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Stefano Mazzoni

Note su Ferdinando e Antonio Bibiena

Data di pubblicazione su web 19/09/2018
Note su Ferdinando e Antonio Bibiena

Pubblico qui la relazione da me presentata al Convegno internazionale di studi “Settecento italiano/Settecento europeo” (Università di Firenze, 4 ottobre 2012): prima traccia di un lavoro in progress.


Lanzi e i Bibiena

Si prenda la preziosa Storia pittorica della Italia dell’abate Luigi Lanzi alla “voce” Ferdinando e Francesco da Bibiena:  

né altra casa pittorica in questa e in altra età si è resa mai più nota nel mondo. Non vi è stata forse una corte che non invitasse alcuno de’ Bibieni a servirla; né altro luogo meglio confacevasi a’ Bibieni, che le grandi corti. Erano le loro idee pari alla dignità de’ sovrani; e sol la potenza de’ sovrani potea dar esecuzione alle loro idee. Le feste ch’essi diressero per vittorie, per nozze, per ingressi de’ prìncipi, furono le più sontuose che mai vedesse l’Europa. […] L’ingegno e le opere di Ferdinando han data a’ teatri nuova forma. Egli fu l’inventore delle magnifiche scene che oggidì veggonsi; e della meccanica onde si muovono e si cangiano prestamente.[1]

Parole acute ma alonate di mitopoiesi. Quasi la messa in pagina di una serliana scena tragica librata nel tempo della festa e popolata esclusivamente di sovrani, principi, grandi corti e grandi personaggi. In breve: artisti straordinari per regali committenti. Parole scritte sul finire del Settecento dall’“illuminato” gesuita Lanzi, critico d’arte-viaggiatore, sia per consolidare il mito della dinastia bibienesca sia per celebrare le glorie d’Italia.

In realtà occorre schivare le generalizzazioni. Ogni esponente dei Bibiena ebbe peculiarità artistiche proprie da vagliare, storicizzandole, caso per caso; e sappiamo bene che le «grandi corti» non furono l’unico ambito di committenza in cui lavorò la famiglia di architetti-scenografi di origini toscane. Si pensi all’operosità dei Bibiena per le accademie o altre istituzioni di tipo cittadino e societario della nostra penisola.


Ferdinando Bibiena e il teatro della Fortuna di Fano (1674-1675, 1718-1719)

Prendiamo le mosse da una piccola città soggetta alla Santa Sede e favorita dalle ambizioni mecenatesche della oligarchia aristocratica locale.[2] Dico Fano dove tra il 1674 e il 1675 nel teatro della Fortuna,[3] allora in costruzione per volontà societaria patrizia, lavorarono fianco a fianco il Grand Sorcier della scena barocca Giacomo Torelli e Ferdinando Bibiena, astro nascente di una nuova stagione di Meravigliose scene e Piacevoli inganni.[4]

Quello fanese fu un fruttuoso rapporto di alunnato. Un’artista agli esordi e un maestro settantenne rientrato da quasi tre lustri da Parigi nella città natale.[5] Fu in questo teatro, dicevo, che tra il 1674 e il 1675, quando il cantiere era vibrante di maestranze e di artisti, giunse il giovane Ferdinando. Non ancora ventenne (era nato a Bologna nel 1657), egli viveva in quel periodo un proficuo apprendistato teatrale. Approdò al teatro della Fortuna al seguito del suo maestro Mauro Aldrovandini, scenografo detto “il Mauro Bolognese”.[6] Costui, membro di una famiglia di pittori-decoratori attiva nel Sei-Settecento implicata a doppio filo con il teatro, era un quadraturista famoso: «da Camere e da Teatri in Bologna e in altre città», informa un suo biografo settecentesco (l’Orlandi).[7]

Poco sappiamo, in concreto dettaglio, dell’operato del Bibiena in quella circostanza. E tuttavia è più che economico pensare a una esperienza di formazione eccezionale. Non per caso nelle concise Memorie della nostra casa Ferdinando sottolinea che in gioventù si recò a Fano, cito,

con Mauro Aldrovandini, ad ajutarvi a dipingere quel Teatro, e quelle Scene, sotto la direzione, e disegno di Giacomo Torelli Fanese, ingeniere del Rè Cristianissimo.[8]

Prendiamo atto che la prima rilevante esperienza teatrale del capostipite della dinastia maturò all’ombra del grande Torelli nel cantiere di un memorabile “teatro all’italiana”; e che, in quell’occasione, il giovane artista si applicò scrupolosamente sotto la direzione di costui su un duplice versante. Ripeto con Ferdinando: «dipingere quel Teatro, e quelle Scene», cioè dipingere i palchetti e le immaginifiche scene prospettiche del Torelli; e si noti la puntuale distinzione lessicale bibienesca tra sala e spazio scenico.

Altre fonti,[9] peraltro, ancorano l’esordio teatrale di Ferdinando nella nativa Bologna ove, ante 1674-1675, egli avrebbe lavorato come scenografo con il bolognese Ercole Rivani: macchinista teatrale ingegnoso e scenografo che poi, è noto, fu al servizio del Re Sole.[10] Si osservi, a riprova della perizia macchinistica del Rivani, la struttura complessa da lui ideata per una felsinea festa della porchetta in piazza Maggiore (fig. 1).[11]

Resta comunque, non lo si dirà mai abbastanza, che «il grande vero maestro» di Ferdinando nel campo della scenografia fu proprio Torelli.[12]

Al teatro della Fortuna, Ferdinando tornò nel 1719, alonato di esperienza internazionale. Vi tornò con «sommo piacere» (così in una sua lettera).[13] Aveva sessantadue anni. Era una sorta di “oracolo” teatrale ascoltato in tutta Europa. Nel 1718 aveva accettato, con intento palesemente emulativo, l’incarico di restaurare il teatro del Torelli.[14] Subito si era dichiarato «disponibile in cambio del puro e semplice rimborso spese, anteponendo l’incremento di prestigio che gliene sarebbe derivato a qualsiasi calcolo d’ordine economico».[15] Da Torelli a Bibiena, dunque: quasi un passaggio di testimone. Perciò Ferdinando ridipinse con entusiasmo il teatro della Fortuna rinnovandone con genialità la dotazione scenica.[16]  

In questo nuovo viaggio marchigiano, condotto anche, piace immaginarlo, sul filo della memoria del Grand Sorcier e di una giovinezza perduta, lo accompagnavano tre collaboratori e il più giovane dei suoi quattro figli architetti-scenografi. Dico il ventiduenne Antonio Luigi (1697-1774) che lavorò con il padre in quello spazio teatrale. Antonio può considerarsi forse l’esponente più geniale, inquieto ed enigmatico della dinastia dei Bibiena. Si legge in una missiva di Ferdinando del 29 marzo 1719:

Per li giovani ch’io penso condurre saranno quattro cioè mio figlio [allude ad Antonio] e altri tre [allude a Giuseppe Monari, Giuseppe Falconi e Angelo Selvini, aiutanti del Bibiena], e ciò per spiciarmi presto, oltre che ve ne sarà bisogno anche di altri che costì sarano e di questi che condurò due saran ve[ramen]te, […] buoni e due mediocri, ma pratici in cotesti affari.[17]

Non c’è dubbio che tra i «veramente buoni» vi fosse il talentuoso Antonio.

