Nel maggio 1976 andava in scena al Piccolo Teatro di Milano Le Balcon di Jean Genet, con la regia di Giorgio Strehler. Suoi anche la traduzione e ladattamento. Il regista, reduce dai successi degli allestimenti del Giardino dei ciliegi (1974) e del Campiello (1975) e in previsione della Tempesta (1976-1977), rendendosi conto della novità della scelta, motivava in pubblico la propria impresa. Sulla drammaturgia e la linea estetica, precisava: Il testo per questa edizione del Balcon di Jean Genet si fonda sulle tre diverse versioni che la storia di questopera permettono di identificare e di distinguere: la prima stesura del 1956, pubblicata dallArbalète, che è stata la prima ad essere rappresentata; la seconda del 1960, che presenta notevolissime varianti rispetto alla prima e che rimane la più comunemente nota, figurando dal 1968 nelle Œuvres complètes (Gallimard) ed infine – tuttora inedita – quella usata per lallestimento di Antoine Bourseiller nel 1969 a Marsiglia e nel 1975 al Théâtre Récamier di Parigi. Anche questa versione presenta notevoli varianti rispetto alle edizioni a stampa e lo stesso Genet, in quelloccasione, aveva confessato linsoddisfazione per Le Balcon e di considerarlo démodé et ambigu, superato e ambiguo. Levento creava unattesa della quale la stampa approfittò per amplificarla. Il regista annunciava infatti una svolta del suo impegno, così da alimentare un interessante dibattito lungo le repliche dello spettacolo. Nel resoconto, Strehler parla di “Le Balcon”, si evidenziavano le riserve dellartista sul testo: Una grande idea che non si attua. Cè una frattura tra intuizione e svolgimento scritto [di Genet]. Come giudico questo testo? Non lo considero un esempio specifico di teatro della cerimonia o del fuori della storia, né un gioco mostruoso del riflesso nel riflesso, ma non lo vedo nemmeno come unopera coerente e conclusa […]. Per me Le Balcon è una grande, grandissima idea drammaturgica che però non sa organizzarsi definitivamente. Tra intuizione e svolgimento scritto resta una frattura. […] Ho tagliato tutti i riferimenti della rivoluzione. Nella casa degli specchi se ne avvertono solo gli echi, i rumori. Ma è una presenza essenziale. Per questo la voce non poteva essere anonima ma importante come quella di Milva. Nellesposizione del progetto, la cronaca coglieva anche particolari sullallestimento, quali le nudità provocanti delle filles del bordello che, nella «luccicante e cupa scatola di Damiani», ricordano «un Salon Kitty metafisico». Ma laudace volgarità poteva convenire a una ieraticità casta e persino severa. Le questioni principali sorsero dalladattamento e dalle sue conseguenze sulla ricezione degli spettatori e della critica, poiché il dibattito investiva logicamente la resa scenica, in rapporto alle intenzioni (dichiarate e/o presunte) di Genet. Il Programma di sala si apriva peraltro con una “presentazione” di Luigi Lunari, a riepilogo del pensiero del direttore, ben sintonizzata sulla reazione prevista allevento. Le domande dallesterno riguardavano le scelte registiche in ordine alle “prescrizioni” dellautore, del resto mutevoli lungo le varianti da lui stesso introdotte, quali lAvertissement (1960) e Comment jouer “Le Balcon” (1962), che esprimono con lintransigenza estetica, l'immancabile polemica dellautore verso le realizzazioni. Lartiste na pas – ou le poète – pour fonction de trouver la solution pratique des problèmes du mal. […] Mais lœuvre sera une explosion active, un acte à partir duquel le public réagit, comme il veut, comme il peut. Si dans lœuvre dart le bien doit apparaître, cest par la grâce des pouvoirs du chant. Figure e funzioni, nel gioco degli specchi La struttura e lo scopo espressivo di Le Balcon, le sue modifiche talvolta contraddittorie, hanno