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Stefano Mazzoni

Storia e storiografia del teatro antico e di antico regime

Data di pubblicazione su web 20/11/2017
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1. Nei tempi lunghi della storia dell’Europa moderna gli spazi e le forme dello spettacolo vivono nei paesaggi delle città: urbs e civitas, le pietre e i cittadini. Di più: i cittadini e gli stranieri. Città, culture, committenti, realizzatori e fruitori, idee di teatro e drammaturgie dello spazio, tecnologie e ricadute tecnologiche, forme dello spettacolo e della ricezione sono inscindibili negli orizzonti della nostra disciplina, dico la storia dello spettacolo. Conta, storicizzando, l’accertamento delle discontinuità, delle differenze e delle analogie caratterizzanti, nella architettura del tempo e nei diversi milieux, sistemi di relazioni che hanno generato specifici contesti e spazi, processi ed eventi. Officine delle modalità di percezione e rappresentazione di sé (e dell’altro); serbatoi di sapienze performative e artigianali; specchi, fedeli o deformanti, di mentalità e di orizzonti d’attesa, di miti, esperienze e idee, di simboli e di valori. Costellazioni problematizzanti di un universo “altro”, ludico e metaforico, da sottoporre al vaglio dell’interpretazione rapportandole ai processi di trasmissione memoriale, alle fenomenologie del potere e della cultura, alla scena urbana e al fluire in essa della vita. Tant’è che lo storico dello spettacolo può ben dirsi, anzitutto, uno storico delle culture urbane. E mi preoccupa l’attuale perdita del sentimento della storia.[1]     

2. Sappiamo, già con il Marx dei Grundrisse der Kritìk, che anche la storia dell’antichità classica è storia di città.[2] Non solo. Nelle sue diverse e discontinue fasi, il mondo antico è caratterizzato da capitali differenze dal nostro modo di essere e di pensare a fronte di analogie ingannevoli. Si ponga mente, ad esempio, all’antropologia sonora del mondo antico in rapporto alle città greche, ellenistiche e romane. Di tale multiforme mondo di città del “crocevia” Mediterraneo conosciamo, in qualche misura, le tracce dei testi urbani, ma cosa resta delle sonorità del tempo della festa e del quotidiano in quegli specifici testi? Silenti vestigia e voci inafferrabili. Resta che lo «spettacolo antico è comunque il sistema più resistente della storia europea».[3] E sono sempre più convinto che senza una solida conoscenza del teatro antico e di quello di antico regime, nei loro plurisecolari diversi intrecci e nelle loro multiformi ricezioni (ogni epoca, per dirla col Warburg della conferenza su Rembrandt, «ha la rinascita dell’antichità che si merita»),[4] sono convinto, dicevo, che sia più difficile interpretare anche una parte non secondaria del teatro europeo del Novecento e del nostro presente. Da qui il titolo della nostra tavola rotonda che intende offrire un segnale di metodo a fronte di un diffuso presentismo che, «svuotando la nostra memoria culturale, ci toglie di mano la conoscenza storica».[5] Purtroppo «siamo ormai sempre più impantanati nel presentismo eclettico e nell’uniformità per i quali il futuro, più che essere preparato armonizzandolo con il passato, semplicemente accade in un grande disordine».[6] 