In quell’occasione Ferdinando e il suo staff ridipinsero «tutti i parapetti dei palchi e l’intera dotazione scenica torelliana, aggiungendovi anche nuovi scenari come quello del “Bosco” e, molto probabilmente, anche quello del “Carcere”».[18] Bibiena senior operò

con estrema libertà in rapporto alla dotazione originaria ideata dal Torelli, dilatandone al massimo gli effetti prospettici con l’aggiunta di numerose altre coppie di quinte, passando dalle sei o sette coppie impiegate dal Torelli alle venti della “Galleria lunga” e [alle] diciannove del “Bosco lungo”, sostituendo in tal modo i vecchi fondali a prospettive dipinte con un nuovo cannocchiale ottico tridimensionale. [… Aggiungo che la] dotazione scenica bibienesca […] fu a lungo utilizzata e rese famoso il teatro torelliano più della sua stessa struttura architettonica.[19]

D’altronde anche le scene originarie avevano trionfato per molto tempo nel teatro della Fortuna. Pensate dal Torelli per il melodramma che nel giugno 1677 inaugurò la sala (Il trionfo della continenza, libretto di Giulio Montevecchi, musiche di Alessandro Melani), esse furono utilizzate sino al carnevale del 1718 quando, infine, destarono la meraviglia di Giacomo III Stuart e del suo seguito.[20]

Osserviamo, a riscontro della “rivoluzione” bibienesca dello spazio scenico torelliano, la piantazione della già convocata Galleria (fig. 2). Il disegno[21] (inchiostro su carta di anonimo settecentesco) è custodito presso la biblioteca Federiciana, con altre nove tavole visualizzanti in pianta l’assetto del palcoscenico post 1719.[22] I fogli, segnalati a suo tempo dall’infaticabile Elena Povoledo e poi editi da Franco Battistelli, illustrano puntualmente lo spazio scenico concepito dal Bibiena.

Bibienesca è certo […] la virtuosistica fuga prospettica a cannocchiale della Galleria lunga, delimitata da ben venti coppie di quinte (oltre al fondale […]).[23] [Dunque,] una prospettiva centrale a cannocchiale formata da […] venti coppie di quinte o “tellari” (le prime tredici simmetricamente disposte alla maniera del Torelli, le sette restanti a integrazione di un primo telone traforato [segnato A, un “principale”], fino a raggiungere lo spazio […] celato a sua volta da un fondale [segnato 8] con dipinta un’ulteriore finta prospettiva a cannocchiale).[24]  

Si notino inoltre ai lati delle quinte da 1 a 8 i triplici ordini di puntini indicanti i carrelli scorrevoli su cui erano allogati i telari per i mutamenti a vista. Il vertiginoso esito figurativo di questa sapiente scenografia, testimone della scienza prospettica ferdinandea (non riconducibile, si badi, al solo “per angolo” o all’impianto a fuochi multipli), è documentato con esattezza da una pregevole tempera su tela dipinta nell’Ottocento da Giovanni Albertini e conservata a Fano in palazzo Borgogelli-Avveduti (fig. 3):

Illusionisticamente grandioso è l’effetto dell’intero quadro scenico: esemplare testimonianza di quanto [ambiziosamente] scritto dal Bibiena nel 1718 circa la sua intenzione di realizzare [, cito, ] scene «assai maggiori di quelle [che] sono in quel teatro ora».[25]

Concludo questo punto con un’ineludibile celeberrima incisione autografa di Ferdinando databile con ogni probabilità al 1719 e custodita alla Comunale di Jesi. Il foglio (fig. 4) illustra sia l’arcoscenico del teatro della Fortuna (abbellito da quattro statue lignee: Giunone e Minerva all’interno del boccascena, e, in primo piano, l’Architettura e la Pittura) sia lo spazio ai piedi del palco riservato ai musici e delimitato da una elegante struttura ad andamento mistilineo in accordo stilistico con la pianta della sala.

Ma il coupe de théâtre incisorio è un altro. Il nostro occhio è catturato dal sipario raffigurante «in prospettiva simmetrica, come in un gigantesco specchio, la sala del teatro con i suoi cinque ordini di palchetti».[26] Non sappiamo se tale sipario sia mai stato realizzato. Un inventario del 1690 registra una più modesta «tenda verde e gialla con tutti i fornimenti di corde servibili con casette da contrapesi per detto servizio».[27] Non è da escludere, allora, che l’invenzione metateatrale (e si pensi al prologo del menzionato Trionfo della continenza in cui Torelli fece apparire in palcoscenico un teatro “specchio” della sala)[28] che l’invenzione bibienesca, dicevo, sia stata pensata da Ferdinando per rappresentare «in un’unica stampa sia la sala del teatro che l’immagine del suo fastoso boccascena».[29] Un documento memoriale per uno spazio rimasto impresso nella memoria del capostipite della più importante famiglia europea di architetti-scenografi e di suo figlio Antonio.


Notizia su Antonio Bibiena

Antonio, dunque. La biografia artistica di Antonio Luigi Bibiena, scenografo, architetto soprattutto teatrale, quadraturista, decoratore nato a Parma nel 1697 e morto a Milano nel 1774, può riassumersi in tre fasi principali: a) il periodo di formazione che lo vide tra l’altro dapprima studiare a Bologna e poi, da 1717, crescere intellettualmente e professionalmente al fianco del padre rientrato in Italia da Vienna (si ripensi in particolare alla citata collaborazione con Ferdinando nel 1719); b) il prolungato soggiorno (1721-1751), fitto di esperienze anche teatrali, cortigiane e non, a Vienna come in altri centri dell’impero; c) la seconda fase italiana (1751-1774) altrettanto operosa e ricca di vicende nell’ambito della scenografia e dell’architettura teatrale. Fissiamo alcune tappe salienti della carriera di Antonio.