sempre sconcertato i lettori e gli interpreti interessati. Il testo pubblicato nella «Pléiade» registrava ledizione critica più avanzata e le fonti dellopera, senza esaurirne le ipotesi interpretative. In particolare, la triade di pièces coeve, Splendids e Le Balcon – con “Elle” al centro – permette di verificare come lautore affidi lo stesso ruolo dImmagine alle tre figure analoghe del Papa, di Irma-la-Regina e del Poliziotto: «Image qui les irréalise tout en les magnifiant». Tale è lossessione di bandire il reale, che nel Balcon il Meccanico, interpretato da un cliente troppo abile, viene allontanato («À lusine!») perché la sua perizia rischierebbe di realizzare una macchina perfettamente funzionante. Si comprende come Strehler, pur disponendo di sufficienti documenti probanti, incontrasse difficoltà nellintervenire drammaturgicamente allo scopo di serbare una sostanziale fedeltà allopera mentre perseguiva la propria visione creativa. Si fornisce appena un sunto del soggetto e qualche cenno allesegesi che, già abbondante nel 1976, sarà aggiornata lungo lanalisi. Lopera, in nove quadri di ineguale lunghezza e sostanza, è divisibile in tre sequenze coerenti: Quadri I-V, Quadro VI, Quadri VII-IX. I. Una persona vestita da Vescovo conversa con una presunta prostituta (La Penitente) sulla propria funzione religiosa. È un uomo qualunque che sfoga le sue fantasie erotiche e metafisiche. Irma, tenutaria del bordello Le Balcon, segue la scena. II. Una persona travestita da Giudice si interroga sul proprio potere con la complicità di una ragazza (La Ladra). Il loro rapporto sadomasochista (colto nel suo ripetersi) è reso esplicito dalla presenza dun Carnefice (Arturo). III. Un individuo timido si traveste da Generale per vivere una morte eroica in battaglia, assecondato da una ragazza che mima il ruolo della sua cavalcatura (La Cavalla). IV. Un vecchietto vestito come un barbone, riflesso in tre specchi, si fa maltrattare da una puttana. V. Nella sua stanza Irma conversa con Carmen (ragazza promossa a segretaria) sulla funzione della sua casa di “illusioni”: lo scopo non è soddisfare sessualmente i clienti, ma realizzare simbolicamente i loro desideri più segreti. Allusioni a Chantal (ex prostituta) e a Georges, il Capo Polizia che ambisce alla glorificazione quale Figura del bordello. Arturo, uscito a cercarlo, muore colpito da una pallottola. VI. Allesterno, dialogo fra Roger (capo rivoluzionario, ex idraulico del Balcon) e Chantal (ora sua compagna di lotta), sulle sorti della rivolta. VII. Allinterno del Balcon, lInviato della Regina riferisce sulla disfatta dellautorità costituita. Il Capo Polizia vorrebbe intervenire per ristabilire il Potere, ma lInviato propone che Irma impersoni la Regina, fornendone unalternativa simbolica e sostitutiva dellAssenza e lei accetta. Georges, vedendo sfumare il ruolo di salvatore della patria, chiede di accedere da vivo al Mausoleo, pur di conquistare la gloria delleroe. VIII. Nel progetto dellInviato, gli attori nei ruoli tenuti nel bordello – Vescovo, Giudice e Generale, Irma (la Regina), affiancati da Georges (Capo Polizia) – si presentano al balcone del palazzo quali figure funzionali del potere per patteggiare con Chantal, rappresentante della Rivoluzione. Il Mendicante grida: «Viva la Regina!» e uno sparo uccide Chantal. IX. Ritorno allordine, sotto il nuovo potere delle Figure, fotografate in immagini ufficiali. Un colpo di scena completa la Nomenclatura, mancante ancora del Capo Polizia: Roger desidera come cliente impersonarne il ruolo, sicché anche a Georges verrà riconosciuta la funzione ambita. Lo fa castrandosi, cioè castrando il simbolo (o modello) che è diventato. Nella vertiginosa confusione di reale e immaginario, con linsediamento di Georges nel