Sul principio del 1662, desiderando rimpiazzare larchitetto-scenografo Lodovico Ottavio Burnacini alla corte di Vienna a causa del suo coinvolgimento in un illecito amoroso, limperatore Leopoldo I si informava presso il proprio ambasciatore a Venezia su chi fossero i più validi sostituti su piazza. Linterpellato, il conte Humprecht Jan Czernin, non aveva dubbi: il migliore in circolazione era Gasparo Mauro, attivo in quegli anni in città al teatro dei Santi Giovanni e Paolo e allArsenale, dove era impiegato come «calafà» ovvero calafato. Se proprio non si fosse riusciti a strappare il Mauro dalla morsa dei tanti impegni lavorativi e dalla famiglia numerosa, di cui facevano parte i tre attaccatissimi fratelli, il primo della lista era Francesco figlio di Stefano Santurini. Ma cera un problema: Questo Francesco sta in Trattato dandar in Baviera, dice se però il parto dellElettrice sarà dun Maschio, ma non per restarvi; solo che lo chiamaran per un opera sola che si farà, onde lui che dice che lasciarebbe quel partito transitorio per acquistar con qualche suo Vantaggio un servitio fermo in una Corte grande, non volse dichiararsi se prima non se li diceva cosa era solito darsi a Vienna il che io non sapevo. Alla prova dei fatti, le cose alla corte di Monaco sarebbero andate secondo i migliori auspici. La coppia elettorale avrebbe avuto il figlio maschio desiderato e Santurini avrebbe accettato lincarico, che prevedeva non una, bensì tre opere, più una serie di mansioni che lo avrebbero trattenuto in terra bavarese ben oltre i termini preventivati. Quanto allaffaire viennese, si risolse in un nulla di fatto: Burnacini fu perdonato e reintegrato, mentre la «Nota de Architetti migliori di Venetia e de Marangoni» compilata dal conte Czernin, anziché essere stracciata, fu conservata «pro memoria» in caso di necessità, giungendo fortunatamente fino ai nostri giorni. Quale fosse stato esattamente il percorso che portò Santurini alla corte bavarese non è chiaro. Certo è che, come attesta il documento citato, la sua fama era ormai accreditata a livello europeo. Stando alle parole del conte Czernin, Santurini era allora l«Architetto nel Theatro di S. Luca», vale a dire di uno dei più importanti teatri della Serenissima Repubblica, di proprietà dei patrizi Vendramin. Questo dato, finora ignorato dalla storiografia, contribuisce a integrare la lacunosa biografia di un personaggio ancora in parte sfuggente. Di Francesco Santurini non si sa molto. Si apprendono dai dizionari tedeschi le date di nascita e di morte, che sarebbero avvenute rispettivamente a Venezia nel 1627 e a Monaco di Baviera nel 1682. A giudicare dallinedito certificato di morte rinvenuto nei registri della parrocchia veneziana di San Pietro di Castello, gli estensori di quelle voci biografiche erano abbastanza ben informati, malgrado la défaillance sulla collocazione geografica del decesso: [Venezia, 20 settembre 1682]
Messer Francesco del quondam Stefano Santurini Calafà dellArsenal danni 50 in circa dà molto tempo indisposto, soppragionto da febre in giorni tre morse. Il Medico Melis fà sepelir Messer Zuanne Mauri. Stà in Corte di San Zuanne. Del resto, come avrebbe rivelato Adelaide Enrichetta in una lettera al fratello Carlo Emanuele del 22 novembre 1669, Santurini mal sopportava il clima della bassa Baviera, cosa che gli avrebbe impedito di trattenersi troppo a lungo alla corte di Monaco. Non sarà un caso che, scaduti i termini degli accordi, la sua presenza negli archivi tedeschi sparisce del tutto. Dunque, Santurini svolgeva il mestiere di calafato allArsenale. A seppellirlo fu Zuanne Mauro, presso la cui abitazione in corte di San Zuanne forse si era trasferito in seguito alla dipartita della quarantenne moglie Corona, con la quale aveva abitato poco distante «in Riello». La consuetudine con la famiglia Mauro avvalora il rapporto “fraterno” con Francesco Mauro, padre di Zuanne, che a più riprese collaborò con lui in terra germanica. La prima notizia che collega Santurini