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Stefano Mazzoni

Firenze, Ludovico Zorzi e la nuova storia del teatro

Data di pubblicazione su web 20/06/2015
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Pubblichiamo la relazione di apertura, di Stefano Mazzoni, del convegno internazionale di studi Firenze e la nuova storia del teatro organizzato dalle Università di Firenze, Pisa e Siena, Dottorato di ricerca interuniversitario Pegaso in Storia delle Arti e in Storia dello Spettacolo, in collaborazione con la fondazione Teatro della Toscana (Firenze, Teatro della Pergola, 23-24 aprile 2015).

Torno, con la dolcezza amara dei ricordi, al 15 marzo 1984 quando, a un anno dalla scomparsa di Ludovico Zorzi, si tenne nell’aula 1 di piazza Brunelleschi della allora Facoltà di lettere dell’Università di Firenze, la “sua” aula gremita di allievi colleghi collaboratori e amici, una giornata intitolata Per Ludovico Zorzi. Giornata di lavoro di Storia dello spettacolo (così allora si chiamava a Firenze la nostra disciplina). Di quel giorno resta memoria in un numero monografico, a cura di Sara Mamone, della rivista «Quaderni di teatro» (VII, 27, pp. 3-88) dedicato nel 1985 a Ludovico Zorzi e la “nuova storia” del teatro. Un titolo esatto.

Fu proprio all’Università di Firenze che si sviluppò con pienezza il suo originale, dinamico insegnamento. Chiamato nel 1972 presso la Facoltà di lettere il veneziano Zorzi divenne fiorentino dedicandosi «con entusiasmo e straordinaria freschezza intellettuale, a far lezione a scolaresche straripanti attratte dalla novità della materia [la storia dello spettacolo] ma soprattutto dal riconoscimento immediato della presenza in cattedra di un ingegno raro, non conformista, rigoroso e creativo insieme»[1].

Aveva quarantaquattro anni Zorzi e aveva alle spalle la decisiva esperienza da lui vissuta nel milieu culturale dell’inquieto anticonformista e dinamico sperimentatore Adriano Olivetti e la quotidiana demistificante realtà aziendale. Fu Ivrea la sua finestra sul Novecento europeo. Qui Zorzi entrò in diretto contatto con il folto gruppo di intellettuali olivettiani, con i venti di rinnovamento della cultura internazionale non accademica. In quel clima maturò l’einaudiana memorabile impresa del Teatro di Ruzante (1967)[2] permeata di istanze di fondazione anche documentale della disciplina al servizio di una nuova concezione della storia del teatro. Occorreva anzitutto tornare alla scienza storica e alla critica delle fonti. Tornarvi per tentare di “fare” la storia dello spettacolo storicizzandola in più ariosi orizzonti culturali ed ermeneutici.

Istanze di fondazione, si diceva. Ancora attuali. Fatte proprie e praticate da tempo anche da colleghi, collaboratori e allievi di Zorzi, poi coagulatisi con indipendenza di passo attorno a Siro Ferrone, suo successore sulla cattedra fiorentina, dando vita a un articolato tessuto di referenze, basato su indagini di prima mano di storia dello spettacolo, che sarebbe poco elegante qui vantare. E tuttavia un giorno andrà raccontata la storia di quei libri ed è utile ricordare almeno la collana «Storia dello spettacolo»[3] e ribadire che lo storico dello spettacolo (teatrale e non) deve privilegiare l’analisi delle fonti originali siano esse da scoprire o già note, comunque da verificare direttamente e interrogare e interpretare con domande nuove. In breve, occorre praticare con pazienza, coraggio e umiltà quello che da tempo sono solito chiamare il ritorno alle fonti.[4] Non esiste nuova storia senza nuova erudizione, scrive Fernand Braudel.[5] Un ritorno alle fonti non di stampo positivo ma criticamente affilato e contestuale, da incrociare senza pigrizie con la conoscenza della storiografia. E il documento va inseguito da presso, va interpretato inserendolo nel contesto storico-culturale in cui venne stilato, valutando l’intenzionalità, l’attendibilità (da verificare con comparazioni e controlli incrociati), nonché i modi di produzione del cosiddetto documento/monumento.[6]

