖWENFELDER, Die Bühnendekoration am Münchner Hoftheater, cit., Anhang, p. 3).

[58]  Cfr. nota precedente.

[59]  L’amor della patria superiore ad ogn’altro, Monaco, Luca Straub, 1665. La poesia era di Francesco Sbarra, la musica di Kerll. Sei incisioni di Melchior Küsell accluse al libretto illustrano le scenografie di Santurini.

[60]  I trionfi di Baviera, senza luogo, senza editore, [1665].

[61]  Cfr. LÖWENFELDER, Die Bühnendekoration am Münchner Hoftheater, cit., pp. 42-43.

[62]  Venezia, Archivio di Stato, Notarile. Atti, b. 6111, cc. 74r-v, 21 luglio 1679 (notaio Marco Fratina). Il documento è parzialmente trascritto in GLIXON-GLIXON, Inventing the Business of Opera, cit., pp. 249-255, 343-344, ma scambiando il Francesco Santurini lì citato con il “nostro” omonimo quondam Stefano.

[63]  Wien, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Obersthofmeisteramt Sonderreihe 367, c. 624r.

[64]  A meno che non esistesse un terzo omonimo scenografo, ma lo ritengo poco probabile. Su costui: G. STEFANI, Francesco Santurini impresario d’opera a Venezia (1674-1683), in «Drammaturgia», XV / n.s. 5, 2018, pp. 55-82, con bibliogafia.

[65]  Lettera di Adelaide Enrichetta al fratello Carlo Emanuele, 22 novembre 1669: «Colui che presterà questo servizio a Vostra Altezza Reale è l’ingegner Santurini di Venezia, che ci ha servito qui per il teatro così bene, che senza l’inconveniente dell’aria, che non gli era affatto salutare, non gli avremmo mai stato concesso di lasciare la Baviera. Volevo quindi raccomandarlo a Vostra Altezza Reale intendendo costui andare a Torino per offrire la sua persona e i suoi servizi. E siccome lui se ne intende di tutto, avendo anche imbastito il nostro Bucintoro, spero che ella sarà contento di conoscere un uomo molto bravo in fatto di macchine per ogni tipo di festa. Supplico pertanto Vostra Altezza Reale di credere che saprà rendersi degno della sua protezione e delle grazie che ella vorrà concedergli in considerazione della preghiera che le è stata fatta da una persona molto appassionata» (Torino, Archivio di Stato, Materie politiche per rapporto all’interno, Storia della Real Casa, Lettere diverse della Real Casa, Lettere principi diversi, mazzo 25, fascicolo 2, documento n. 10). La prima menzione della lettera si trova in G. CLARETTA, Adelaide di Savoia, duchessa di Baviera e i suoi tempi: narrazione storica, Torino, Stamperia reale di G. B. Paravia e Comp., 1877, p. 150, mentre il primo a pubblicarne qualche stralcio è stato MERKEL, Adelaide di Savoia elettrice di Baviera, cit., pp. 375-376, nota 2.

[66]  Lo attesta un inventario del teatro del 9 dicembre 1669 firmato insieme a Francesco Santurini quondam Antonio, pubblicato in MANCINI-MURARO-POVOLEDO, I teatri del Veneto, cit., pp. 265-266. Il 22 agosto 1670 il nostro Santurini stilò un altro inventario del medesimo teatro: M.T. MURARO, Teatro, scena, messinscena, il lessico degli addetti ai lavori, in Scena e messinscena. Scritti teatrali 1960-1998, a cura di M.I. BIGGI, con una premessa di P. PETROBELLI e M. VIALE FERRERO, Venezia, Marsilio, 2004, pp. 135-143. Successivamente, nel 1679-1680, Santurini operò al Teatro di villa Contarini a Piazzola sul Brenta.

[67]  Il ben informato Bartolomeo Dal Pozzo annota che il pittore-scenografo Antonio Zannoni, «con la pratica, che v’hebbe con l’Ingegnero Francesco Santurini detto il Baviera, pervenne alla cognizione delle machine sceniche […]» (B. DAL POZZO, Le vite de’ pittori, degli scultori, et architetti veronesi […], Verona, Giovanni Berno, 1718 [rist. anast. Bologna, Forni, 1976], p. 9 [pagina aggiunta]).



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