al “mestiere” di scenografo risale al 1657, quando il suo nome figura nel libretto de Le fortune di Rodope e Damira di Pietro Andrea Ziani al Teatro di SantAponal a fianco di un altro Mauro, il già menzionato Gasparo, fratello di Francesco. Da allora la sua carriera prendeva quota. Lanno successivo era al Teatro di San Cassiano con Lincostanza trionfante overo il Theseo, sempre con Gasparo, a supporto del «maestro delle scene» Gasparo Beccari, mentre il carnevale seguente nella stessa sala curava la parte macchinistica dellAntioco su musica di Francesco Cavalli. È possibile che già nella stagione teatrale 1660-1661 Santurini fosse lo scenografo di riferimento del San Luca; di sicuro fu lui a realizzare le mutazioni sceniche di Cleopatra di Giacomo DallAngelo e Daniele da Catrovillari, il cui debutto nella sala Vendramin è datato al 29 gennaio 1662. Di lì a poco il calafato prestato al teatro sarebbe entrato nella sfera di interesse della diplomazia monacense. Conclusa felicemente la trattativa dopo le titubanze iniziali, entro il mese di maggio il trentaseienne Santurini prendeva alloggio presso la corte di Adelaide Enrichetta e Federico Maria Wittelsbach, preparandosi a ricoprire il ruolo di massimo responsabile degli apparati festivi di corte. Le tesi storiografiche circa una precedente esperienza dellarchitetto-scenografo veneziano in terra bavarese o non tengono conto della letteratura tedesca, che ormai da tempo ha sgombrato il campo da tali infondate speculazioni, oppure si basano su indizi fuorvianti da tempo archiviati dagli studi più avvertiti. Il primo di questi indizi è dato dalla figura misteriosa del «Welsche Paumaisters Francisci» collegato alla ristrutturazione dellOpernhaus am Salvatorplatz, primo teatro concepito come edificio a sé stante della Baviera, che ha fatto pensare per mera “assonanza”, ma senza prova alcuna, che quel “Francesco” fosse da identificarsi con Santurini e che a lui spettasse la paternità del teatro. Il secondo indizio consiste nella firma “Francesco Santi” sulle incisioni dellOronte, opera di Giorgio Jacopo Alcaini e Johann Caspar Kerll allestita il 13 febbraio 1657 nello stesso teatro monacense: la supposizione che “Santi” fosse forma contratta per “Santurini” è stata messa in ombra dalla più convincente identificazione dello scenografo con il musico Santi, sulla base delle ricerche messe a punto anni or sono da Gertraud Löwenfelder. Fatto sta che, assente il nome di Santurini dai registri contabili di corte ante 1662, lipotesi circa sue presunte attività per i Wittelsbach prima di quella data è al momento indimostrabile. Tanto più alla luce del documento viennese citato, che parrebbe attestare che i primi contatti dellelettorato bavarese a beneficio del veneziano fossero avvenuti proprio in quella circostanza. La più antica menzione di Santurini nei documenti tedeschi risale al maggio 1662, quando il Welscher Ingenir fu registrato nel libro paga di corte (lHofzahlamtsrechnungen) per il ragguardevole salario mensile di 50 talleri. Complessivamente, grazie alle numerose donazioni che gli furono elargite, pare che il suo stipendio ammontasse a poco meno di 1.000 fiorini lanno. Un compenso generoso che dà conto della delicatissima incombenza cui fu sottoposto, quella di dirigere la complicata macchina scenografica degli Applausi festivi, la trilogia di «musicali attioni» ideata dal nobile vicentino e gentiluomo da camera dei prìncipi elettori Bissari per celebrare il battesimo dellerede al trono Massimiliano Emanuele. Lo spettacolo diviso in tre parti – lopera tradizionale Fedra incoronata, la giostra in maschera Antiopa giustificata e la ‘serenata intercalata da eventi pirotecnici Medea vendicativa – impegnò lestro creativo e le abilità tecnologiche di Santurini in una intensa preparazione a tempo di record, in cui furono coinvolte numerose maestranze locali, tra le quali il pittore di corte Kaspar Amort, al fianco di tre artigiani del legno, due mastri artificieri e un maestro di lingua