Tra il 1967 e il 1977 (ossia dal citato Teatro di Ruzante ai saggi orchestrati nel Teatro e la città) fu Zorzi, è stato molto bene osservato, il «personaggio più autorevole» del profondo rinnovamento degli studi teatrali.[7] Ancora oggi dobbiamo fare i conti con quella sua geniale lezione di metodo multilineare versatile e rigoroso, molteplice condensarsi di specifiche complessità sociali, politiche e culturali, di utopie e di fatti concreti attualizzati, volta a volta, dalla filologia e dalla storia senza superfetazioni precettistiche o predicatorie. Si pensi al dichiarato zorziano procedere per via di esempi concreti,[8] tratto saliente dalla sua attività scientifica (e didattica) capace di disegnare i concetti generali prendendo le mosse da specifici ambienti e vivi contesti.  

Penso, in particolare, alla zorziana filiera storia della società, storia della cultura, storia dello spettacolo. «Cosa c’era un tempo attorno al fenomeno spettacolare che andiamo studiando?». Era questa la semplice domanda che Zorzi, che non amava le fumosità teoriche e le cristallizzazioni metodologiche, poneva spesso ai sui allievi dell’Università di Firenze, ai quali, di norma, assegnava tesi documentarie, in coerenza con il suo convintissimo e ben perimetrato progetto di dotare la materia di robuste fondamenta.[9] Da qui i tanti cantieri archivistici in progress che approfondivano e sottoponevano a verifica le pregresse indagini e intuizioni dello studioso o aprivano nuove piste, sostanziando con l’analisi storico-filologica delle fonti «il postulato zorziano del teatro come arte compromessa con tutte le funzioni civili ed espressive della società».[10]

Da qui inoltre, in quegli stessi anni, la non secondaria presenza saggistica di Zorzi, dei suoi allievi e dei suoi collaboratori nella già ricordata strategica rivista «Quaderni di teatro» edita a Firenze.[11] Non pochi i lemmi bibliografici di quello straordinario periodo fiorentino da convocare a testimonianza di una pluralità d’interessi tesa, appunto, alla zorziana fondazione scientifica della storia dello spettacolo. Ne rammento, per brevità, solo alcuni. Anzitutto, l’esemplare mostra-saggio documentale Il luogo teatrale a Firenze. Brunelleschi Vasari Buontalenti Parigi («Spettacolo e musica nella Firenze medicea. Documenti e restituzioni», 1, 1975).[12] Mostra che, sin dal titolo, rinvia al concetto fondante discusso in Francia nel 1963 nel colloquio Le lieu théâtral à la Renaissance di cui danno conto gli atti riuniti nell’omonimo volume a cura di Jean Jacquot.[13]

Concetto, quello di lieu théâtral, ridefinito acutamente dall’ermeneuta Zorzi; e su cui giova insistere per evitare fraintendimenti storiografici circa il decisivo passaggio dal luogo teatrale al teatro in età moderna, ossia per chiarire una volta per tutte la non evoluzionistica differenza tra le molteplici diversificate tipologie di un lieu, adibito occasionalmente e temporaneamente a sede di un evento spettacolare, e quelle, altrettanto diversificate e molteplici, dell’edificio teatrale.[14]

In una prospettiva storica di lunga durata è basilare la consapevolezza della differenza tra il luogo e l’edificio teatrale. Si ponga mente, nell’ambito degli studi di Zorzi, al decisivo processo di accelerazione produttiva e di diffusione della vita teatrale determinato a Venezia dal passaggio dal luogo al teatro. Fu quel passaggio il motore di un pragmatico sistema imprenditoriale patrizio e di un robusto professionismo teatrale e musicale che fecero della città lagunare una delle capitali dello spettacolo di Antico regime.

Possiamo ora tornare, con maggior profitto, alla mostra fiorentina del 1975. In questa, come in altre iniziative espositive di fortuna europea (La scena del principe, 1980),[15] Zorzi nell’indagare gli spazi e le forme dello spettacolo della Firenze medicea, rapportandoli allo spazio urbano come all’architettura, alla pittura, alla musica e a un fitto reticolo di committenti realizzatori fruitori, seppe coniugare con originalità rigore scientifico-documentario, intelligenza ermeneutica, didattica universitaria e organizzazione di eventi culturali destinati a un ampio successo di pubblico, sintetizzando così ricerca e alta divulgazione.  