mausoleo, anche il Capo Polizia assume funzione dominante. Irma spegne le luci nei salotti del casino-teatro, preparando il nuovo spettacolo, eterna ripetizione di illusioni e di riflessi negli specchi. Traduzione e adattamento Lelaborazione è importante e tale da trasformare il senso del dramma, sia per la misura e la qualità dei tagli, sia per la traduzione-riscrittura necessaria. Il nuovo copione (la copia-base, non quella del regista, è un dattilo di 114 fogli consultabile presso larchivio del Piccolo Teatro) consta di dieci quadri. Lentità dei tagli riguarda circa la metà delle battute dei quadri originali. Il Q. IV è eliminato, per riapparire in un flash al Q. VIII. Il Q. V resta, ma ridotto e con notevoli interpolazioni. Il Q. VI (allesterno, fra i rivoluzionari) è eliminato e sostituito con una scena dedicata a Santa Teresa e al Vecchio Peccatore, che però non viene rappresentata. Il Q. VII resta il più lungo e vicino alloriginale, pure rimaneggiato per lassenza dei riferimenti ai personaggi eliminati. Il Q. VIII è altro inserto (in quattro scene, di cui soltanto la prima sarà rappresentata) che ripetono in flash le situazioni delle tre “stanze” iniziali. Il Q. IX, con la Parata dei Poteri, corrisponde al Q. VIII originale. Il Q. X corrisponde al Q. IX originale. Sul palcoscenico, verso una speranza “rivoluzionaria” Della rappresentazione (vista in anteprima il 19 maggio, avendone seguito parte delle prove), si richiamano i momenti essenziali e i particolari più significativi per verificarne laderenza alloriginale e coglierne limpressione performativa dassieme. Per Genet, i Quadri dovrebbero susseguirsi per scorrimento: «La scène se déplace de gauche à droite, comme si elle senfonçait dans la coulisse». Invece al Piccolo la scena è unica e fissa, con semplici mutamenti degli accessori e delle loro collocazioni. La rappresentazione era divisa in due tempi con intervallo (copione) come nelledizione 1956. Nel Quadro I, in apertura il Vescovo (Renato De Carmine) col pastorale è in adorazione della mitria e compiaciuto per le vesti in pizzo ricamate. Nellenormità delle “ali” della cappa, la statura è accresciuta da scarpe ortopediche. La puttana che recita la Penitente (Cristina Gaioni) sta in piedi, al lavabo. Il Vescovo si corica a mani giunte e la richiesta di confessione è poco insistita. Irma, la tenutaria (Anna Proclemer), veglia sullesecuzione corretta della scena. Il Q. II vede il confronto fra il Giudice (Enzo Tarascio) e la Ladra (Anna Saia), in presenza del Carnefice (Arturo, impersonato da Alan Steel) armato di frusta. Compreso del suo ruolo, esige dalla ragazza rigore e sudditanza: «Chiamami Signor Carnefice». Il Giudice gode dellabbaiar del cane a cui si presta il gioco del Carnefice. Si umilia e striscia davanti alla Ladra riconoscendole il ruolo che giustifica e rende autorevole il suo. Chiude la scena una musica dorgano rombante. Il Q. III mostra un Generale (Tino Carraro) imbranato di fronte a Irma autoritaria, ma conciliante. Luomo impaziente al ritardo della ragazza si trucca allo specchio posto in funzione di “quarta parete”. Il cavallo (nel testo, un giocattolo già in scena) sarà impersonato dalla donna: entrando seminuda, con tacchi a spillo, reca costume e accessori da Generale con cui si vestirà il cliente. Lui la tratta come fosse la sua cavalcatura ammaestrata da circo (come tale, il suono di marcia), alla quale ha messo il morso. Lazione mima le fasi di un assalto, di una rischiosa conquista, e si conclude con la morte, immaginaria ma gloriosa, del Generale. Posto su una sedia a rotelle, la ragazza cantando lo trascina con le briglie fuori scena. Ancora la musica dorgano. La nudità esibita dalle ragazze, più che provocante e davvero seducente, esibisce una lascivia di