Pubblico qui la relazione da me presentata al Convegno internazionale di studi “Settecento italiano/Settecento europeo” (Università di Firenze, 4 ottobre 2012): prima traccia di un lavoro in progress.
Lanzi e i Bibiena Si prenda la preziosa Storia pittorica della Italia dellabate Luigi Lanzi alla “voce” Ferdinando e Francesco da Bibiena: né altra casa pittorica in questa e in altra età si è resa mai più nota nel mondo. Non vi è stata forse una corte che non invitasse alcuno de Bibieni a servirla; né altro luogo meglio confacevasi a Bibieni, che le grandi corti. Erano le loro idee pari alla dignità de sovrani; e sol la potenza de sovrani potea dar esecuzione alle loro idee. Le feste chessi diressero per vittorie, per nozze, per ingressi de prìncipi, furono le più sontuose che mai vedesse lEuropa. […] Lingegno e le opere di Ferdinando han data a teatri nuova forma. Egli fu linventore delle magnifiche scene che oggidì veggonsi; e della meccanica onde si muovono e si cangiano prestamente.[1]
Parole acute ma alonate di mitopoiesi. Quasi la messa in pagina di una serliana scena tragica librata nel tempo della festa e popolata esclusivamente di sovrani, principi, grandi corti e grandi personaggi. In breve: artisti straordinari per regali committenti. Parole scritte sul finire del Settecento dall“illuminato” gesuita Lanzi, critico darte-viaggiatore, sia per consolidare il mito della dinastia bibienesca sia per celebrare le glorie dItalia. In realtà occorre schivare le generalizzazioni. Ogni esponente dei Bibiena ebbe peculiarità artistiche proprie da vagliare, storicizzandole, caso per caso; e sappiamo bene che le «grandi corti» non furono lunico ambito di committenza in cui lavorò la famiglia di architetti-scenografi di origini toscane. Si pensi alloperosità dei Bibiena per le accademie o altre istituzioni di tipo cittadino e societario della nostra penisola.
Ferdinando Bibiena e il teatro della Fortuna di Fano (1674-1675, 1718-1719) Prendiamo le mosse da una piccola città soggetta alla Santa Sede e favorita dalle ambizioni mecenatesche della oligarchia aristocratica locale.[2] Dico Fano dove tra il 1674 e il 1675 nel teatro della Fortuna,[3] allora in costruzione per volontà societaria patrizia, lavorarono fianco a fianco il Grand Sorcier della scena barocca Giacomo Torelli e Ferdinando Bibiena, astro nascente di una nuova stagione di Meravigliose scene e Piacevoli inganni.[4] Quello fanese fu un fruttuoso rapporto di alunnato. Unartista agli esordi e un maestro settantenne rientrato da quasi tre lustri da Parigi nella città natale.[5] Fu in questo teatro, dicevo, che tra il 1674 e il 1675, quando il cantiere era vibrante di maestranze e di artisti, giunse il giovane Ferdinando. Non ancora ventenne (era nato a Bologna nel 1657), egli viveva in quel periodo un proficuo apprendistato teatrale. Approdò al teatro della Fortuna al seguito del suo maestro Mauro Aldrovandini, scenografo detto “il Mauro Bolognese”.[6] Costui, membro di una famiglia di pittori-decoratori attiva nel Sei-Settecento implicata a doppio filo con il teatro, era un quadraturista famoso: «da Camere e da Teatri in Bologna e in altre città», informa un suo biografo settecentesco (lOrlandi).[7] Poco sappiamo, in concreto dettaglio, delloperato del Bibiena in quella circostanza. E tuttavia è più che economico pensare a una esperienza di formazione eccezionale. Non per caso nelle concise Memorie della nostra casa Ferdinando sottolinea che in gioventù si recò a Fano, cito, con Mauro Aldrovandini, ad ajutarvi a dipingere quel Teatro, e quelle Scene, sotto la direzione, e disegno di Giacomo Torelli Fanese, ingeniere del Rè Cristianissimo.[8]