Impegno scientifico e impegno civile, dunque. È questa una tra le tante vitali lezioni zorziane. E spiace che non sia andato in porto il suo progetto, così attuale e necessario, di dotare Firenze di un inedito Dipartimento e museo regionale di storia della cultura scenica, musicale e di immagine urbana e territoriale della Toscana;[16] dove, tra l’altro, avrebbero trovato stabile collocazione i modelli lignei, resi “parlanti” dalle intuizioni dello studioso, che tanto avevano contribuito al successo delle esposizioni da lui ideate,[17] restituendo plasticamente innovative ipotesi di ricostruzione degli spazi della spettacolarità teatrale medicea. Un esempio concreto di applicazione di metodo (un’àncora di salvezza a fronte di tante astrazioni teorico-critiche della storiografia teatrale di ieri e di oggi), di riuscito lavoro di équipe, che andrebbe ora globalmente ridiscusso e aggiornato con le tecnologie digitali attuando una rilettura, in senso vitruviano stimo, della storia cinquecentesca del luogo teatrale di corte a Firenze.[18] E si prenda atto della convinzione zorziana dell’importanza strategica dello studio dello spazio del teatro con le sue fondanti problematiche metodologiche.

Si pensi al già convocato Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana. Un libro nuovo: complesso, pluridisciplinare, dagli orizzonti culturali ampi. Centrato sulla dialettica tra spettacolo e società, teatro e sfera del simbolo, ordine politico e retorica cerimoniale, spazio della città e spazio scenico (e viceversa). In questo volume è la città fusa al teatro il testo decisivo per lo storico dello spettacolo Zorzi. Prende vita così un affresco inedito di storia globale e contestuale dello spettacolo, della società, dell’arte e della cultura che sarebbe ingiusto e persino impertinente schematizzare. Un volume «denso e importante, che non ci si può limitare a conoscere ma sul quale è doveroso e necessario far convergere e sperimentare una ampia e approfondita discussione che usi la ricchezza e la polivalenza delle prospettive e della documentazione offerta da Zorzi».[19]

La funzione e il significato delle forme spettacolari nelle civiltà urbane e architettoniche di Ferrara (spazio pseudo-prospettico), Firenze (spazio prospettico) e Venezia (spazio cinetico) sono decifrati da Zorzi a tutto tondo, compiendo scavi a più livelli e inventando, di contesto in contesto, di caso in caso, di problema in problema, nuovi ben calibrati grimaldelli ermeneutici; ben conoscendo la sterilità scientifica di griglie metodologiche “universali” preventive, valide a tutte le latitudini e per tutte le epoche. Il più si impara facendo.[20] Ed è cruciale per l’ermeneutica zorziana lo studio delle idee e degli atteggiamenti verso lo spazio, dell’esperienza estetico-sensoriale di esso e della correlata dimensione temporale. Egli mette originalmente a frutto le aperture e i rovelli di metodo del magistero di Sergio Bettini, di cui era stato scolaro alla Università di Padova,[21] nonché le concettualizzazioni dei maestri della Scuola di Vienna,[22] sdoganate in Italia proprio da Bettini;[23] ma è da ricordare anche il volume di Bruno Zevi sulla Ferrara di Biagio Rossetti,[24] e viene da domandarsi se e quanto abbia inciso sulla genesi della passione urbanistica di Zorzi, l’appassionato urbanista Olivetti.

Ne deriva complessivamente una zorziana storia dello spettacolo fluida, a-centricaal plurale (non ancora compresa appieno, ne sono sempre più convinto). Capace cioè di non cristallizzarsi in sé stessa; di far leva su differenti punti di forza per giungere all’essenza di un fenomeno; di elaborare senza sofismi il lutto della perdita dell’oggetto ermeneutico (la foucaultiana assenza di opera)[25] superando così le iterate «retoriche dell’arte fuggitiva»;[26] di illuminare di nuova luce i propri densi contesti svelando le interazioni dialettiche tra urbs, civitas e spettacolo; di abbattere gli steccati disciplinari perseguendo metodi via via diversi dettati dai differenti terreni da dissodare; e, infine, questione decisiva, d’inventare, di volta in volta, le proprie fonti in modo originale facendo ricorso anche, in alcuni casi soprattutto, a documenti analogici, insospettabili ai più, messi a illuminante confronto con le cosiddette fonti dirette. È questo, forse, l’esito più nuovo e sorprendente della lezione scientifica di Ludovico Zorzi:[27] dico l’attitudine a stabilire relazioni analogiche tanto coerenti quanto vincenti e il montaggio sapiente «di testi e di referti allotri».[28] «“Attitudine a scoprire correlazioni”: ecco una delle più soddisfacenti definizioni del genio scientifico», asseriva Lucien Febvre.[29]

