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Stefano Mazzoni

Per Sebastiano Ricci

Data di pubblicazione su web 07/03/2021
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Fu un uomo di vasta cultura Sebastiano Ricci, abituato a interloquire con principi e sovrani, capace d’intrecciare rapporti con protettori quali i Farnese e i Medici e, parimenti, di organizzare una estesa rete di contatti con i professionisti dell’opera in musica. Un personaggio di udienza internazionale frequentato dagli storici dell’arte,[1] ma sinora trascurato o sottovalutato dagli storici dello spettacolo. Il volume di Gianluca Stefani[2] colma tale lacuna prendendo in esame la figura di un pittore di prima grandezza che fu anche impresario d’opera nel complesso organismo dei teatri commerciali del primo Settecento veneziano. 

Fondato su accurate indagini di prima mano e su una capillare conoscenza della storiografia, il lavoro di Stefani disegna, con felice scrittura, vivo senso della storia e gusto per l’inedito, una ricostruzione-interpretazione convincente della carriera teatrale di Ricci (e non solo). La biografia del prismatico artista, caratterizzata da un affarismo spesso spregiudicato, dalla passione per la musica e per il teatro d’opera, nonché da una girandola d’intrighi d’amore che costellò la sua vita, viene restituita a tutto tondo in un’ottica contestuale; e la storia del sistema impresariale dei teatri d’opera di Venezia nei primi trent’anni del Settecento acquisisce notizie di prima mano che permettono di svelare «inimmaginabili intrecci di uomini e di cose» (p. 143). Un approccio in armonia con un fecondo assunto di metodo formulato da Ludovico Zorzi.[3] 

Tale approccio di storicizzazione integrale si abbina a capacità ermeneutiche che consentono allo studioso di intrecciare proficuamente la storia dello spettacolo (intesa a ragione quale storia di eventi e processi complessi e di sistemi di relazioni) con quella dell’arte, del gusto e della cultura. Ne deriva un contributo di ottimo livello scientifico che mette a partito, opportunamente incrociandole, testimonianze letterarie, documenti iconografici e fonti d’archivio all’insegna di una esegesi fine. E piace segnalare che il libro di Stefani, già borsista della Fondazione Giorgio Cini e oggi assegnista presso l’Università di Firenze, ha ottenuto il Premio Ricerca “Città di Firenze”. 

Nel I cap. (Su Sebastiano Ricci: temi e problemi) si sbalza il profilo di Ricci pensandolo anche in rapporto a Antonio Vivaldi: «il confronto tra i due può aiutare a ricostruire una sorta di “identikit” dell’impresario d’opera del primo Settecento, e soprattutto a contestualizzare l’operato del Ricci senior nella complessa macchina teatrale» di Venezia (p. 35). Artista poliedrico e in “moto perpetuo”, Ricci incarnò lo spirito di adattabilità dei pittori veneziani, capaci di misurarsi in ambiti professionali satellitari rispetto alla loro principale occupazione di “depentori”. Ripercorrendo la carriera e la vita privata di Ricci, mediante lo scarno carteggio dell’artista e i documenti iconografici, in particolare le caricature dell’amico Anton Maria Zanetti, così ben indagate da Enrico Lucchese,[4] lo studioso ricostruisce e interpreta i molteplici interessi del pittore, tra cui la ricordata passione teatrale e musicale che si tradusse non solo nell’attività di impresario operistico, ma anche nell’impegno come valente suonatore di chitarra, nonché nella organizzazione di privati spettacoli di burattini. Si pensi alle «commedie de’ Pulcinelli» (p. 30) allestite nella casa veneziana dell’artista. 

Da segnalare, nel godibile II cap., Prima di Venezia (1681-1694), la ricostruzione, non priva di elementi originali e di ipotesi di lavoro economiche, della giovanile carriera riccesca: la proficua e ben retribuita collaborazione come frescante con Ferdinando Bibbiena presso l’oratorio della Madonna del Serraglio a San Secondo nel parmense (1685-1687), che sensibilizzò Ricci alla nuova scenografia (esperienza di formazione decisiva). La realizzazione nel 1690 di un nuovo magnifico sipario a caduta per il restaurato gran teatro Farnese da tempo inattivo, che in quell’anno riprese vita e vide al lavoro Ferdinando Bibiena e i tre fratelli Mauro tutti impegnatissimi nel magniloquente spettacolo Il favore degli dei allestito in occasione dei festeggiamenti per le nozze di Odoardo Farnese con Dorotea Sofia di Neuburg. Sino, infine, alle pagine esemplari dedicate all’attività di impresario e di scenografo al pubblico teatro Pace di Roma nel 1694, allora in concorrenza con i teatri di Tordinona e di Capranica. Attività messa giustamente in rapporto a quella di un amico fraterno di Ricci: il cantante-impresario pavese Giuseppe Calvi, segretario di Ranuccio II e attivo a Parma e a Piacenza come dirigente della macchina teatrale farnesiana. Esperienze parmensi e romane vissute in larga misura da Ricci nell’ombra generosa e rassicurante del figlio di Margherita de’ Medici che gli concesse una “patente di familiarità” (p. 54). Va sottolineata la competenza con cui vengono analizzate le vicende dello spettacolo barocco romano. 