Prendiamo atto che la prima rilevante esperienza teatrale del capostipite della dinastia maturò allombra del grande Torelli nel cantiere di un memorabile “teatro allitaliana”; e che, in quelloccasione, il giovane artista si applicò scrupolosamente sotto la direzione di costui su un duplice versante. Ripeto con Ferdinando: «dipingere quel Teatro, e quelle Scene», cioè dipingere i palchetti e le immaginifiche scene prospettiche del Torelli; e si noti la puntuale distinzione lessicale bibienesca tra sala e spazio scenico. Altre fonti,[9] peraltro, ancorano lesordio teatrale di Ferdinando nella nativa Bologna ove, ante 1674-1675, egli avrebbe lavorato come scenografo con il bolognese Ercole Rivani: macchinista teatrale ingegnoso e scenografo che poi, è noto, fu al servizio del Re Sole.[10] Si osservi, a riprova della perizia macchinistica del Rivani, la struttura complessa da lui ideata per una felsinea festa della porchetta in piazza Maggiore (fig. 1).[11]
Resta comunque, non lo si dirà mai abbastanza, che «il grande vero maestro» di Ferdinando nel campo della scenografia fu proprio Torelli.[12] Al teatro della Fortuna, Ferdinando tornò nel 1719, alonato di esperienza internazionale. Vi tornò con «sommo piacere» (così in una sua lettera).[13] Aveva sessantadue anni. Era una sorta di “oracolo” teatrale ascoltato in tutta Europa. Nel 1718 aveva accettato, con intento palesemente emulativo, lincarico di restaurare il teatro del Torelli.[14] Subito si era dichiarato «disponibile in cambio del puro e semplice rimborso spese, anteponendo lincremento di prestigio che gliene sarebbe derivato a qualsiasi calcolo dordine economico».[15] Da Torelli a Bibiena, dunque: quasi un passaggio di testimone. Perciò Ferdinando ridipinse con entusiasmo il teatro della Fortuna rinnovandone con genialità la dotazione scenica.[16] In questo nuovo viaggio marchigiano, condotto anche, piace immaginarlo, sul filo della memoria del Grand Sorcier e di una giovinezza perduta, lo accompagnavano tre collaboratori e il più giovane dei suoi quattro figli architetti-scenografi. Dico il ventiduenne Antonio Luigi (1697-1774) che lavorò con il padre in quello spazio teatrale. Antonio può considerarsi forse lesponente più geniale, inquieto ed enigmatico della dinastia dei Bibiena. Si legge in una missiva di Ferdinando del 29 marzo 1719: Per li giovani chio penso condurre saranno quattro cioè mio figlio [allude ad Antonio] e altri tre [allude a Giuseppe Monari, Giuseppe Falconi e Angelo Selvini, aiutanti del Bibiena], e ciò per spiciarmi presto, oltre che ve ne sarà bisogno anche di altri che costì sarano e di questi che condurò due saran ve[ramen]te, […] buoni e due mediocri, ma pratici in cotesti affari.[17] Non cè dubbio che tra i «veramente buoni» vi fosse il talentuoso Antonio. In quelloccasione Ferdinando e il suo staff ridipinsero «tutti i parapetti dei palchi e lintera dotazione scenica torelliana, aggiungendovi anche nuovi scenari come quello del “Bosco” e, molto probabilmente, anche quello del “Carcere”».[18] Bibiena senior operò con estrema libertà in rapporto alla dotazione originaria ideata dal Torelli, dilatandone al massimo gli effetti prospettici con laggiunta di numerose altre coppie di quinte, passando dalle sei o sette coppie impiegate dal Torelli alle venti della “Galleria lunga” e [alle] diciannove del “Bosco lungo”, sostituendo in tal modo i vecchi fondali a prospettive dipinte con un nuovo cannocchiale ottico tridimensionale. [… Aggiungo che la] dotazione scenica bibienesca […] fu a lungo utilizzata e rese famoso il teatro torelliano più della sua stessa struttura architettonica.[19] Daltronde anche le scene originarie avevano trionfato per molto tempo nel teatro della Fortuna. Pensate dal Torelli per il melodramma che nel giugno 1677 inaugurò la sala (Il trionfo della continenza, libretto di Giulio Montevecchi, musiche di Alessandro Melani), esse furono utilizzate sino al carnevale del 1718 quando, infine, destarono la meraviglia di Giacomo III Stuart e del suo seguito.[20]