Ancora. Come non pensare allo storico dello spettacolo Zorzi poi in sintonia con la nuova storia braudeliana? Alludo al progetto zorziano dei primi anni Ottanta – il periodo dell’emblematico suo saggio Parere tendenzioso sulla fase[30] – di dar vita, per la einaudiana serie di Annali della Storia d’Italia, a un antievenemenziale volume dedicato a oltre quattro secoli del nostro antico teatro: dalla trecentesca Frottola di Vannozzo al Don Giovanni di Da Ponte-Mozart come Werk der Ende.[31] Una scelta significativa sul piano del metodo. Una sintesi scientifica originale che finalmente avrebbe storicizzato con nuove non settoriali logiche di lavoro fasi salienti del teatro italiano, con le loro molteplici problematiche specificità, tra i caratteri originali del paese Italia.[32] Con la consapevolezza, lascio la parola a Zorzi, che

lo studio dei momenti di trapasso tra una congiuntura e l’altra si mostra di gran lunga più interessante che lo studio di movimenti interni alle singole fasi o dei fenomeni stabilizzanti di esse. La fine del ’700 assomma al chiudersi di un periodo congiunturale (tra il ’30 e il ’90) e di un periodo di lunga durata (che per la storia del nostro teatro profano ha inizio verso la fine del 1300: e dunque si estende lungo l’arco di quattro secoli) anche la fine di un periodo di lunghissima durata, che in pratica risale fino alle origini storiche della civiltà dell’Occidente.[33]

Mestiere di storico e lunga durata: la «lunga e lunghissima durata in mezzo a cui si sviluppano i mutamenti sostanziali»,[34] ma senza perdere di vista i frammenti di essa (gli eventi) e mettendo in risalto i trapassi tra le diverse situazioni congiunturali. Insomma, proficua dialettica tra tempo breve e tempo lungo.[35] In quegli anni la nostra materia si misurava con profondità di pensiero con la «nuova storia» e Zorzi fu una figura decisiva per la nuova storia del teatro.

Si pensi, a riprova, anche al fondamentale valore assertivo dei documenti iconografici cui Zorzi ha dedicato tanta intelligenza confrontandosi con una storia dell’arte che, per lo studioso veneziano, viveva di contesti, di orizzonti culturali ampi, di warburghiana scienza del significato, cioè di una scienza «che chiama a raccolta – scriveva Zorzi nel ’79 a proposito dell’Analisi teatrale – le fonti della storia dell’arte, della filosofia, della letteratura e della musica»;[36] nonché di fitti “colloqui” con le discipline delle scienze umane da cui ricavare – la notazione è strategica – «non solo tecniche e metodologie sperimentate, ma anche delle logiche di lavoro».[37] Conoscere mille per conservare dieci,[38] senza dogmi o etichette, utilizzando logiche di lavoro nuove e punti di vista diversi per comprendere il ruolo dello spettacolo nelle società. Che è poi il citato metodo multilineare in “moto perpetuo”, invenzione epistemologica decisiva per la nostra materia, attuato senza indugi e senza prediche nel Teatro e la città come nel Carpaccio. Proprio quest’ultimo volume mostra in modo esemplare la zorziana densità di pensiero applicata alle testimonianze figurative come fonti per la storia dello spettacolo, con la consapevolezza  che alla «rappresentazione figurale […] partecipano, in un clima culturale comune e fino all’avvento generalizzato delle esperienze specifiche che produrranno il corpo separato della scenografia, tanto la rappresentazione pittografica quanto la rappresentazione teatrale».[39] Immagini e ricostruzione storica. Nulla di più, nulla di meno.