maniera. Prendono pose da cariatide, specialmente la Cavalla, imbrigliata al seno e col braccio proteso in un gesto retorico. Ricorrono ampi tagli e i raccordi sono delladattatore. Del Q. IV resta una traccia appena visiva del vecchio Mendicante che nelloriginale esigeva dalla partner frustate e una parrucca piena di pulci. Il Vecchio riapparirà un istante al Quadro VIII. In ogni scena Irma interviene anche per controllare la riscossione del prezzo pattuito. Q. V, in presenza di Carmen (Giulia Lazzarini), Irma dalla sua stanza scruta ogni angolo del Palazzo mediante un visore ottico. È padrona sempre insicura del potere, sia nella gestione della Maison, sia rispetto alla “regia” della rappresentazione. Lautore suggerisce una rivalità latente e insolubile con Carmen, sua contabile e confidente: «Qui dirige – la maison et la pièce? Carmen ou Irma?». La prostituta, ormai esentata dal “servizio”, ricorda la figlia lontana e rimpiange soprattutto, fra le interpretazioni più richieste, quella della Madonna di Lourdes (Immacolata Concezione), che recitava per un ragioniere del Crédit Lyonnais. Ora, mentre Irma le propone il ruolo inedito di Santa Teresa, si ode il canto di Chantal (con la voce di Milva). Molte variazioni sul tema dei ruoli e sul potere della puttana risultano tagliate. La loro conversazione tocca anche Chantal, che ha lasciato il bordello per unirsi ai rivoltosi. In attesa del Capo Polizia, momenti di confidenza (vigilata da convenzioni) fra le due donne e uno di tenerezza omosessuale riconoscibile, molto discreto e misurato. Entra Arturo a riferire dellultima seduta conclusa da Carnefice e quando Carmen lo ammonisce sulle esigenze delle finzioni programmate, lui si pavoneggia. Danza il tango, prima con Carmen (che raduna gli accessori del carnefice), poi con Irma che lo blandisce e gli promette una nuova parte in cui interpreterà un “cadavere”. E lo invia in cerca del Capo Polizia. Questi è già in arrivo, per riferire dellaggravarsi della situazione esterna. Sempre più esasperato dal desiderio di salire di rango, poiché nessuno ha finora chiesto di rappresentarlo nel bordello. Solo con Irma riscopre il loro legame, sempre sospeso fra realtà e illusione. Complicato da gelosia di lui e tensione allassoluto di lei verso una verginità ambigua. Nel litigio lui la schiaffeggia. Torna il canto della rivoluzionaria, nella voce di Milva che sullaria della Marsigliese improvvisa lallegria furiosa della lotta, echeggia forte e la musica sale, chiudendo il Primo tempo. Omesso il quadro VI, il VII, nella stanza di Irma, vede Carmen, il Capo Polizia e linviato Plenipotenziario (Renzo Ricci). Su un catafalco di marmo finto, il cadavere (finto) di Arturo. Sode unesplosione che secondo lInviato riguarda il Palazzo Reale. Colà la Regina, nel racconto del suo Inviato (quasi “regista”), è intenta a ricamare e a distrarsi in gesti futili e assurdi, segno della sua aspirazione allAssenza. Irma concepisce lidea di sostituirla. Il discorso assume connotazione politica (nella stentorea pronuncia fascista) guidato dallInviato che suggerisce la sostituzione dei ruoli del potere effettivo (travolti dalla Rivoluzione) con personaggi del Balcon. «Se la Regina è morta, Viva la Regina!», insinua alludendo a Irma e scegliendo le Figure da quelle del Balcon. Il Capo Polizia protesta per lesclusione dai nuovi poteri, mentre lInviato procede a organizzare la parata che li renderà ufficiali. In un lampo (Q. VIII-A) appaiono il Mendicante e la Signora in pelliccia che gli dà una frustata ed egli grida: «Viva la Regina!». Accordi percussivi di pianoforte sostengono limpulso impresso allincipiente controrivoluzione. Ha inizio una sequenza dalla ritualità epica (Q. IX). La scena è invasa da nebbia dincenso. Campane, organo e trombe musicano