Osserviamo, a riscontro della “rivoluzione” bibienesca dello spazio scenico torelliano, la piantazione della già convocata Galleria (fig. 2). Il disegno[21] (inchiostro su carta di anonimo settecentesco) è custodito presso la biblioteca Federiciana, con altre nove tavole visualizzanti in pianta lassetto del palcoscenico post 1719.[22] I fogli, segnalati a suo tempo dallinfaticabile Elena Povoledo e poi editi da Franco Battistelli, illustrano puntualmente lo spazio scenico concepito dal Bibiena. Bibienesca è certo […] la virtuosistica fuga prospettica a cannocchiale della Galleria lunga, delimitata da ben venti coppie di quinte (oltre al fondale […]).[23] [Dunque,] una prospettiva centrale a cannocchiale formata da […] venti coppie di quinte o “tellari” (le prime tredici simmetricamente disposte alla maniera del Torelli, le sette restanti a integrazione di un primo telone traforato [segnato A, un “principale”], fino a raggiungere lo spazio […] celato a sua volta da un fondale [segnato 8] con dipinta unulteriore finta prospettiva a cannocchiale).[24] Si notino inoltre ai lati delle quinte da 1 a 8 i triplici ordini di puntini indicanti i carrelli scorrevoli su cui erano allogati i telari per i mutamenti a vista. Il vertiginoso esito figurativo di questa sapiente scenografia, testimone della scienza prospettica ferdinandea (non riconducibile, si badi, al solo “per angolo” o allimpianto a fuochi multipli), è documentato con esattezza da una pregevole tempera su tela dipinta nellOttocento da Giovanni Albertini e conservata a Fano in palazzo Borgogelli-Avveduti (fig. 3): Illusionisticamente grandioso è leffetto dellintero quadro scenico: esemplare testimonianza di quanto [ambiziosamente] scritto dal Bibiena nel 1718 circa la sua intenzione di realizzare [, cito, ] scene «assai maggiori di quelle [che] sono in quel teatro ora».[25] Concludo questo punto con unineludibile celeberrima incisione autografa di Ferdinando databile con ogni probabilità al 1719 e custodita alla Comunale di Jesi. Il foglio (fig. 4) illustra sia larcoscenico del teatro della Fortuna (abbellito da quattro statue lignee: Giunone e Minerva allinterno del boccascena, e, in primo piano, lArchitettura e la Pittura) sia lo spazio ai piedi del palco riservato ai musici e delimitato da una elegante struttura ad andamento mistilineo in accordo stilistico con la pianta della sala. Ma il coupe de théâtre incisorio è un altro. Il nostro occhio è catturato dal sipario raffigurante «in prospettiva simmetrica, come in un gigantesco specchio, la sala del teatro con i suoi cinque ordini di palchetti».[26] Non sappiamo se tale sipario sia mai stato realizzato. Un inventario del 1690 registra una più modesta «tenda verde e gialla con tutti i fornimenti di corde servibili con casette da contrapesi per detto servizio».[27] Non è da escludere, allora, che linvenzione metateatrale (e si pensi al prologo del menzionato Trionfo della continenza in cui Torelli fece apparire in palcoscenico un teatro “specchio” della sala)[28] che linvenzione bibienesca, dicevo, sia stata pensata da Ferdinando per rappresentare «in ununica stampa sia la sala del teatro che limmagine del suo fastoso boccascena».[29] Un documento memoriale per uno spazio rimasto impresso nella memoria del capostipite della più importante famiglia europea di architetti-scenografi e di suo figlio Antonio.