Nel corso di un trentennio oltralpe, speso in larga misura nel milieu della corte asburgica, egli fu attivissimo in ambito teatrale e spettacolare. Alla committenza imperiale si ancora dunque, come per altri componenti della dinastia bibienesca, quella che può considerarsi una fase decisiva della carriera di Antonio ancorché non priva di oscillanti fortune cortigiane e di autonome sfortunate iniziative professionali. Penso, ad esempio, alla fallimentare costruzione-cogestione, con lo scultore Antonio Corradini, di un teatro destinato agli spettacoli d’animali cioè alla «caccia degl’animali foresti» (così il Bibiena nel 1735).[30]

Ma va posta in valore specialmente la collaborazione viennese di Antonio con il fratello maggiore Giuseppe (1695-1757), primo ingegnere teatrale di corte.[31] Un team famigliare affiatato in grado di firmare a quattro mani molteplici allestimenti operistici.[32] Capace inoltre di ottenere e, si badi, di mantenere e trasmettere per via familiare nel corso del tempo incarichi prestigiosi. Si ricordi allora che negli anni Venti Antonio divenne secondo ingegnere teatrale degli Asburgo. Indi, nel 1748, con la nomina a primo architetto imperiale,[33] la sua carriera a corte raggiunse l’apice. Ma, paradossalmente, l’avventura viennese di Antonio Luigi era al tramonto. I Bibiena nella capitale dell’impero non erano più alla moda. Giuseppe si era congedato dal servizio imperiale nel ’47;[34] e, a dispetto della ricordata prestigiosa nomina conseguita nel ’48, gli incarichi per Antonio non erano più numerosi. Non si scordi il «progressivo affermarsi del gusto francese».[35] Sicché nel 1751 l’artista rientrò in Italia.

 

Antonio Bibiena e il Comunale di Bologna (1755-1763)

Aveva cinquantaquattro anni, Antonio. Era nel pieno della maturità artistica. Naturale che dopo un trentennio oltralpe non privo di affanni desiderasse provare il suo valore in patria o, meglio, tentasse di rinnovare in Italia la propria declinante fortuna professionale, mettendo a frutto il proprio prestigio di architetto teatrale dell’imperatrice.[36] Fu così che, a partire dal medesimo anno, lavorò per un biennio come scenografo per il Regio teatro ducale Milano. Fu poi attivo sino al 1755 nel granducato di Toscana sia come scenografo sia come architetto teatrale (e mi piace qui ricordare i nuovi documenti sul teatro pistoiese di Antonio pubblicati di recente da un mio scolaro, Giacomo Sambusida).[37] Nel 1756, infine, si stabilì a Bologna.

Da tempo egli si era proposto per l’edificazione del nuovo teatro pubblico felsineo.[38] Finalmente aveva ottenuto il sospirato incarico. Si ricordi la supplica da lui rivolta a Benedetto XIV il 22 novembre 1755.[39] In essa chiedeva al pontefice di concedergli progettazione, «direzione della fabbrica» e realizzazione delle «scene occorrenti» per il nuovo teatro.[40] Il 3 dicembre dello stesso anno giungeva la nomina ad accademico clementino.[41] Una “pezza” d’appoggio non secondaria nell’intricata vicenda che si concluse il 27 dicembre 1755 con l’accettazione della candidatura formale di Antonio e con l’inizio dei lavori (21 aprile 1756).[42] Un innovativo teatro in muratura da erigersi, a cicatrizzazione di una antica ferita urbana, nell’area desolata del cosiddetto «Guasto» (fig. 5), cioè nello spiazzo lasciato vuoto per oltre due secoli e mezzo dopo che la collera popolare aveva raso al suolo nel 1507 la fastosa dimora signorile dei Bentivoglio.[43] Ammonitoria damnatio memoriae.

Al 1756 si data il modello oggi conservato nell’Archivio storico della Fondazione Teatro Comunale (fig. 6). La maquette, in legni diversi con dorature e laccature policrome,[44] è fonte preziosa illustrando l’originaria idea di teatro bibienesca poi modificata a causa di polemiche e critiche taglienti. Eseguito sotto la direzione di Antonio, il modello riprendeva il progetto che l’architetto aveva presentato in due varianti nel 1754 ai fiorentini accademici Immobili onde rinnovare e trasformare in muratura il ligneo teatro di via della Pergola.[45] Di quel progetto fiorentino ricusato dagli Immobili è rimasta documentazione figurativa grazie alle copie fatte eseguire nel ’54 dagli stessi accademici al legnaiolo, macchinista e custode della Pergola Giuseppe Borgini.[46] Copie riportate alla luce anni fa da Elvi Zorzi.[47] Si osservi la sezione longitudinale della sala disegnata a matita penna e acquerello su carta bruna (fig. 7). Il progetto fu giudicato dalla commissione accademica «troppo ornato e più proprio per un anfiteatro» e il Bibiena andò su tutte le furie.[48] Erano lontani i tempi in cui il maestoso cortile di palazzo Pitti con i suoi partiti architettonici era spazio eccellente della medicea scena del principe.[49]

Quella archetipica cinquecentesca tipologia da esterno da dislocare in teatro affascinava Antonio. Lo prova tra l’altro l’ostinata ripresa dell’idea, nonostante la freschissima “bocciatura” fiorentina, nella citata maquette del teatro nuovo bolognese (fig. 6). E, a posteriori, possiamo asserire che egli aveva ragione. Lo dimostra l’originale eleganza dello spazio teatrale bibienesco: dico la balaustra-balconata (sollevata su due gradini e che si snoda lungo le pareti della platea a campana): balconata utilizzata di solito dal pubblico maschile desideroso negli intervalli di conversare con le dame del primo ordine di palchi;[50] il bugnato rustico del suddetto primo ordine; l’ordine architettonico toscano di quelli superiori a balconcino muniti di autonome balaustre e di ariosi archi; le architetture illusionistiche dipinte sul “cielo” della sala; il proscenio, ampio flessuoso profondo, aggettante nella sala, sul quale dobbiamo immaginare librarsi la voce dei cantanti; cantanti in azione “incuneati” in platea, dunque, in sintonia con il propagarsi del gusto belcantistico, come ha osservato l’amico Gerardo Guccini;[51] e ancora: la zona ai piedi del palcoscenico destinata ai musici; l’arcoscenico tutto architettonico con i palchi di proscenio incastonati tra colonne.[52] E nella spaziosa platea si immaginino sia gli spettatori disposti su panche sia quelli che stavano in piedi sul fondo.[53]  

Un luogo di spettacolo totale (fig. 8). Un teatro straordinario in controtendenza rispetto al gusto dell’epoca. Il Bibiena, «nella piena maturità delle sue esperienze», affidava a questa fabbrica, «che doveva fondare il suo prestigio in patria», la «sua dichiarazione di “barocco all’italiana”. Gli attributi di eleganza “scenografica” dispensati nelle flessioni compenetrate della zona destinata allo spettacolo e della platea impiantata a campana si combinano con il “richiamo all’ordine” visuale nella sovrapposizione dei palchi conclusa sul cielo con l’illusione dello sfondato pittorico».[54]