la parata dei poteri: le Figure – Vescovo, Giudice, Generale e Irma-Regina – sfilano in piena luce fra gli spettatori (la “folla”) nella moltiplicazione dei riflessi sulle pareti e sullo sfondo per poi avviarsi al balcone, dove lInviato convaliderà un po pirandellianamente lazione, sanzionando i ruoli di ciascuno. Sul balcone (visto dallesterno) si espongono in mostra i Personaggi (escluso il Capo Polizia), tutti ostentando gli orpelli del potere. Snodo capitale, perché in origine vi appariva Chantal: lInviato la presentava alla Regina, una pallottola vagante la uccideva e i due la trascinavano fuori. Leliminazione dellepisodio è scelta drammaturgica molto discutibile. Infatti, «en abattant Chantal, le faux-vrai – pouvoir, a abattu le symbole de la révolution, donc sa force». Laccompagnamento dorgano diffonde note funebri solenni. «I Personaggi si fermano poi tra gli specchi, moltiplicati allinfinito. Diventano immagini immobili e irraggiungibili». Le Figure si spostano al proscenio, dove si attardano a conversare stranamente allegri e a fare progetti, in tono ironico e consci della mascherata, finché non li scuote il Capo della Polizia (Franco Graziosi), ansioso e zelante nel propiziarsi laccesso alla nomenclatura. Nellultima sequenza, nella camera di Irma a soqquadro, la Regina e lInviato discutono sullessenza del potere, soggetta allambiguità dellessere e dellapparire. Le Figure già accreditate e insediate si rassicurano nelle funzioni, mentre Georges insegue il suo miraggio, avanza diritti e pretese, contestando i rivali già soddisfatti in una dialettica dei rapporti di potere: «Comando io. Organizzo io […]. La mia immagine è ancora in Movimento […]. Sono lUomo del Destino». Gli manca soltanto lessere rappresentato nel bordello. E finalmente intuisce la soluzione: proporrà di apparire sotto forma di un fallo gigantesco, il che affascina le Figure già glorificate e ne eccita la fantasia. In quella irrompe Carmen, sconvolta e insanguinata. Narra concitata dellincontro con un cliente che le ha chiesto una prestazione nella quale impersonare il Capo Polizia. Era Roger, lamico di Chantal che si castrava per distruggere (simbolicamente) quella funzione ufficiale. Carmen sviene e Georges si rallegra: lessere stato imitato garantisce la sua apoteosi, che mostra di godere fiero e prepotente. La scena si chiude con la recita del Padre nostro, in un coro grottesco e inquietante. Nel finale del Quadro X (e del dramma), Irma si toglie la parrucca da Regina. Vaga con una candela accesa sul candeliere, spegne via via le luci (non le candele, da copione) e udendo ancora degli spari chiede di chi siano, se dei ribelli o dei “nostri”. È Carmen – invece del Plenipotenziario – a risponderle: «Qualcuno che sogna». Quella sostituzione (di personaggio e battuta) è altro punto dolente su cui si sofferma la critica che, pur non conoscendo il copione, offre commenti pertinenti e articolati. Quello di Ugo Ronfani sente nella soluzione una residua «speranza… in un futuro diverso che apre uno spaccato di cielo e di stelle nel sepolcro faraonico in cui Genet aveva sepolto per sempre i Valori costituiti». Ma contesta: «Benissimo: però allora bisognerà rinunciare a celebrare ciò che è lelemento fondamentale della drammaturgia di Genet, il suo odio per lal di qua delle cose, la sua concezione del teatro come rito propiziatorio per domare, diceva Artaud, le potenze sconosciute». Nello spazio scenico Nel dispositivo scenico, tutte le superfici formano un involucro riflettente, di cellophane o stagnola, compreso il pavimento. Le strutture edili in marmo e granito bordano anche il proscenio e lo spazio del mausoleo. Gli oggetti-arredo (da sinistra a destra da sala), un lavabo e un paravento a tre pannelli, poltroncina su rotelle, valigia