Ma il cuore dell’inchiesta è la ricostruzione dell’attività impresariale veneziana di Ricci. Lo spoglio di molteplici fonti archivistiche ha riportato alla luce documenti inediti relativi al circuito dei teatri commerciali di una capitale dello spettacolo europeo. Non solo. Si storicizzano, contestualizzandoli, i particolari della vicenda professionale di Sebastiano inclusi, a mo’ di prologo, gli importanti contatti di Ricci con il Gran Principe Ferdinando de’ Medici: documentati dal 1704, ma probabilmente iniziati alcuni anni prima e prolungatisi nel corso del tempo. A tale milieu va ricondotto anche lo straordinario ciclo allegorico dipinto dal pittore per il fiorentino palazzo Marucelli che testimonia la svolta strategica impressa dall’artista alla sua pittura a partire dal primo Settecento. Si veda il ben costruito cap. III intitolato Tra Venezia e Firenze (1695-1705). E non si dimentichino, per meglio capire le radici di tale bipolarismo, i solidi legami secenteschi tra gli attivissimi impresari patrizi Grimani e i «Serenissimi fratelli principi impresari» Giovan Carlo, Mattias e Leopoldo de’ Medici. Una articolata rete di relazioni e di scambi tra Firenze e Venezia (e viceversa) solidamente documentata e interpretata dai lavori di Sara Mamone[5] e ora arricchita, sul versante settecentesco, dal recente volume che Caterina Pagnini ha dedicato al fiorentino teatro del Cocomero.[6] 

Nel IV cap. Stefani punta una lente di ingrandimento sull’anticonvenzionale teatro di sant’Angelo ridimensionando la iterata opinione che si trattasse di un teatro secondario, mettendone in valore l’importanza e la vocazione sperimentale capace di lanciare nuove mode e coltivare nuovi talenti. L’autore analizza un ampio spettro di questioni. Sfata luoghi comuni e radicati pregiudizi. Rivitalizza il sottovalutato ruolo esercitato dai numerosi compatroni nella vita impresariale e spettacolare della sala ridisegnando in tal guisa con tratti innovativi, in sintonia con gli studi di Michael Talbot e di Beth L. Glixon e Micky White,[7] la fisionomia produttiva del “famigerato” Sant’Angelo bersaglio degli strali aristocratici di Benedetto Marcello. Costui, si sa, mal sopportava quel piccolo teatro dai modesti mezzi, attento a intercettare i gusti del pubblico, fondato su una consolidata tradizione artigianale e su una impresa commerciale in cui «i tanti cointeressi finanziari e forse anche affettivi spinsero non di rado compatroni e impresari alla cooperazione» (p. 116). Segnalo in particolare le belle pagine originali sull’iniziativa impresariale avviata da Ricci in questo spazio del teatro nella travagliata stagione 1705-1706. Stagione che vide litigiosamente implicati l’inadempiente musicista Girolamo Polani, il Prete Rosso, allora giovane «compositore fantasma» (p. 142), il librettista deluso Francesco Mazzari e il vendicativo impresario vicentino Giovanni Orsatto in lite giudiziaria con il socio Sebastiano. Quest’ultimo dapprima affiancò Orsatto, poi lo sostituì e si trovò al centro di una prolungata tempesta di tribunali. La documentazione prodotta, ampia, qualitativamente apprezzabile e in buona parte inedita, è di tipo prevalentemente giudiziario e notarile. Conferma quanto sia proficuo nel mestiere di storico privilegiare il dato concreto e particolare, nella convinzione che per disegnare i concetti generali occorra prendere le mosse da specifici casi e problemi. 

Nuove notizie sono raccolte e discusse anche nel V cap. dedicato all’anno teatrale 1718-1719, sempre al Sant’Angelo, in cui Ricci senior impresario collaborò con il nipote Marco, ideatore delle mutazioni sceniche di quella stagione che registrò ben sessantacinque recite. Notizie, dicevo, che mettono meglio a fuoco, più in generale, un quadro ancora in parte sfuggente: quello del sistema teatrale operistico lagunare del primo Settecento. Si valorizza, ad esempio, una importante famiglia d’arte, i violinisti Madonis; si dimostra che l’orchestra del Sant’Angelo era formata da quindici elementi (e non da sei-sette strumentisti come in precedenza sostenuto); e si fa luce per la prima volta sull’impresario detto Modotto identificato per via documentale con Antonio Moretti. È lui lo snello vogatore inciso sul frontespizio de Il teatro alla moda di Marcello (1720) in compagnia di Vivaldi e dell’Orsatto immortalati allegoricamente «nel firmamento dell’umorismo» (p. 96). 