D’altronde, si è accennato, le critiche a tale progetto-maquette dettero vita a una querelle che a Bologna raggiunse il calor bianco. È noto che in quel giro di tempo si scatenò su Antonio una bufera messa in piedi dai tanti suoi biliosi detrattori.[55] A nulla valse il puntuale, appassionato Memoriale informativo stilato dall’architetto post 1756 in difesa, uso parole sue, del «grandioso edificio di Pietra» nel quale, come lui scrive, un «uomo invecchiato […] nella professione» aveva raccolto «tutte le idee, che per antica pratica ed esperienza di Teatri mi si poteano nella mente suggerire».[56] E ancora:

In ambienti ben grandi abbiamo pure la continua innegabile esperienza, che risuonino le voci musiche, e gli Instrumenti con tutto che le pareti, il soffitto, il pavimento tutto sia di Pietra, e con di più gli ornati, colonne, e mille altri ora decantati impedimenti nel combattuto mio disegno. Tutto insomma diviene errore, novità e stravaganza nella mia idea di Teatro.[57]

È che ormai la cultura architettonica tardo-barocca del Bibiena, a Bologna come in altre città d’Italia, era osteggiata dalla più aggiornata cultura palladiana neocinquecentesca.[58] Perciò il più geniale dei Bibiena fu costretto a modificare la prediletta idea di teatro. Ne derivò una riprogettazione «impostata su una pianta a campana assai più moderata», sulla semplificazione dell’«imponenza del proscenio e dell’apparato decorativo». Una banalizzazione. Ma solo a tali condizioni l’aristocratico Senato felsineo consentì il proseguimento dei lavori.[59]

Il 14 maggio 1763 si inaugurò il massimo teatro di Bologna che qui vediamo (fig. 9) nella Pianta e descrizione corredante l’opuscolo appositamente stampato per l’occasione.[60] Un monumentale teatro pubblico in muratura, si è detto, e un evento di portata nazionale e oltremontana. Antonio aveva sessantasei anni. Per l’occasione ideò le scene de Il trionfo di Clelia di Gluck su libretto di Metastasio. Il manifesto dello spettacolo inaugurale (fig. 10) non solo registra il cast dell’opera seria (si noti la presenza tra gli «attori» del famoso castrato fiorentino Giovanni Manzuoli o Manzoli), ma anche il cast dei balli agiti tra gli atti dell’opera e coreografati da Augusto Hus; mentre la «disposizione a rosa dei nomi dei danzatori»[61] conferma l’importanza del ballo teatrale nella coeva opera italiana.[62] Si aggiunga che Gluck completò la partitura a Bologna solo dopo avere testato personalmente le caratteristiche artistiche dei cantanti.[63]

E le scene di Antonio? Svela un documento coevo:

dodici mutazioni, la una più spettacolosa dell’altra […] sopra tutte quelle del Tevere…arcimirabile. Poiché, dovendosi rappresentare che questo ponte si ruppe per lo combattere dei Romani contro gli Etruschi, tal rottura passa ogni dire et ogni immagine.[64]

Quella sera le dodici mutazioni (camere di palazzo reale, reali logge, galleria, «delizioso ritiro» nel «real giardino», «fabbriche antiche alla riva Toscana del Tevere», ecc.)[65] sfilarono in calibrata sequenza dinanzi agli occhi di millecinquecento spettatori.[66] Fu un successo. «Immagini organizzate nel tempo», per usare una efficace formula di Lorenzo Bianconi.[67] Immagini fastose e drammaturgicamente demarcative. E dunque: dramma per musica in azione e spettacolo visivo ricco di “colpi di scena” per un pubblico pagante giunto anche da lontano. L’estroso scenografo aveva colpito nel segno in una delle capitali del sistema produttivo operistico italiano.

 

Antonio Bibiena e lo Scientifico di Mantova (1767-1769)[68]

Dal Comunale di Bologna allo Scientifico Mantova. In cuor suo Antonio inseguiva, credo, il ricordo dello zio Francesco chiamato nel 1716 dall’accademia dei Timidi a stilare una perizia per restaurare il piccolo fatiscente teatro di quel sodalizio mantovano.[69] Ma quel cantiere, è noto, si aprì mezzo secolo dopo, nel 1767, con un altro Bibiena a dirigerlo: il settantenne Antonio, appunto, il quale due anni prima aveva portato a termine, celermente e con successo, il teatro Onigo di Treviso; nonché realizzato, sempre nel ’65, gli apparati per il passaggio a Mantova di Maria Luisa di Spagna consorte di Leopoldo d’Austria.[70] Nel ’67 dunque il vecchio ma energico architetto teatrale si gettava a capofitto nella realizzazione di un nuovo teatro. In tale anno il Bibiena firmava il contratto con i rappresentanti dei Timidi (fig. 11). Un progetto già approvato[71] dall’allora ministro asburgico plenipotenziario in Lombardia Karl Joseph Firmian, dove costui d’intesa con il primo ministro Kaunitz dette vita, come tutti sanno, a teresiane fondamentali riforme. Ma torniamo alla nostra microstoria, cioè al contratto sottoscritto da Antonio. Mantova, 6 giugno 1767:

L’Accademia suddetta aderisce alla proposizione d’esso Cavaliere Bibiena di rifare secondo il presentato suo disegno a tutte spese di lui il Teatro […], e fornirlo delle convenienti mutazioni di scene per le rappresentazioni pure a sue spese, riservandosi ognora l’assoluto possesso, e diritto del Teatro medesimo […]. Vuole altresì l’Accademia, che siano per sempre esclusi dal Teatro e dalle stanze di sua ragione i giuochi di Zara, le compagnie de comici, o sia istrioni, quelle de ballerini da corda, o giocolieri, e simil sorta di gente; volendo solo, che sieno ammesse sulle sue scene le compagnie di civili dilettanti, ed alunni dell’Accademia […]. Non sarà solamente obbligo del Cavaliere, e suoi eredi, tenere a loro spese pel corso accordato degli anni venticinque il Teatro ristaurato; ma dovranno eziandio dopo spirato il predetto termine rilasciarlo all’Accademia in lodevol forma […]. Per ultimo si obbliga il Signor Cavaliere a dare il teatro perfettamente compiuto secondo la convenzione, e il disegno dentro l’anno corrente mille settecento sessantasette.[72]