aperta, due mobiletti-comodini, un grammofono a tromba, unaltra poltroncina mobile. Anche i costumi si accordano allepoca fra le due Guerre. Certe richieste di Genet si modificano e i coturni diventano scarpe ortopediche. Vistosità ed eccesso caratterizzano gli accessori delle Figure. Il Vescovo, con tiara e pastorale. Cappotto lungo, elmetto borchiato e sciabola, stivali con speroni e il monocolo, per il Generale, che spogliandosi resta in camicia. Toga bianca a maniche larghe e cappello con fregi e codice in mano, porta il Giudice, dalle spalle enormemente allargate. La Cavalla reca finimenti a reggiseno e cache-sex e la parrucca è di capelli biondi, lunghi e sciolti. I guanti neri, scarpe di vernice nera e ginocchiere imbottite. Per la Penitente, un body quale intimo e calze neri; velo bianco e coroncina in testa. La Ladra con pagliaccetto-sottoveste e giarrettiere. Irma veste un corpetto nero a paillettes scollato a V e vestito lungo (non il previsto tailleur nero e cappello “à bride serrée”), poi giacca sovrapposta. I capelli bruni, lisci e raccolti. Da Regina, indosserà la parrucca. Per Carmen, un body nero a rete copre lombelico e capelli con fiocco; poi un velo bianco monacale, oltre al body con giarrettiere. Il Plenipotenziario ha leleganza ufficializzata dallo smoking. Arturo, magnaccia e Carnefice (quasi culturista esibizionista) a torso nudo, pantaloni in pelle, con frusta e casco-maschera nera. Il Capo Polizia ha i baffi, veste un lungo cappotto doppiopetto scuro, cravatta e cappello di feltro. Appena visibili, la Signora di Maristella Greco e il mendicante di Armando Benetti. Al balcone del palazzo, le quattro Figure esibiscono il grottesco marcato dellabbigliamento. La Regina, con parruccona nera e corona sui capelli e pesante manto con strascico. Sul Generale svetta lelmo piumato. Il tutto è segnato dalle luci intense e scabre di un proiettore ad arco, che stagliano il trucco espressionisticamente calcato sui volti e qualche tonalità cangiante di colore. Fiorenzo Carpi integra sonorizzazione e musiche in unica partitura, sequenza di brani indicanti la qualità e lorigine dei suoni, canzoni e rumori. Il grammofono suona i dischi richiesti dai clienti, dischi vecchi, fruscianti e che a volte girano a “vuoto”. Un organetto ripete una marcetta militare, in due varianti; poi una marcia funebre è intonata a bocca chiusa dalla Cavalla (Q. III), indicata da Genet in quella di Chopin, proseguita da «uninvisibile orchestra». Fra i rumori, raffiche di mitra e mitragliatrice, scoppi di bombe, colpi di martello su unincudine, vetri infranti, un urlo di donna, una sigla di programma televisivo. Recitazione Lungo le prove, la recitazione che risentiva della celebrità degli interpreti evolveva significativamente. Enrico DAmato notava che limpostazione dei personaggi da parte di Strehler spingeva gli attori a comporre il proprio, che le prove fissavano poi nei dettagli a seconda delle personalità. Tino Carraro si dichiarava sorpreso dallopera: «È insolito. Shakespeare è più facile: basta dire le parole. Qui è la ricerca di qualcosa che non cè. Si va a tentoni». A Carlo M. Pensa, il Generale pareva di «tremebonda e bellicosa viltà» e trovava Renzo Ricci «meraviglioso con tale sublime misura di ironia e inverosimiglianza». Roberto de Monticelli ne ammira la resa «da raisonneur pirandelliano» e ne avrebbe completato il ritratto in Eroe di un teatro lontano: «Difficile dimenticare come soffiava quelle parole gelide, vacue e assurde, col fumo della sigaretta; come faceva, dellironia istrionica […] un delizioso mezzo di straniamento». Anna Proclemer non riusciva a svestirsi da primadonna né a dimenticare la drammaticità naturalistica, che veniva invece contrastata da Renato De Carmine, Enzo Tarascio e Tino