tutti provenienti dallItalia. È lecito pensare che allo stesso veneziano fosse stata offerta la possibilità di scegliere i compatrioti che lo avrebbero assistito, a partire dalla squadra di falegnami composta da Anastasio Marangoni, Aloisio Rosetto e il fidato Francesco Mauro, questultimo già suo probabile collaboratore a Venezia. Lo staff comprendeva anche il compositore di corte Kerll, autore delle musiche (perdute), e il maestro di tornei Vincenzo Castiglione, cui fu affidata la direzione delle coreografie. Lesito trionfale di quel ciclo festivo valse certamente a Santurini unaltra commissione di pari prestigio che lo tenne impegnato per svariati mesi consecutivi: la realizzazione del bucintoro. Fin dal XVI secolo i duchi bavaresi possedevano una flottiglia sul lago di Starnberg. Lidea maturata nella mente di Ferdinando Maria Wittelsbach era quella di coronare quel piccolo patrimonio con una sfarzosa nave da diporto sul modello di quella dogale dellamatissima Venezia. Il calafato Santurini, che aveva alle spalle una solida esperienza di ingegnere navale presso lArsenale veneziano, era luomo giusto per accontentarlo. Antichi dubbi sulla sua paternità dellopera sono fugati da una inequivocabile lettera di pugno dellelettrice Adelaide Enrichetta, che gli attribuisce il merito di aver «basty n.re Bucentore». Come se non bastasse un registro di centosessantaquattro pagine con la fatturazione completa dellimbarcazione informa passo per passo sul procedere dei lavori e sullimponente squadra di costruttori, artigiani, aiutanti, falegnami, boscaioli, guardiani e interpreti coinvolti. Tra i collaboratori di Santurini cerano il fidato Francesco Mauro, forte anchegli del mestiere pluriennale di operaio in Arsenale, e Pietro Renner, verosimilmente loro collega a Venezia; mentre il reclutamento degli artigiani locali fu forse compito di Amort, che assunse la direzione della decorazione pittorica della galea. Anche larchitetto di corte Marx Schinnagl ebbe un ruolo attivo nellimpresa, probabilmente nellesecuzione degli arredi e di altri elementi strutturali. I lavori iniziarono il primo dicembre 1662 e terminarono, dopo ottantasei settimane, a metà agosto 1664. In qualità di capo costruttore dellopera, Santurini ottenne un salario mensile di 75 fiorini, che gli fu erogato dalla data di inizio cantiere fino allo scadere del gennaio 1665, ben oltre il termine di completamento delle operazioni; in più gli fu corrisposta (fino al 18 ottobre 1664) una rilevante somma di denaro per vitto (vino, pane, birra) e alloggio riscaldato e illuminato. Per parte sua, Francesco Mauro ricevé 36 fiorini al mese, mentre Renner ne percepì 30. Il Bucintoro fu varato assai prima della chiusura del registro dei pagamenti, nellestate del 1663. Lo chiarisce una lettera del 5 luglio di quellanno in cui Adelaide Enrichetta racconta alla madre di essere in procinto di recarsi insieme ai figli «deux iours à Starneberg a la belle galere que S.H.E. à faict faire». Tuttavia i lavori non erano ancora del tutto conclusi e la nave aveva bisogno di continua assistenza. Uno scambio di missive del gennaio 1664 (1663 more veneto) tra lagente di Ferdinando Maria e il Reggimento dellArsenale documenta la necessità di ottenere da Venezia «un huomo habile a regger le vele, e dargli a suo tempo la concia […] che per qualche tempo possi andare a quel servizio». Che ci si rivolgesse per questa mansione a un professionista veneziano non deve stupire: in assenza di manuali o di scuole di formazione specifiche, i segreti della messa in assetto e del calafataggio di simili imbarcazioni circolavano oralmente di generazione in generazione tra le famiglie che operavano nei cantieri navali della Serenissima ed erano di loro esclusivo dominio. La nave che «Nicolo de Demitrio calafato da Maglio», inviato a Monaco dal Reggimento dellArsenale di Venezia, si trovò davanti a Starnberg era una bireme a tre ponti lunga 34 metri, larga 8,5 e alta 6, che poteva accogliere fino a cinquecento persone compreso