Si pensi dunque alla ricognizione del veneziano ciclo di Sant’Orsola dipinto da Vittore Carpaccio dal 1490 al 1497-1498 per la piccola sede della veneziana Scuola dedicata alla santa. Il saggio ursuliano, scritto tra il 1980 e il 1981,[40] dispiega con scienza rara una analisi storica a vocazione poliziesca giungendo, tra l’altro, a distinguere con maestria filologica, all’interno del ciclo, tre gruppi di teleri, in bilico tra i “nostri” e i “loro”, svarianti dal tema della ambasceria a quello della peregrinatio e caratterizzati dalla memoria, distanziata nel tempo nella mente del pittore, di differenti semi dello spettacolo veneziano “teatrale” e cerimoniale: la rappresentazione sacra, la cerimonia di stato, la sfilata stradale, la momaria.[41] Era uno storico della cultura anche visiva il warburghiano Zorzi intrigato dalla scuola delle «Annales», dal cosiddetto strutturalismo di Lévi-Strauss, dal criticismo dialettico “neo-kantiano” dei maestri della Scuola di Francoforte e, lo abbiamo appurato, costantemente in cerca di nuove griglie ermeneutiche e di nuove e diverse fonti.[42]

Storia dello spettacolo, la sua, capace di riconoscere, con senso vivo della storia e filologico rigore, anche elementi non riconducibili di primo acchito al teatro e alle retoriche della celebrazione civica. Nuova storia dello spettacolo messa in relazione da Zorzi nel corso del tempo, con fermezza d’intenti, varietà di approcci e di riconfigurazioni metodologiche, alla storia della cultura, ai modi di vivere e di pensare, ai simboli e all’azione di determinati gruppi o enti sociali in uno specifico ambiente storico-culturale e in uno specifico ambito spaziale e geografico; senza dimenticare l’intreccio di relazioni tra quei gruppi e quegli enti, la retorica della identità e della differenza, le modalità di rappresentazione e di ricezione (e così via). Storia globale.

Perché, piaccia o non piaccia, la nuova storia del teatro, o piuttosto dello spettacolo – storiografia teatrale che proprio a Firenze, lo ha sottolineato Ferdinando Taviani, trova uno dei suoi principali luoghi[43] – la nuova storia del teatro, dicevo, non è disciplina ordinata, gerarchica, monumentale. È, invece, storia “eversiva” e a-centrica. Storia globale, appunto. Storia di relazioni, di processi e di pratiche performative fondata sull’interrogatorio incrociato di fonti, testi e documenti diversi, sulla reinvenzione costante dei campi d’indagine e sulla affilata conoscenza storiografica. Storia di contesti politici, culturali e artistici. Di attori e di attrici. Di donne, uomini, gruppi sociali. Storia di persone e di ambienti. Promotori organizzatori e realizzatori dell’evento spettacolare costituiscono un trittico inscindibile, da porre in relazione con le basilari drammaturgie dello spazio (l’udienza e la scena, il luogo o l’edificio teatrale), con l’uso drammaturgico della luce, con i meccanismi e i processi di produzione, realizzazione e fruizione di un determinato spettacolo, con l’analisi di un determinato ambiente e del gusto e delle emozioni provate in quei contesti dagli attori e dagli spettatori. Vale a dire con lo studio della relazione teatrale attore-spettatore e con lo studio del pubblico nelle sue mutevoli mentalità e composizioni sociali e nei suoi differenti orizzonti di attesa. Senza trascurare, è ovvio, le strutture drammaturgiche a esso destinate, siano drammaturgia consuntiva o drammaturgia preventiva,[44] ma nemmeno privilegiandole come unica “vera” misura di valore.

Tutto ciò Ludovico Alvise Zorzi lo aveva ben capito nel suo diuturno arrovellarsi sul mestiere di storico convinto com’era, concludo con parole sue, che «si fa storia per conoscere, possibilmente senza miti (quindi con un minimo di posizione euristica) il passato e per interpretarlo, e insieme per percorrere razionalmente il nostro presente, in modo da consegnarlo a noi stessi quali saremo domani e a chi verrà dopo di noi».[45]

 



 * Elaboro qui alcune parti del mio Ludovico Zorzi. Profilo di uno studioso inquieto, in «Drammaturgia», XI / n.s. 1 (2014), pp. 9-137 (DOI: 10.13128/Drammaturgia-15230). A quelle pagine e alle 620 note che le corredano, rinvio chi voglia ulteriormente documentarsi (cfr. qui).