Notizia su Antonio Bibiena Antonio, dunque. La biografia artistica di Antonio Luigi Bibiena, scenografo, architetto soprattutto teatrale, quadraturista, decoratore nato a Parma nel 1697 e morto a Milano nel 1774, può riassumersi in tre fasi principali: a) il periodo di formazione che lo vide tra laltro dapprima studiare a Bologna e poi, da 1717, crescere intellettualmente e professionalmente al fianco del padre rientrato in Italia da Vienna (si ripensi in particolare alla citata collaborazione con Ferdinando nel 1719); b) il prolungato soggiorno (1721-1751), fitto di esperienze anche teatrali, cortigiane e non, a Vienna come in altri centri dellimpero; c) la seconda fase italiana (1751-1774) altrettanto operosa e ricca di vicende nellambito della scenografia e dellarchitettura teatrale. Fissiamo alcune tappe salienti della carriera di Antonio. Nel corso di un trentennio oltralpe, speso in larga misura nel milieu della corte asburgica, egli fu attivissimo in ambito teatrale e spettacolare. Alla committenza imperiale si ancora dunque, come per altri componenti della dinastia bibienesca, quella che può considerarsi una fase decisiva della carriera di Antonio ancorché non priva di oscillanti fortune cortigiane e di autonome sfortunate iniziative professionali. Penso, ad esempio, alla fallimentare costruzione-cogestione, con lo scultore Antonio Corradini, di un teatro destinato agli spettacoli danimali cioè alla «caccia deglanimali foresti» (così il Bibiena nel 1735).[30]
Ma va posta in valore specialmente la collaborazione viennese di Antonio con il fratello maggiore Giuseppe (1695-1757), primo ingegnere teatrale di corte.[31] Un team famigliare affiatato in grado di firmare a quattro mani molteplici allestimenti operistici.[32] Capace inoltre di ottenere e, si badi, di mantenere e trasmettere per via familiare nel corso del tempo incarichi prestigiosi. Si ricordi allora che negli anni Venti Antonio divenne secondo ingegnere teatrale degli Asburgo. Indi, nel 1748, con la nomina a primo architetto imperiale,[33] la sua carriera a corte raggiunse lapice. Ma, paradossalmente, lavventura viennese di Antonio Luigi era al tramonto. I Bibiena nella capitale dellimpero non erano più alla moda. Giuseppe si era congedato dal servizio imperiale nel 47;[34] e, a dispetto della ricordata prestigiosa nomina conseguita nel 48, gli incarichi per Antonio non erano più numerosi. Non si scordi il «progressivo affermarsi del gusto francese».[35] Sicché nel 1751 lartista rientrò in Italia. Antonio Bibiena e il Comunale di Bologna (1755-1763) Aveva cinquantaquattro anni, Antonio. Era nel pieno della maturità artistica. Naturale che dopo un trentennio oltralpe non privo di affanni desiderasse provare il suo valore in patria o, meglio, tentasse di rinnovare in Italia la propria declinante fortuna professionale, mettendo a frutto il proprio prestigio di architetto teatrale dellimperatrice.[36] Fu così che, a partire dal medesimo anno, lavorò per un biennio come scenografo per il Regio teatro ducale Milano. Fu poi attivo sino al 1755 nel granducato di Toscana sia come scenografo sia come architetto teatrale (e mi piace qui ricordare i nuovi documenti sul teatro pistoiese di Antonio pubblicati di recente da un mio scolaro, Giacomo Sambusida).[37] Nel 1756, infine, si stabilì a Bologna. Da tempo egli si era proposto per ledificazione del nuovo teatro pubblico felsineo.[38] Finalmente aveva ottenuto il sospirato incarico. Si ricordi la supplica da lui rivolta a Benedetto XIV il 22 novembre 1755.[39] In essa chiedeva al pontefice di concedergli progettazione, «direzione della fabbrica» e realizzazione delle «scene occorrenti» per il nuovo teatro.[40] Il 3 dicembre dello stesso anno giungeva la nomina ad accademico clementino.