Un contratto capestro per un artista senza capitali. A fronte di un simile velleitario atteggiamento appeso al filo dell’ansia per un futuro incerto, i problemi per il povero Cavalier Bibiena erano inevitabili. Così fu: dopo l’inizio dei lavori (agosto 1767)[73] subentrarono gravi difficoltà economiche che mutarono «i termini dell’impegno finanziario e delle trattative circa i compensi dovuti all’anziano architetto che, pur dall’alto del [suo] accreditato prestigio», uscì dalla vicenda ridicolizzato.[74] Illuminante in proposito l’icastica relazione stilata nel 1768 dall’aristocratico prefetto accademico, conte Carlo Ottavio Colloredo.[75] E agli inizi del 1769 Antonio ormai era senza lavoro da molti mesi.[76] Un artista obsoleto. Si rammenti la severa bocciatura, pronunciata dal primo ministro Venceslao Kaunitz il 20 febbraio 1769, del progetto bibienesco per il nuovo palazzo accademico e per il prospetto del teatrino Scientifico. Facciata giudicata, recita un documento coevo, un’offesa agli «occhi avvezzi, e conoscitori del sano gusto».[77] E sorte non migliore ebbero i due nuovi progetti presentati tempestivamente da Antonio per rimediare a quella ennesima bocciatura. Intanto, si profilava, per l’ideazione della facciata accademica, l’ombra dell’alfiere del neoclassicismo lombardo, Giuseppe Piermarini raccomandato per giunta, nel caso specifico, dall’illustre suo maestro Vanvitelli.[78]   

Tuttavia, lo Scientifico di Mantova non fu l’ultimo teatro di Antonio della famiglia dei Bibiena. Si pensi al teatro dei Quattro aristocratici Cavalieri inaugurato a Pavia nel 1773,[79] appena un anno prima della morte del nostro architetto-scenografo.

Ma è lo Scientifico il capolavoro di costui. Il suo spazio del teatro più “raffinato” coniugando, in magistrale sintesi, stilemi di lunga durata: “classici” (l’idea del teatro antico) e “romanzi” (l’idea del teatro all’italiana) (fig. 12). La pianta a campana; l’acustica eccellente;[80] il bugnato del portico che cinge il piano terreno della sala (da pensare, s’intende, senza l’ingombro delle poltrone fisse); la scansione di balconate e di autonomi palchi riecheggianti l’idea del cortile aristocratico; i palchetti affrescati internamente dal Bibiena stesso con pannelli monocromi (fig. 13); l’elegantissimo arcoscenico con tiepolesche mensole a volute (fig. 12) ospitante i palchi di proscenio racchiusi tra colonne giganti; l’inconsueto palcoscenico illuminato o di luce diurna (fig. 13a) o di luce artificiale (fig. 14) per ospitare conferenze, cerimonie, dibattiti e concerti: questi i tratti salienti dell’invenzione bibienesca in bilico tra cultura tardo barocca e civiltà dei lumi.

Si osservi dunque l’anomalo palcoscenico privo di sipario, quinte, macchine e retropalco perché impiantato sulle istanze culturali e scientifiche della committenza accademica. Scartata l’ipotesi iniziale di una consueta scenografia con quinte in tela dipinta, Antonio recuperava qui l’idea della scenafronte classica impalcando un duplice loggiato praticabile sormontato da un attico. Una scena fissa tutta architettura che si salda idealmente alla diuturna “visione” vitruviana inverata da Andrea Palladio nell’Olimpico di Vicenza. Lo aveva ben compreso Ludovico Zorzi cui dobbiamo una pagina sullo Scientifico tanto acuta quanto negletta dagli specialisti dei Bibiena.[81]

Dinanzi a quella scena maestosa il 16 gennaio 1770 il tredicenne Mozart (fig. 15) suonò in occasione della sua prima tournée in Italia. Il teatro, illuminato, era gremito di pubblico aristocratico e borghese, nonché di accademici «esperti in campo musicale».[82] L’esibizione concertistica siglò la “vera” inaugurazione dello Scientifico con un evento straordinario.[83] Chi sfogli le carte dell’archivio dell’accademia nazionale Virgiliana potrà leggere il programma a stampa di quel concerto memorabile: una fonte rilevante per «la conoscenza dell’esibizione-tipo» europea[84] dell’«incomparabile giovinetto Wolfango Amedeo» (così il Foglio di Mantova del 19 gennaio del ’69).[85] E ancora, sempre dal Foglio

eseguì concerti e sonate di gravecembalo all’improvvisò con variazioni giustissime e con ripetizione d’una sonata in diverso tuono. Cantò improvvisamente un’aria intera, sopra nuove da lui mai vedute parole, dandogli i debiti accompagnamenti. Improvvisò due sonate sopra due motivi successivamente indicatigli sul violino del Direttore d’orchestra […]. Concertò una sinfonia con tutte le parti sopra una sola parte di violino propostagli all’improvviso. E, quel che più è da stimare, compose, e ad un tempo eseguì, pure all’improvviso, una fuga sopra ad un semplice tema, che gli si presentò, e la condusse ad un sì magistrale collegamento armonico di tutte le parti, e la sciolse sì francamente che ne rimasero gli intendenti storditi […].[86]  

Concludo con una nota missiva di Leopold Mozart:

Il 10, a mezzogiorno, siamo partiti da Verona e siamo giunti a Mantova alla sera […]. Vorrei che tu [scrive alla moglie] avessi visto il luogo dove si è tenuta l’Accademia: vale a dire il cosiddetto Theatrino dell’Accademia […].  In vita mia non ho mai veduto niente di più bello in questo genere; spero che tu conserverai con cura tutte le lettere, in modo che ti posso descrivere tale cosa a suo tempo. Non è un teatro ma piuttosto una sala costruita con loggiati, come un teatro d’opera. Dove dovrebbe trovarsi il palcoscenico c’è una tribuna per chi suona e dietro i musicisti corre nuovamente una galleria a forma di loggia per gli spettatori.[87] La folla, le grida, gli applausi, il chiasso, i bravo, l’ammirazione generale non li posso abbastanza descrivere.[88]

Nulla da aggiungere.



[1] L. LANZI, Storia pittorica della Italia dal risorgimento delle belle arti fin presso al fine del XVIII secolo, a cura di M. CAPUCCI, Firenze, Sansoni, 1968, vol. III (tomi V e VI dell’ed. orig. 18093), 1974, p. 137.

[2] Cfr. F. BATTISTELLI, Architettura e apparati fra manierismo e barocco, in Arte e cultura nella provincia di Pesaro e Urbino dalle origini a oggi, a cura di F. B., Venezia, Marsilio, 1986, pp. 363-374: 372.

[3] Cfr. la sezione Il teatro della Fortuna di Giacomo Torelli del catalogo della mostra Giacomo Torelli. L’invenzione scenica nell’Europa barocca, a cura di F. MILESI (Fano, 8 luglio-30 settembre 2000), Fano, Fondazione Cassa di risparmio di Fano, 2000, pp. 309-350.

[4] Cfr. Meravigliose scene. Piacevoli inganni, catalogo della mostra a cura di M.A. BEAUMONT e D. LENZI (Bibbiena, 28 marzo-23 maggio 1992), Arezzo, Grafiche Badiali, 1992.