[1] L. CARETTI, Congedo da Ludovico Zorzi, in ID., Montale, e altri, Napoli, Morano, 1987, pp. 195-198: 196 (è la commemorazione letta nel cimitero di San Felice a Ema nel marzo 1983).

[2] RUZANTE, Teatro, prima ediz. completa. Testo, traduzione a fronte e note a cura di L. ZORZI, Torino, Einaudi, 1967.

[3] «Storia dello spettacolo. Fonti Manuali Saggi» diretta da Siro Ferrone per la fiorentina casa editrice Le Lettere.

[4] Per un’esemplificazione concreta rinvio a un mio scritto: Fonti e metodi per la storia del Teatro Olimpico di Vicenza e dello «Stanzone delle Commedie» di Livorno, in Omaggio a Lionello Puppi, II, a cura di A. GENTILI e E.M. DAL POZZOLO, «Venezia Cinquecento. Studi di storia dell’arte e della cultura», XI (2001), 22, pp. 89-109.

[5] Cfr. F. BRAUDEL, Posizioni della storia nel 1950, in  ID., Scritti sulla storia (1969), introd. di A. TENENTI, Milano, Mondadori, 1973 (ediz. 1989, pp. 34-53: 42).

[6] Cfr. J. LE GOFF, Storia e memoria, Torino, Einaudi, 1986, pp. 443-455.

[7] Lo ha lucidamente sottolineato a tempo debito C. MELDOLESI, Il primo Zorzi e la “nuova storia” del teatro, in Ludovico Zorzi e la “nuova storia” del teatro, cit., pp. 41-48: 41.

[8] Cfr.  L. ZORZI, Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana, Torino, Einaudi, 1977, p. 72; ID., I luoghi e le forme dello spettacolo, in L. ZORZI-G. INNAMORATI-S. FERRONE, Il teatro del Cinquecento. I luoghi, i testi e gli attori, a cura di S. F., con gli interventi di G. DE BOSIO, R. GUICCIARDINI, A. TRIONFO, Firenze, Sansoni, 1982, pp. 5-38: 5-6 (il volume è stato opportunamente ristampato: Perugia, Morlacchi, 20082).

[9] Cfr. anche S. MAMONE, Le “tesi” di Ludovico Zorzi, in Ludovico Zorzi e la “nuova storia” del teatro, cit., pp. 36-40: 36.

[10] Ivi, p. 38.

[11] Cfr. e.g. L. ZORZI, Premessa a Il teatro dei Medici, a cura di L. Z., «Quaderni di teatro», II (1980), 7, pp. 3-7. E cfr. Indici dei «Quaderni di teatro» (1978-1987), a cura di C. BUONOMINI, L. LAPINI, S. MAZZONI, ivi, X (1987), 37, pp. 123-141; Ludovico Zorzi tra ricerca, didattica e organizzazione culturale, catalogo della mostra a cura di E. GARBERO ZORZI, L. LAPINI, S. MAMONE, P. VENTRONE, A. ZORZI (Firenze, 15-31 marzo 1993), Firenze, BNCF-Istituto Ludovico Zorzi, 1993, pp. 52-53.

[12] Catalogo della mostra a cura di M. FABBRI, E. GARBERO ZORZI e A.M. PETRIOLI TOFANI, introd. di L. ZORZI [ordinatore] (Firenze, 31 maggio-31 ottobre 1975), Milano, Electa, 1975. Allo stesso anno si ancora l’esposizione veneziana Illusione e pratica teatrale. Proposte per una lettura dello spazio scenico dagli Intermedi fiorentini all’Opera comica veneziana, catalogo della mostra a cura di F. MANCINI, M.T. MURARO e E. POVOLEDO, presentazione di G. FOLENA, Vicenza, Neri Pozza, 1975.

[13] Le lieu théâtral à la Renaissance, Etudes réunies et présentées par J. JACQUOT, Paris, CNRS, 1964.