[41] Una “pezza” dappoggio non secondaria nellintricata vicenda che si concluse il 27 dicembre 1755 con laccettazione della candidatura formale di Antonio e con linizio dei lavori (21 aprile 1756).[42] Un innovativo teatro in muratura da erigersi, a cicatrizzazione di una antica ferita urbana, nellarea desolata del cosiddetto «Guasto» (fig. 5), cioè nello spiazzo lasciato vuoto per oltre due secoli e mezzo dopo che la collera popolare aveva raso al suolo nel 1507 la fastosa dimora signorile dei Bentivoglio.[43] Ammonitoria damnatio memoriae. Al 1756 si data il modello oggi conservato nellArchivio storico della Fondazione Teatro Comunale (fig. 6). La maquette, in legni diversi con dorature e laccature policrome,[44] è fonte preziosa illustrando loriginaria idea di teatro bibienesca poi modificata a causa di polemiche e critiche taglienti. Eseguito sotto la direzione di Antonio, il modello riprendeva il progetto che larchitetto aveva presentato in due varianti nel 1754 ai fiorentini accademici Immobili onde rinnovare e trasformare in muratura il ligneo teatro di via della Pergola.[45] Di quel progetto fiorentino ricusato dagli Immobili è rimasta documentazione figurativa grazie alle copie fatte eseguire nel 54 dagli stessi accademici al legnaiolo, macchinista e custode della Pergola Giuseppe Borgini.[46] Copie riportate alla luce anni fa da Elvi Zorzi.[47] Si osservi la sezione longitudinale della sala disegnata a matita penna e acquerello su carta bruna (fig. 7). Il progetto fu giudicato dalla commissione accademica «troppo ornato e più proprio per un anfiteatro» e il Bibiena andò su tutte le furie.[48] Erano lontani i tempi in cui il maestoso cortile di palazzo Pitti con i suoi partiti architettonici era spazio eccellente della medicea scena del principe.[49]
Quella archetipica cinquecentesca tipologia da esterno da dislocare in teatro affascinava Antonio. Lo prova tra laltro lostinata ripresa dellidea, nonostante la freschissima “bocciatura” fiorentina, nella citata maquette del teatro nuovo bolognese (fig. 6). E, a posteriori, possiamo asserire che egli aveva ragione. Lo dimostra loriginale eleganza dello spazio teatrale bibienesco: dico la balaustra-balconata (sollevata su due gradini e che si snoda lungo le pareti della platea a campana): balconata utilizzata di solito dal pubblico maschile desideroso negli intervalli di conversare con le dame del primo ordine di palchi;[50] il bugnato rustico del suddetto primo ordine; lordine architettonico toscano di quelli superiori a balconcino muniti di autonome balaustre e di ariosi archi; le architetture illusionistiche dipinte sul “cielo” della sala; il proscenio, ampio flessuoso profondo, aggettante nella sala, sul quale dobbiamo immaginare librarsi la voce dei cantanti; cantanti in azione “incuneati” in platea, dunque, in sintonia con il propagarsi del gusto belcantistico, come ha osservato lamico Gerardo Guccini;[51] e ancora: la zona ai piedi del palcoscenico destinata ai musici; larcoscenico tutto architettonico con i palchi di proscenio incastonati tra colonne.[52] E nella spaziosa platea si immaginino sia gli spettatori disposti su panche sia quelli che stavano in piedi sul fondo.[53] Un luogo di spettacolo totale (fig. 8). Un teatro straordinario in controtendenza rispetto al gusto dellepoca. Il Bibiena, «nella piena maturità delle sue esperienze», affidava a questa fabbrica, «che doveva fondare il suo prestigio in patria», la «sua dichiarazione di “barocco allitaliana”. Gli attributi di eleganza “scenografica” dispensati nelle flessioni compenetrate della zona destinata allo spettacolo e della platea impiantata a campana si combinano con il “richiamo allordine” visuale nella sovrapposizione dei palchi conclusa sul cielo con lillusione dello sfondato pittorico».