lequipaggio. Rispetto al bucintoro veneziano del 1606 al quale pure si ispirava, quello messo a punto da Santurini era più largo per garantire – in corrispondenza del secondo ponte – la disposizione di capienti sale per lalloggio dei prìncipi, della corte e dei loro ospiti. Il ponte inferiore era occupato dai rematori (fino a centoventi), mentre quello superiore era destinato ad accogliere i musicisti, i cortigiani meno illustri, il timoniere e uno schieramento di cannoni pronti per il saluto. Alcuni dipinti e incisioni poco più tardi mostrano in tutta la sua magnificenza lorgoglio del mecenatismo targato Wittelsbach: una imbarcazione blu e bianca – i colori dellelettorato bavarese – adorna di pitture, statue e decorazioni dorate. La stessa Adelaide Enrichetta era entusiasta della nave ammiraglia voluta dallo sposo, come si apprende da una lettera al marchese di San Tommaso del 12 settembre 1664 in cui la principessa raccontava di essere «venuë au lac de Starnberg, pour prendre quelque divertissement sur le tres-superbe Bucentore que S.A.E. a faict bastir». Il bucintoro tenne impegnato Santurini fino agli ultimi giorni della sua presenza a Monaco. Lo documentano le voci di pagamento a lui intestate, registrate nellHofzahlamtsrechnungen anno per anno a partire dal 1666. Lultimo compenso gli fu erogato nel 1669: «Francesco Santurini gewester Schifmaister zu Starnberg für Außlesungs spesa laut Rechnung fl. 127». La permanenza del veneziano presso i Wittelsbach fu, a quanto risulta, continuativa: oltre al bucintoro, il Welscher Ingenir realizzò nel 1665, in occasione del battesimo del principe Luigi Amedeo Gaetano, le scenografie de Lamor della patria superiore ad ognaltro e de I trionfi di Baviera, unopera e un balletto allestiti rispettivamente nellOpernhaus am Salvatorplatz e nel teatro provvisorio della Herculessaal della Residenza. Ipotesi circa suoi temporanei rientri in patria durante il periodo bavarese non sono al momento documentabili. Non è lui il Francesco Santurini, «detto Negro», che stilò nel 1666 linventario degli elementi scenografici al teatro San Moisè di Venezia. Non lo è perché nella citata «Nota de Architetti migliori di Venetia e de Marangoni» lestensore del documento menziona, oltre al nostro scenografo, un certo «Santorini Negri, Marangon […] infarinato dellarte», che a questo punto va piuttosto identificato con lomonimo quondam Antonio, per lappunto “marangone” (falegname) di professione, che fu poi impresario proprio al San Moisè, quindi al SantAngelo. Entro lautunno del 1669, dunque, carico di onori, il quarantaduenne Santurini riprese la via dellItalia. Una lettera di Adelaide Enrichetta al fratello evidenziava, non senza rammarico, lineluttabile partenza di un cavallo di razza: Celuy qui rendrà cellecy a V.A.R. est lIngenieur Santurinj de Venise, qui nous à si bien servy icy pour le Theatre, que sans les incommoditez de lair, qui ne luy estoit point salutaire, on ne lauroit jamais laissè partir de Baviere. Jay donc voulu le recommander à V.A.R. dans le dessein quil à daller à Turin pour luy offrir sa personne, et ses services. Et comme il sentend en toutes choses, ayant mesme basty n.re Bucentore, jespere quelle aurà plaisir de connoistre un tres habilhomme en matiere de Machines pour toute sorte de festes. Je supplie pourtant V.A.R. de croire quil se rendrà bien digne de sa protection, et des graces quelle luy voudrà departir a la consideration de la priere que luy en fait celle qui est tres passionnement. Non sappiamo se la raccomandazione torinese dellelettrice sortì gli esiti sperati. Quel che è certo è che di lì a poco Santurini avrebbe riconquistato il suo ruolo di architetto al teatro di San Luca. In seguito al suo definitivo rientro a Venezia, Francesco Santurini venne soprannominato – come attesta Bartolomeo Dal Pozzo – “il Baviera”. A suggello di unesperienza straordinaria alla quale sarebbe rimasto per sempre legato nella memoria collettiva.
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