Come ben sapete, cari colleghi e amici, la storia del teatro, o piuttosto dello spettacolo, non è una disciplina gerarchica fatta solo di monumenti testuali o architettonici. È, invece, storia a-centrica e plurale. Storia di relazioni, di processi e di pratiche fondata sull’interrogatorio incrociato di fonti, testi e documenti diversi; sulla reinvenzione costante dei campi d’indagine e sulla conoscenza affilata della storiografia. Storia di contesti olistici. Di attori e di attrici. Di donne, uomini, gruppi sociali. Storia di persone. Non solo. Diffidiamo dalle griglie metodologiche “universali” preventive, valide a tutte le latitudini e per tutte le epoche. Privilegiamo invece il dato storico concreto legato a luoghi e spazi particolari, nella convinzione che anche per disegnare i concetti generali, aprirsi alla comparazione storica e “far mondo” occorra prender le mosse da specifici ambienti e vivi contesti, da specifici casi e problemi. E nell’arco diacronico di lunga durata che in Occidente va dal mondo antico alla fine dell’Antico regime (e ben oltre), promotori organizzatori e realizzatori dell’evento spettacolare costituiscono un trittico inscindibile, da porre in relazione con le basilari drammaturgie dello spazio (l’udienza e la scena, il luogo o l’edificio teatrale), con i meccanismi e i processi di produzione, realizzazione e fruizione di un determinato spettacolo e di un determinato testo drammaturgico, con l’analisi di un determinato ambiente e del gusto e delle emozioni provate in quei contesti dagli attori e dal pubblico. Vale a dire con lo studio della basilare relazione teatrale attore-spettatore e con lo studio del pubblico nelle sue mutevoli mentalità e composizioni sociali e nei suoi differenti orizzonti di attesa. 

Concludo. Quando della storia del teatro non si abbia una visione letteraria “alta” e dicotomica, ma trasversale laica e meticciata, la drammaturgia si rivela spesso, nelle sue diverse declinazioni nei tempi lunghi della storia, creazione a più mani, fluida, in divenire, che elabora molteplici linguaggi artistici ed è collegata ai processi produttivi e ricettivi, alle istanze dei committenti, allo spazio scenico, agli attori e agli spettatori. Ne deriva una storia del teatro capace di non cristallizzarsi in sé stessa; di far leva su differenti punti di forza per giungere all’essenza di un fenomeno; di elaborare senza sofismi il lutto della perdita dell’oggetto ermeneutico superando così le iterate «retoriche dell’arte fuggitiva»;[7] di annullare false problematiche quali il falso problema testo sì, testo no, o quello altrettanto falso della fedeltà al testo; di illuminare di nuova luce i propri densi contesti svelando le interazioni dialettiche tra urbs, civitas e spettacolo; di abbattere gli steccati disciplinari perseguendo metodi via via diversi dettati dai differenti terreni da dissodare; e, infine, questione decisiva, d’inventare, di volta in volta, le proprie fonti in modo originale facendo ricorso anche, in alcuni casi soprattutto, a documenti analogici, insospettabili ai più, messi a illuminante confronto con le fonti dirette. 



[1] Cfr. e.g. D. ARMITAGE-J. GULDI, Manifesto per la storia. Il ruolo del passato nel mondo d’oggi (2014), Roma, Donzelli, 2016.

[2] K. MARX, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica: 1857-1858, trad. di E. GRILLO, Firenze, La Nuova Italia, 1968, vol. II, p. 105.

[3] R. GUARINO, Il teatro nella storia. Gli spazi, le culture, la memoria, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. 13.

[4] Cito da E.H. GOMBRICH, Aby Warburg. Una biografia intellettuale (1970), Milano, Feltrinelli, 1983, p. 206.

[5] S. SETTIS, Cieli d’Europa. Cultura, creatività, uguaglianza, Torino, UTET, 2017, p. 98.

[6] A. CARANDINI, La forza del contesto, Roma-Bari, Laterza, 2017, pp. 56-57.

[7] GUARINO, Il teatro nella storia, cit., p. 5. Sul topico della assenza dell’oggetto ermeneutico: ivi, pp. V-XI (Premessa. L’oggetto mancante e la memoria vivente), nonché, più di recente, M. DE MARINIS, Il corpo dello spettatore. Performance Studies e nuova teatrologia, in «AOFL», IX, 2014, 2, pp. 188-201: 189-190 (http://annali.unife.it/lettere/article/view/1078/880; ultimo accesso: 8 dicembre 2016).





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