[54] Daltronde, si è accennato, le critiche a tale progetto-maquette dettero vita a una querelle che a Bologna raggiunse il calor bianco. È noto che in quel giro di tempo si scatenò su Antonio una bufera messa in piedi dai tanti suoi biliosi detrattori.[55] A nulla valse il puntuale, appassionato Memoriale informativo stilato dallarchitetto post 1756 in difesa, uso parole sue, del «grandioso edificio di Pietra» nel quale, come lui scrive, un «uomo invecchiato […] nella professione» aveva raccolto «tutte le idee, che per antica pratica ed esperienza di Teatri mi si poteano nella mente suggerire».[56] E ancora: In ambienti ben grandi abbiamo pure la continua innegabile esperienza, che risuonino le voci musiche, e gli Instrumenti con tutto che le pareti, il soffitto, il pavimento tutto sia di Pietra, e con di più gli ornati, colonne, e mille altri ora decantati impedimenti nel combattuto mio disegno. Tutto insomma diviene errore, novità e stravaganza nella mia idea di Teatro.[57]
È che ormai la cultura architettonica tardo-barocca del Bibiena, a Bologna come in altre città dItalia, era osteggiata dalla più aggiornata cultura palladiana neocinquecentesca.[58] Perciò il più geniale dei Bibiena fu costretto a modificare la prediletta idea di teatro. Ne derivò una riprogettazione «impostata su una pianta a campana assai più moderata», sulla semplificazione dell«imponenza del proscenio e dellapparato decorativo». Una banalizzazione. Ma solo a tali condizioni laristocratico Senato felsineo consentì il proseguimento dei lavori.[59] Il 14 maggio 1763 si inaugurò il massimo teatro di Bologna che qui vediamo (fig. 9) nella Pianta e descrizione corredante lopuscolo appositamente stampato per loccasione.[60] Un monumentale teatro pubblico in muratura, si è detto, e un evento di portata nazionale e oltremontana. Antonio aveva sessantasei anni. Per loccasione ideò le scene de Il trionfo di Clelia di Gluck su libretto di Metastasio. Il manifesto dello spettacolo inaugurale (fig. 10) non solo registra il cast dellopera seria (si noti la presenza tra gli «attori» del famoso castrato fiorentino Giovanni Manzuoli o Manzoli), ma anche il cast dei balli agiti tra gli atti dellopera e coreografati da Augusto Hus; mentre la «disposizione a rosa dei nomi dei danzatori»[61] conferma limportanza del ballo teatrale nella coeva opera italiana.[62] Si aggiunga che Gluck completò la partitura a Bologna solo dopo avere testato personalmente le caratteristiche artistiche dei cantanti.[63]
E le scene di Antonio? Svela un documento coevo: dodici mutazioni, la una più spettacolosa dellaltra […] sopra tutte quelle del Tevere…arcimirabile. Poiché, dovendosi rappresentare che questo ponte si ruppe per lo combattere dei Romani contro gli Etruschi, tal rottura passa ogni dire et ogni immagine.[64] Quella sera le dodici mutazioni (camere di palazzo reale, reali logge, galleria, «delizioso ritiro» nel «real giardino», «fabbriche antiche alla riva Toscana del Tevere», ecc.)[65] sfilarono in calibrata sequenza dinanzi agli occhi di millecinquecento spettatori.[66] Fu un successo. «Immagini organizzate nel tempo», per usare una efficace formula di Lorenzo Bianconi.[67] Immagini fastose e drammaturgicamente demarcative. E dunque: dramma per musica in azione e spettacolo visivo ricco di “colpi di scena” per un pubblico pagante giunto anche da lontano. Lestroso scenografo aveva colpito nel segno in una delle capitali del sistema produttivo operistico italiano. Antonio Bibiena e lo Scientifico di Mantova (1767-1769)[68] Dal Comunale di Bologna allo Scientifico Mantova. In cuor suo Antonio inseguiva, credo, il ricordo dello zio Francesco chiamato nel 1716 dallaccademia dei Timidi a stilare una perizia per restaurare il piccolo fatiscente teatro di quel sodalizio mantovano.