[5] Si veda la sezione Torelli a Parigi (1645-1661) di Giacomo Torelli. L’invenzione scenica nell’Europa barocca, cit., pp. 147-307.

[6] Cfr. F. BATTISTELLI, Gli interventi di Ferdinando Galli Bibiena nel teatro torelliano, ivi, pp. 383-406: 383.

[7] Cit. s.v. in Enciclopedia dello spettacolo (1954-1968), Roma, Unedi-Unione Editoriale, 1975, vol. I, col. 257. Cfr. anche LANZI, Storia pittorica della Italia, cit., p. 137: la «gente Aldrovandina» fu «di ornamento […] al teatro, a cui particolarmente servì».

[8] [Ferdinando e Maria Ester Galli Bibiena], Memorie della nostra casa […], ms. in folio, sec. XVIII, cc. 7 n.n. Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, ms. B. 35 (Miscellanea Ercolani); edito da A. OTTANI, Notizie sui Bibiena, in «Rendiconto delle Sessioni della Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Classe di Scienze Morali», s. VI, II, 1962-1963, pp. 123-137: 130 (mio il corsivo). Cfr. anche D. LENZI, La più celebre famiglia di architetti e scenografi di età barocca, in I Bibiena: una famiglia europea, catalogo della mostra a cura di D. L. e J. BENTINI, con la collaborazione di S. BATTISTINI e A. CANTELLI (Bologna, 23 settembre 2000-7 gennaio 2001), Venezia, Marsilio, 2000, pp. 37-52: 37.

[9] Cfr. G. ZANOTTI, Storia dell’Accademia Clementina di Bologna aggregata all’Instituto delle Scienze e dell’Arti, Bologna, Lelio dalla Volpe, 1739 (rist. anast. Bologna, Forni, 1977), vol. II, p. 202.

[10] Cfr. D. LENZI, La dinastia dei Galli Bibiena, in I Bibiena: una famiglia europea, cit., p. 20 (alla scheda su Ferdinando); ID., La più celebre famiglia, cit., p. 37; nonché le schede 4 e 5 (stilate da Valeria Rubbi) alle pp. 219-223 del citato catalogo I Bibiena: una famiglia europea.

[11] Marco Antonio Chiarini (da Ercole Rivani), Macchina per la festa della Porchetta, 1683, acquaforte, Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Gabinetto Disegni e Stampe, cart. Gozzadini, 27, n. 192. Cfr. per tutto la citata scheda 4 (di V. Rubbi), in I Bibiena: una famiglia europea, cit., pp. 219-221. La Festa della Porchetta a Bologna, a cura di U. LEOTTI e M. PIGOZZI, presentazione di M. FAGIOLO, Loreto, Tecnostampa, 2010, pp. 160-161.

[12] LENZI, La più celebre famiglia, cit., p. 43.

[13] La lettera è citata in stralcio in BATTISTELLI, Gli interventi di Ferdinando Galli Bibiena nel teatro torelliano, cit., p. 384.

[14] Si veda la sezione I restauri dei Bibiena (1718-1719) nel catalogo della mostra Giacomo Torelli. L’invenzione scenica nell’Europa barocca, cit., pp. 381-406. E cfr. qui nota seguente.

[15] BATTISTELLI, Gli interventi di Ferdinando Galli Bibiena nel teatro torelliano, cit., p. 384. Per i restauri del 1719 v. già Enciclopedia dello spettacolo, cit., vol. V, coll. 15-16 (Povoledo, voce Fano?); BATTISTELLI, Architettura e apparati fra manierismo e barocco, cit., p. 386 e, soprattutto, ID., Piante delle scene di Ferdinando Bibiena per l’antico teatro della Fortuna e «annotazioni per chi opera» in un manoscritto inedito del secolo XVIII, in «Nuovi Studi fanesi», I, 1986, pp. 131-151.

[16] Cfr. BATTISTELLI, Gli interventi di Ferdinando Galli Bibiena nel teatro torelliano, cit., p. 383.

[17] Corsivo mio. Il documento è citato in stralcio ivi, p. 384; e per i nominativi tra quadra cfr. ivi, p. 383.

[18] Ivi, pp. 384-385.

[19] Ivi, pp. 385-386.

[20] Cfr. BATTISTELLI, Piante delle scene di Ferdinando Bibiena per l’antico teatro della Fortuna, cit., p. 133 e nota 8. Sullo spettacolo inaugurale: L. BIANCONI, “Il trionfo della continenza”: la poetica della meraviglia, in Giacomo Torelli. L’invenzione scenica nell’Europa barocca, cit., pp. 353-359, nonché i materiali raccolti e ragionati da L. FERRETTI e R. BATTISTINI nel medesimo catalogo (ivi, pp. 360-380).

[21] I disegni della Federiciana erano già stati segnalati da POVOLEDO (voce Fano?), (cit.?), Enciclopedia dello spettacolo, cit., V, coll. 15-16 e poi editi da BATTISTELLI, Architettura e apparati fra manierismo e barocco, cit. Per il “punto” al riguardo cfr. ID., Gli interventi di Ferdinando Galli Bibiena nel teatro torelliano, cit., p. 388 (anche per una seconda serie di otto tavole, Federiciana, S.M. B/4/2-9).

[22] Inv. S.M., Fondo Amiani, busta 19, cc. 139r.-146v. e 152v.-156r.

[23] BATTISTELLI, Gli interventi di Ferdinando Galli Bibiena nel teatro torelliano, cit., p. 388.

[24] Ivi, p. 404.

[25] Ibid. Mio il corsivo.

[26] Ivi, p. 387.

[27] Giacomo Torelli. L’invenzione scenica nell’Europa barocca, cit., Appendice documentaria, p. 422.

[28] Cfr. BIANCONI, “Il trionfo della continenza”, cit., p. 357.

[29] BATTISTELLI, Gli interventi di Ferdinando Galli Bibiena nel teatro torelliano, cit., p. 387.

[30] Cit. in BERGAMINI 19872, p. 82; e v. M. FRANK, I Bibiena a Vienna: la corte e altri allestimenti, in I Bibiena: una famiglia europea, cit., p. 116 e n. 57.

[31] Cfr. LENZI, La dinastia dei Galli Bibiena, cit., pp. 27-28, 30.

[32] Cfr. FRANK, I Bibiena a Vienna: la corte e altri allestimenti, cit., p. 115.

[33] Cfr. BERGAMINI 19872, p. 81; LENZI, La dinastia dei Galli Bibiena, cit., p. 31.

[34] Cfr. ivi, p. 29.

[35] Cfr. ivi, p. 31 e v. I Bibiena: una famiglia europea, cit., p. 331 (sulla “sfortuna” di Antonio presso gli Asburgo).

[36] Cfr. BERGAMINI 19872, p. 82.