Nel finale cap. VI si migra dal Sant’Angelo al glorioso San Cassiano. Anno teatrale 1728-1729. Stagione sovvenzionata dall’impresario-coreografo Gaetano Grossatesta (e non, come spesso si ripete, da suo fratello Antonio, arrangiatore di libretti), nonché dal sempre intraprendente Ricci allora in società con la “virtuosissima” prima donna Faustina Bordoni messa in caricatura da Zanetti sino dai tempi del suo debutto assoluto al San Giovanni Grisostomo dei Grimani. Si sa che fu proprio il più illustre dei teatri d’opera veneziani che in quella stagione ingaggiò una memorabile sfida con il San Cassiano. Da un lato l’agguerrita formazione di talenti canori schierati dalla Bordoni, preferita dagli spettatori stranieri, dall’altro il “fenomeno” solistico Farinelli, al suo esordio sulle scene di Venezia e sostenuto dagli italiani: «S. Cassan è buon e bello / Ma non canta Farinello» (p. 206), si legge in una lettera scritta nel carnevale 1729 e che va oltre il gusto dell’aneddoto. Fu così che Ricci da vecchio divenne un «impresario in angustie» (p. 193). Lo mostra bene la formidabile caricatura dell’Album Cini, opportunamente scelta come immagine di copertina, disegnata dall’amico Zanetti che lo ritrae «pensoroso» non facendo abbastanza «Bollettini in S. Cassiano» (p. 207). Di lì a cinque anni l’artista perse la vita, mentre l’anziana vedova Maddalena van der Meer si consolava di buona lena. In breve: un riuscito esempio di “microstoria” che congeda il lettore dal volume schiudendogli privati orizzonti di vita e facendogli comprendere meglio i non lineari meccanismi di produzione, realizzazione e fruizione dello spettacolo operistico veneziano di quel giro d’anni. 

In conclusione: un libro fondato su indagini originali, capacità interpretative fini, attenzione al particolare e al generale. Limpide la scrittura e la onestà intellettuale. Proficua l’attenzione data alla cultura materiale del teatro. Eccellenti corposi apparati documentari e bibliografici (pp. 215-289) in cui circola il profumo della ricerca.



[1]  Basti qui registrare due iniziative promosse dalla Fondazione Giorgio Cini in occasione dei trecentocinquanta anni dalla nascita dell’artista: Sebastiano Ricci, il trionfo dell’invenzione nel Settecento veneziano, catalogo della mostra a cura di G. PAVANELLO (Venezia, 24 aprile-11 luglio 2010), Venezia, Fondazione Giorgio Cini-Marsilio, 2010; Sebastiano Ricci 1659-1734. Atti del convegno internazionale di studi (Venezia, 14-15 dicembre 2009), a cura di G. PAVANELLO, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 2012.

[2]   G. STEFANI, Sebastiano Ricci impresario d’opera a Venezia nel primo Settecento, Firenze, Firenze University Press, 2015.

[3]  Cfr. L. ZORZI, I teatri di Venezia (secoli XVII-XVII), in I teatri pubblici di Venezia (secoli XVII-XVIII), mostra documentaria e catalogo a cura di L. Z., M.T. MURARO, G. PRATO, E. ZORZI (Venezia, 22 settembre-11 ottobre 1971), Venezia, La Biennale di Venezia, 1971, pp. 9-50: 14-15 (poi ripubblicato con il titolo Venezia: la Repubblica a teatro, in L. ZORZI, Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana, Torino, Einaudi, 1977, pp. 235-291: 243).

[4]  E. LUCCHESE, L’album di caricature di Anton Maria Zanetti alla Fondazione Giorgio Cini, Venezia, lineadacqua-Fondazione Giorgio Cini, 2015.

[5]  Cfr. S. MAMONE, Serenissimi fratelli principi impresari. Notizie di spettacolo nei carteggi medicei. Carteggi di Giovan Carlo de’ Medici e di Desiderio Montemagni suo segretario (1628-1664), Firenze, Le Lettere, 2003; ID., Mattias de’ Medici serenissimo mecenate dei virtuosi. Notizie di spettacolo nei carteggi medicei. Carteggio di Mattias de’ Medici (1629-1667), Firenze, Le Lettere, 2013.

[6]  Cfr. C. PAGNINI, Il teatro del Cocomero a Firenze (1701-1748). Accademici impresari per due dinastie, Firenze, Le Lettere, 2017.

[7]  Cfr. M. TALBOT, A Venetian Operatic Contract of 1714, in The Business of Music, a cura di M. T., Liverpool, Liverpool University Press, 2002, pp. 10-61; B.L. GLIXON-M. WHITE, Creso tolto a le fiamme”: Girolamo Polani, Antonio Vivaldi and Opera Production at the Teatro S. Angelo, 1705-1706, in «Studi vivaldiani», 8, 2008, pp. 3-19.



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