[69] Ma quel cantiere, è noto, si aprì mezzo secolo dopo, nel 1767, con un altro Bibiena a dirigerlo: il settantenne Antonio, appunto, il quale due anni prima aveva portato a termine, celermente e con successo, il teatro Onigo di Treviso; nonché realizzato, sempre nel 65, gli apparati per il passaggio a Mantova di Maria Luisa di Spagna consorte di Leopoldo dAustria.[70] Nel 67 dunque il vecchio ma energico architetto teatrale si gettava a capofitto nella realizzazione di un nuovo teatro. In tale anno il Bibiena firmava il contratto con i rappresentanti dei Timidi (fig. 11). Un progetto già approvato[71] dallallora ministro asburgico plenipotenziario in Lombardia Karl Joseph Firmian, dove costui dintesa con il primo ministro Kaunitz dette vita, come tutti sanno, a teresiane fondamentali riforme. Ma torniamo alla nostra microstoria, cioè al contratto sottoscritto da Antonio. Mantova, 6 giugno 1767: LAccademia suddetta aderisce alla proposizione desso Cavaliere Bibiena di rifare secondo il presentato suo disegno a tutte spese di lui il Teatro […], e fornirlo delle convenienti mutazioni di scene per le rappresentazioni pure a sue spese, riservandosi ognora lassoluto possesso, e diritto del Teatro medesimo […]. Vuole altresì lAccademia, che siano per sempre esclusi dal Teatro e dalle stanze di sua ragione i giuochi di Zara, le compagnie de comici, o sia istrioni, quelle de ballerini da corda, o giocolieri, e simil sorta di gente; volendo solo, che sieno ammesse sulle sue scene le compagnie di civili dilettanti, ed alunni dellAccademia […]. Non sarà solamente obbligo del Cavaliere, e suoi eredi, tenere a loro spese pel corso accordato degli anni venticinque il Teatro ristaurato; ma dovranno eziandio dopo spirato il predetto termine rilasciarlo allAccademia in lodevol forma […]. Per ultimo si obbliga il Signor Cavaliere a dare il teatro perfettamente compiuto secondo la convenzione, e il disegno dentro lanno corrente mille settecento sessantasette.[72] Un contratto capestro per un artista senza capitali. A fronte di un simile velleitario atteggiamento appeso al filo dellansia per un futuro incerto, i problemi per il povero Cavalier Bibiena erano inevitabili. Così fu: dopo linizio dei lavori (agosto 1767)[73] subentrarono gravi difficoltà economiche che mutarono «i termini dellimpegno finanziario e delle trattative circa i compensi dovuti allanziano architetto che, pur dallalto del [suo] accreditato prestigio», uscì dalla vicenda ridicolizzato.[74] Illuminante in proposito licastica relazione stilata nel 1768 dallaristocratico prefetto accademico, conte Carlo Ottavio Colloredo.[75] E agli inizi del 1769 Antonio ormai era senza lavoro da molti mesi.[76] Un artista obsoleto. Si rammenti la severa bocciatura, pronunciata dal primo ministro Venceslao Kaunitz il 20 febbraio 1769, del progetto bibienesco per il nuovo palazzo accademico e per il prospetto del teatrino Scientifico. Facciata giudicata, recita un documento coevo, unoffesa agli «occhi avvezzi, e conoscitori del sano gusto».[77] E sorte non migliore ebbero i due nuovi progetti presentati tempestivamente da Antonio per rimediare a quella ennesima bocciatura. Intanto, si profilava, per lideazione della facciata accademica, lombra dellalfiere del neoclassicismo lombardo, Giuseppe Piermarini raccomandato per giunta, nel caso specifico, dallillustre suo maestro Vanvitelli.