Carraro. Del Carnefice, Alan Steel rende ironica la muscolatura. Lazzarini incarnava il bisogno di purezza riservato a Carmen da Genet. Indizi, più che analisi, si incontrano nelle recensioni. Lodi o approvazioni generiche (con qualche ripulsa) in Il Balcone contestato di Grieco, che segnala «la bruttezza dello spettacolo», la «traduzione disperata» rispetto a quella di Caproni, della quale «Strehler ha preferito non tenere conto». Sugli attori, «bene Lazzarini, ottimo Renzo Ricci». Quanto alle ragazze, «poppe al vento, lasciamo stare». In risalto, «la vocazione di prostituta-monaca di Giulia Lazzarini», per De Monticelli, nellarticolato e soppesato intervento: Strehler è riuscito nellimpresa adattando il testo di Genet alla propria misura […]. Riduttivo, ma è legittimo e rimane una delle poche strade possibili per la realizzazione scenica. […] Non teatro della ragione contro il teatro dellirrazionale… se mai quella della grande metafora sociale e storica sempre individuabile allinterno delle più alte ipotesi teatrali… senza lasciarsi suggestionare da ipotesi sociologiche […]. Uno spettacolo teso e alto, duro e coraggioso. Altri, sullautore e il testo: Alberto Blandi: «Un monumento che lautore ancora vivo ha eretto a se stesso […]. Un classico lontano dallattualità» (“Balcone” di Genet tra finzione e realtà, in «La Stampa», 21 maggio 1976). Giancarlo Vigorelli avverte che «Il Balcone non è più avanguardia» («Il Giorno», 21 maggio 1976). Sulladattamento, Sauro Borrelli: «La pur rispettosa interpolazione di Strehler sul testo originale per giungere a questo approdo “positivo” può sembrare in parte meccanica e in parte edificante» (Danza macabra di Genet, «LUnità», 21 maggio 1976). Enrico Filippini critica le scelte rappresentative incongrue rispetto al testo: «Un sommo esempio di ciò che Strehler chiama “teatro dellirrazionale” viene accolto, un po appannato, nel tempio del “teatro del razionale” […]. Un unico piano, secondo un canovaccio tutto sommato espressionista. […] Il testo appare come unennesima denuncia della gratuita violenza del potere. È quello che si chiama “storicizzare”». Senza addentrarsi nella qualità della traduzione, certo riduttiva almeno della peculiarità linguistica, una riscrittura tanto ampia trasforma il senso del dramma. La critica strehleriana al testo è pregiudizio che motiva il rifacimento. Anche la riduzione quantitativa tende a mitigare linsistenza genetiana sulle funzioni delle Figure e dei riflessi delle loro Immagini. Il dramma si basa appunto sul potere di unimmaginazione che supera la realtà; sul rapporto tra linterno del Balcon, luogo del Potere e lesterno della Rivoluzione che al Potere aspira senza raggiungerlo, in ciò simile al processo di Les Nègres. Attenuare tali dicotomie porta a incongruenze e incomprensibilità. La soppressione della coppia rivoluzionaria, perché «non fa progredire il dramma», misconosce la visione di Genet su una Rivoluzione velleitaria che viene neutralizzata e svuotata dallimmaginario, più che dalle armi dei rivoltosi. Così pesa eliminare le scene dellautocastrazione di Roger e delle fotografie ufficiali delle Figure dominanti. Resta altresì inefficace la comparsa del Mendicante nella scena in cui avrebbe dovuto alludere alla presenza dellautore-poeta. Il regista-autore evita i trapassi dallindividuale al collettivo, dal sessuale al politico. Nella storicizzazione del fenomeno della presa del potere, ne raffigura la piramide gerarchica alla cui sommità il Capo Polizia rassomiglia a Hitler. Il presente tentativo di ricostruzione può valere una fase appena della potenziale e necessaria rivalutazione, sia dellimpresa di Strehler, sia della permanente irriducibile ambiguità degli originali.
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