[37] Cfr. G. SAMBUSIDA, Nuovi documenti sul teatro pistoiese di Antonio Bibiena, in «Annali» DISAS, n.s., XI, 2010, pp. 87-130.

[38] V. LENZI, La dinastia dei Galli Bibiena, cit., p. 31, e I Bibiena: una famiglia europea, cit., p. 331.

[39] Supplica di Antonio Bibiena a Benedetto XIV; utilizzo la copia custodita a Forlì, Biblioteca comunale Aurelio Saffi, Raccolta Piancastelli, Sezione autografi sec. XII-XVIII, b. 24, s.v. Lettere dei Bibiena (in E. MECCARIELLO, I teatri italiani di Antonio Bibiena: temi, problemi, aggiornamento bibliografico, tesi di laurea in Storia del teatro e dello spettacolo, Università degli studi di Firenze, Facoltà di lettere e filosofia, a.a. 2007-2008 [relatore: Stefano Mazzoni], Doc. III, pp. 62-65).

[40] Ivi, p. 63. E cfr. I Bibiena: una famiglia europea, cit., p. 331.

[41] A.A.C., Atti, I, p. 190. V. LENZI, La dinastia dei Galli Bibiena, cit., p. 31, e I Bibiena: una famiglia europea, cit., 331-332.

[42] Cfr. BERGAMINI 19872, p. 84; I Bibiena: una famiglia europea, cit., p. 333.

[43] Cfr. BERGAMINI 19872, p. 84; R. VERTI, Il teatro Comunale di Bologna, Milano, Electa, 1998, pp. 15, 20.

[44] Cfr. BERGAMINI 19872, pp. 90-93; I teatri, a cura di D. LENZI, in Architettura, scenografia, pittura di paesaggio, catalogo della mostra a cura di A.M. MATTEUCCI et al. (Bologna, Museo civico, 8 settembre-25 novembre 1979), Bologna, Alfa, 1980, pp. 123-124; I Bibiena: una famiglia europea, cit., pp. 332-333.

[45] Cfr. ivi, pp. 330-331 (scheda di E. Garbero Zorzi).

[46] Su Borgini si veda la documentazione registrata in L’accademia degli Immobili. “Proprietari del teatro di via della Pergola in Firenze”. Inventario, a cura di M. ALBERTI, A. BARTOLONI e I. MARCELLI, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali-Direzione generale per gli archivi, 2010, nn. 12.4, 390.4-390.5, 391.1, 1427-1428.

[47] AAI, nn. 1427-1428 (v. ora il sopracitato inventario L’accademia degli Immobili, p. 548). E cfr. E. GARBERO ZORZI, La vicenda toscana della “nuova forma” dei teatri di Antonio Galli Bibiena, in I Galli Bibiena. Una dinastia di architetti e scenografi. Atti del convegno (Bibbiena, 26-27 maggio 1995), a cura di D. LENZI, Bibbiena, Accademia Galli Bibiena, 1997, pp. 83-98: 92 ss.; Lo «spettacolo maraviglioso». Il teatro della Pergola: l’opera a Firenze, catalogo della mostra a cura di M. DE ANGELIS et al. (Firenze, 6 ottobre-30 dicembre 2000), Roma-Firenze, Ufficio centrale per i beni archivistici-Polistampa, 2000, pp. 168-169, scheda 3.2.14. (di E. Garbero Zorzi); SAMBUSIDA, Nuovi documenti, cit., pp. 87-88.  

 

[48] Cit. in I Bibiena: una famiglia europea, cit., p. 330 (scheda di E. Garbero Zorzi). Per il risentimento dell’architetto: SAMBUSIDA, Nuovi documenti, cit., p. 88.

[49] Cfr. L. ZORZI, Firenze: il teatro e la città, in ID., Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana, Torino, Einaudi, 1977, pp. 136-137 (ora anche in versione e-book, con un saggio di S. MAZZONI: Bologna, CUE Press, in corso di stampa).

[50] Cfr. VERTI, Il teatro Comunale di Bologna, cit., p. 43.

[51] Cfr. G. GUCCINI, Dalla quadratura alla scenografia. Riflessioni sul “teatro” dei Bibiena, in Immagini dello spazio e spazio della rappresentazione, a cura di A. SPIRITI e G. ZANLONGHI, «Comunicazioni sociali», XXXVIII, n.s., 2006, 2, p. 221.

[52] Cfr. D. LENZI, La tradizione emiliana e bibienesca nell’architettura dei teatri, in Architettura, scenografia, pittura di paesaggio, cit., pp. 93-102: 95.

[53] Cfr. VERTI, Il teatro Comunale di Bologna, cit., p. 43.

[54] Architettura, scenografia, pittura di paesaggio, cit., p. 123, scheda 180 (di W. Bergamini).

[55] Cfr. e.g. BERGAMINI 19862, p. 85; VERTI, Il teatro Comunale di Bologna, cit., pp. 39-40. Ma si veda specialmente il Memoriale di Antonio Bibiena qui registrato alla nota seguente.

[56] Memoriale informativo agl’illustrissimi ed eccelsi signori senatori assunti di Camera per Antonio Galli Bibiena, s.n.t. (utilizzo l’opuscolo custodito a Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, 17 ARTISTICA G90P8, nella trascrizione effettuata dalla mia brava scolara Elisabetta Meccariello nella tesi di laurea I teatri italiani di Antonio Bibiena, cit., Doc. 1, pp. 53 ss.). Sul Memoriale, e.g.: BERGAMINI 19862, pp. 86-87; M. VIALE FERRERO, Luogo teatrale e spazio scenico, in Storia dell’opera italiana, a cura di L. BIANCONI e G. PESTELLI, vol. V. La spettacolarità, Torino, EDT/Musica, 1988, pp. 21, 70; GUCCINI, Dalla quadratura alla scenografia, cit., p. 212 e nota 20.

[57] In MECCARIELLO, I teatri italiani di Antonio Bibiena, cit., Doc. 1, p. 55.

[58] LENZI, La dinastia dei Galli Bibiena, cit., p. 31.

 

[59] Cfr. I Bibiena: una famiglia europea, cit., p. 333.

[60] Sullo spettacolo inaugurale: T. GOTTI, Bologna musicale del ’700 e Cristoforo Gluck, in Due secoli di vita musicale. Storia del teatro comunale di Bologna (1966), a cura di L. TREZZINI, Bologna, Nuova Alfa, 19872, vol. II, pp. 45-78: 55-67; S. PAGANELLI, Repertorio critico degli spettacoli e delle esecuzioni musicali dal 1763 al 1966, ivi, p. 3. Vedi inoltre, da ultimo, la sintesi di VERTI, Il teatro Comunale di Bologna, cit., pp. 51-53. Per l’opuscolo edito dal Longhi in occasione dell’inaugurazione: BERGAMINI 19872, pp. 92-93.