[78] Tuttavia, lo Scientifico di Mantova non fu lultimo teatro di Antonio della famiglia dei Bibiena. Si pensi al teatro dei Quattro aristocratici Cavalieri inaugurato a Pavia nel 1773,[79] appena un anno prima della morte del nostro architetto-scenografo. Ma è lo Scientifico il capolavoro di costui. Il suo spazio del teatro più “raffinato” coniugando, in magistrale sintesi, stilemi di lunga durata: “classici” (lidea del teatro antico) e “romanzi” (lidea del teatro allitaliana) (fig. 12). La pianta a campana; lacustica eccellente;[80] il bugnato del portico che cinge il piano terreno della sala (da pensare, sintende, senza lingombro delle poltrone fisse); la scansione di balconate e di autonomi palchi riecheggianti lidea del cortile aristocratico; i palchetti affrescati internamente dal Bibiena stesso con pannelli monocromi (fig. 13); lelegantissimo arcoscenico con tiepolesche mensole a volute (fig. 12) ospitante i palchi di proscenio racchiusi tra colonne giganti; linconsueto palcoscenico illuminato o di luce diurna (fig. 13a) o di luce artificiale (fig. 14) per ospitare conferenze, cerimonie, dibattiti e concerti: questi i tratti salienti dellinvenzione bibienesca in bilico tra cultura tardo barocca e civiltà dei lumi. Si osservi dunque lanomalo palcoscenico privo di sipario, quinte, macchine e retropalco perché impiantato sulle istanze culturali e scientifiche della committenza accademica. Scartata lipotesi iniziale di una consueta scenografia con quinte in tela dipinta, Antonio recuperava qui lidea della scenafronte classica impalcando un duplice loggiato praticabile sormontato da un attico. Una scena fissa tutta architettura che si salda idealmente alla diuturna “visione” vitruviana inverata da Andrea Palladio nellOlimpico di Vicenza. Lo aveva ben compreso Ludovico Zorzi cui dobbiamo una pagina sullo Scientifico tanto acuta quanto negletta dagli specialisti dei Bibiena.[81]
Dinanzi a quella scena maestosa il 16 gennaio 1770 il tredicenne Mozart (fig. 15) suonò in occasione della sua prima tournée in Italia. Il teatro, illuminato, era gremito di pubblico aristocratico e borghese, nonché di accademici «esperti in campo musicale».[82] Lesibizione concertistica siglò la “vera” inaugurazione dello Scientifico con un evento straordinario.[83] Chi sfogli le carte dellarchivio dellaccademia nazionale Virgiliana potrà leggere il programma a stampa di quel concerto memorabile: una fonte rilevante per «la conoscenza dellesibizione-tipo» europea[84] dell«incomparabile giovinetto Wolfango Amedeo» (così il Foglio di Mantova del 19 gennaio del 69).[85] E ancora, sempre dal Foglio: eseguì concerti e sonate di gravecembalo allimprovvisò con variazioni giustissime e con ripetizione duna sonata in diverso tuono. Cantò improvvisamente unaria intera, sopra nuove da lui mai vedute parole, dandogli i debiti accompagnamenti. Improvvisò due sonate sopra due motivi successivamente indicatigli sul violino del Direttore dorchestra […]. Concertò una sinfonia con tutte le parti sopra una sola parte di violino propostagli allimprovviso. E, quel che più è da stimare, compose, e ad un tempo eseguì, pure allimprovviso, una fuga sopra ad un semplice tema, che gli si presentò, e la condusse ad un sì magistrale collegamento armonico di tutte le parti, e la sciolse sì francamente che ne rimasero gli intendenti storditi […].[86] Concludo con una nota missiva di Leopold Mozart: Il 10, a mezzogiorno, siamo partiti da Verona e siamo giunti a Mantova alla sera […]. Vorrei che tu [scrive alla moglie] avessi visto il luogo dove si è tenuta lAccademia: vale a dire il cosiddetto Theatrino dellAccademia […]. In vita mia non ho mai veduto niente di più bello in questo genere; spero che tu conserverai con cura tutte le lettere, in modo che ti posso descrivere tale cosa a suo tempo. Non è un teatro ma piuttosto una sala costruita con loggiati, come un teatro dopera. Dove dovrebbe trovarsi il palcoscenico cè una tribuna per chi suona e dietro i musicisti corre nuovamente una galleria a forma di loggia per gli spettatori.[87] La folla, le grida, gli applausi, il chiasso, i bravo, lammirazione generale non li posso abbastanza descrivere.[88]
Nulla da aggiungere.
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