[61] VERTI, Il teatro Comunale di Bologna, cit., p. 52.

[62] Cfr. K. KUZMICK HANSELL, Il ballo teatrale e l’opera italiana, in Storia dell’opera italiana, cit., pp. 175-306.

[63] Cfr. GOTTI, Bologna musicale del ’700 e Cristoforo Gluck, cit., pp. 64-65.

[64] Alfonso de Maniago; cit., senza referenza, in C. RICCI, Figure e figuri del mondo teatrale, Milano, Fratelli Treves, 1920, p. 117; cfr. anche MARIANI 1954, EdS, col. 478: allude alle parole ammirate di De Maniago e ricorda «la meraviglia del pubblico». Vedi inoltre BERGAMINI 19872, p. 96 nota 38; VERTI, Il teatro Comunale di Bologna, cit., p. 53.

[65] Si veda il libretto del Trionfo di Clelia, Bologna, Sassi, 1763 (cito da BERGAMINI 19862, pp. 96 n.-97 n.).

[66] Cfr. GOTTI, Bologna musicale del ’700 e Cristoforo Gluck, cit., p. 65; VERTI, Il teatro Comunale di Bologna, cit., pp. 29, 52.

[67] L. BIANCONI, Le “mutazioni sceniche” nel teatro d’opera: immagine organizzate nel tempo, in I Bibiena: una famiglia europea, cit., pp. 69-74.

[68] Cfr. K. ROTHGORDT, Das Teatro Scientifico der koniglichen Akademie Virgiliana in Mantua und seine theatergeschichtliche Bedeutung, s.l., s.e., 1963; G. RICCI, Teatri d’Italia dalla Magna Grecia all’Ottocento, presentazione di C. PEROGALLI, Milano, Bramante, 1971; L. D’ALBERTO, Antonio Galli Bibiena e il teatro dell’Accademia di Mantova, in «Civiltà mantovana», XXIII, 1972, pp. 369-390; K. ROTHGORDT-E. FARIO, Il teatro accademico del Bibbiena in Mantova, Mantova, Ente manifestazioni mantovane, 1972; E. MARANI, La presenza dei Bibiena in area mantovana, in I Bibiena. Disegni e incisioni nelle collezioni del Museo teatrale alla Scala, catalogo della mostra a cura di M. MONTEVERDI, con un contributo di E. M. (Mantova, 7 settembre-4 novembre 1975), Milano, Electa, 1975, pp. 72-73, schede 11-13 (con bibliografia); A. BELLUZZI, La costruzione dell’Accademia di Mantova: l’architettura del Piermarini e le riforme teresiane, in «Paragone», XXIX, 1978, 345, pp. 53-81; Architettura e pittura all’Accademia di Mantova (1752-1802), a cura di U. BAZZONI e A. BELLUZZI, catalogo della mostra (Mantova, 1980), Firenze, Centro Di, 1980; Architettura, scenografia, pittura di paesaggio, cit.; VIALE FERRERO, Luogo teatrale e spazio scenico, cit.; U. QUECKE, Das Teatro Scientifico in Mantua. Architektur und Funktion eines oberitalienischen Akademietheaters des 18. Jahrhunderts, Frankfurt am Main, Lang, 1997; I Bibiena: una famiglia europea, cit.; Il teatro Scientifico di Mantova, a cura di U. BAZZOTTI, Milano, Skira, 2007.

[69] Cfr. I Bibiena: una famiglia europea, cit., pp. 340 (W. Bergamini) e 131 (P. Carpeggiani); Il teatro Scientifico di Mantova, cit., p. 10. Sull’attività mantovana di Antonio: P. CARPEGGIANI, I Bibiena e la stagione del tardo barocco a Mantova, in I Bibiena: una famiglia europea, cit., pp. 134-140.

[70] Cfr. ivi, pp. 337 (D. Lenzi) e 135-136 (P. Carpeggiani).

[71] Cfr. ivi, p. 340 (W. Bergamini).

[72] Capitoli co’ quali, l’Accademia de Timidi di Mantova accetta il progetto presentato dal Signor Cavaliere Antonio Bibiena Regio Architetto [...], Mantova, 6 giugno 1767, ms., Mantova, Archivio Accademia Nazionale Virgiliana, b. Teatro Scientifico; in Il teatro Scientifico di Mantova, cit., pp. 51-52.

[73] Architettura, scenografia, pittura di paesaggio, cit., p. 128 (G. Ricci).

[74] I Bibiena: una famiglia europea, cit., p. 340 (W. Bergamini).

[75] Cfr. la minuta del prefetto Colloredo, s.d. [ma 1768], Mantova, Archivio Accademia Nazionale Virgiliana, b. Teatro Scientifico (in Il teatro Scientifico di Mantova, cit., pp. 52-54).

[76] Cfr. G. RICCI, I Bibiena a Milano: una sede difficile, in I Bibiena: una famiglia europea, cit., p. 127.

[77] Doc. cit. in CARPEGGIANI, I Bibiena e la stagione del tardo barocco a Mantova, cit., p. 139.

[78] Ibid.

[79] Cfr. I Bibiena: una famiglia europea, cit., pp. 341-342 (scheda di L. Giordano).

[80] Cfr. S. TORELLI, Le caratteristiche acustiche del teatro Scientifico di Antonio Galli Bibiena in Mantova, in «Civiltà mantovana», III s., XXXVI, 2001, 112, pp. 114-131.

[81] Cfr. ZORZI 1979, p. 72; e anche ZORZI, Scena, in Enciclopedia, Torino, Einaudi, 1981, vol. XII, pp. 514-515.  

 

[82] Il teatro Scientifico di Mantova, cit., p. 41.

[83] Cfr. e.g. D. FERRARI, Il soggiorno mantovano di Mozart e l’inaugurazione del Teatro Scientifico (1769-1770), in «Maske und Kothurn», 48, 2002, 1-4, pp. 399-404.

[84] Il documento si legge ora agevolmente in Il teatro Scientifico di Mantova, cit., pp. 42-43. Per la citazione: ivi, p. 41; v. anche ROTHGORDT-FARIO, Il teatro accademico del Bibbiena in Mantova, cit., p. 32; FERRARI, Il soggiorno mantovano di Mozart, cit., p. 403.

[85] In Il teatro Scientifico di Mantova, cit., p. 43.

 

[86] Ivi, pp. 43-44; e già in ROTHGORDT-FARIO, Il teatro accademico del Bibbiena in Mantova, cit., p. 33.

[87] In Il teatro Scientifico di Mantova, cit., p. 41.

[88] In ROTHGORDT-FARIO, Il teatro accademico del Bibbiena in Mantova, cit., p. 34. 




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