[14] Dissento, dunque, dalla amica Maria Ines Aliverti quando giudica una «significativa forzatura» la proficua riformulazione zorziana di un concetto basilare della nuova storiografia teatrale (cfr. M.I. ALIVERTI, Il cielo sopra il teatro. Percorsi dello spazio teatrale ricordando Fabrizio Cruciani, in Fabrizio Cruciani e gli studi teatrali, oggi, a cura di F. BORTOLETTI, in Storia e storiografia del teatro, oggi. Per Fabrizio Cruciani, «Culture teatrali», autunno 2002-primavera 2003, 7-8, pp. 79-96: 82 ss.).

[15] Catalogo della mostra a cura di E. GARBERO, A.M. PETRIOLI TOFANI, L. ZORZI [ordinatore] (Firenze, 1980), Firenze, Edizioni Medicee, 1980; e si veda Vision de la Toscane. La scène du prince, catalogo delle mostre (Parigi, 1983), Milano, Electa, 1983.

[16] Cfr. E. GARBERO ZORZI, La difficile vita dei musei teatrali, in «Hystrio», (1994), 4, pp. 23-25 (estratto). Cfr. inoltre la Newsletter dell’Istituto Ludovico Zorzi per le arti dello spettacolo, 1, giugno 1994, pp. 13-14 (anche per la notizia sul carteggio 1977-1981 tra Zorzi e gli assessorati alla Cultura degli enti locali), nonché Ludovico Zorzi tra ricerca, didattica e organizzazione culturale, cit., p. 82, scheda 9.8.

[17] Maquettes poi riproposte e discusse in Teatro e spettacolo nella Firenze dei Medici. Modelli dei luoghi teatrali, catalogo della mostra a cura di E. GARBERO ZORZI e M. SPERENZI (Firenze, 1° aprile-9 settembre 2001), Firenze, Olschki, 2001. Al riguardo: S. FERRONE, La grandezza di Ludovico Zorzihttp://www.drammaturgia.fupress.net/recensioni/recensione1.php?id=173 (data di pubblicazione sul web: 20 giugno 2001).

[18] Cfr. S. MAZZONI, L’Olimpico di Vicenza: un teatro e la sua «perpetua memoria» (1998), Firenze, Le Lettere, 20102, p. 114.

[19] Così nelle breve ma succosa recensione di F. CRUCIANI, in «Biblioteca teatrale», (1978), 21-22, p. 301; cfr. poi M. DE MARINIS, Capire il teatro. Lineamenti di una nuova teatrologia, Firenze, La casa Usher, 1988, pp. 63-66 (v. ora la 2ediz. rivista e ampliata: Roma, Bulzoni, 2008, pp. 107-110); S. MAMONE, Storia dello spettacolo: il testimone preterintenzionale, in Per Ludovico Zorzi, a cura di S. M., «Medioevo e Rinascimento», VI/n.s. III (1992), pp. XI-XVIII: XV-XVI; P. PUPPA, Storia e storie del teatro, in Storia del  teatro moderno e contemporaneo, diretta da R. ALONGE e G. DAVICO BONINO, III. Avanguardie e utopie del teatro. Il Novecento, Torino, Einaudi, 2001, pp. 1267-284: 1275-277; e, soprattutto, l’ampia e approfondita trattazione che si legge nella tesi di laurea di un mio caro allievo: G. BRUNI, Ludovico Zorzi: per una biografia intellettuale, Università degli studi di Firenze, Facoltà di lettere e filosofia, a.a. 2007-2008, in partic. pp. 17-48, nonché MAZZONI, Ludovico Zorzi. Profilo di uno studioso inquieto, cit., pp. 86 ss. e passim.

[20] Prendo in prestito parole di M. BARBI, La nuova filologia e l’edizione dei nostri scrittori da Dante al Manzoni, Firenze, Sansoni, 1938, p. XI (rist. anast., con la bibliografia degli scritti di M. BARBI, a cura di S.A. BARBI. Introd. di V. BRANCA, Firenze, Le Lettere, 1994).

[21] Cfr. ZORZI, Il teatro e la città, cit., p. 150 n.; ID., Intorno allo spazio scenico veneziano, in Venezia e lo spazio scenico, catalogo della mostra (Venezia, 6 ottobre-4 novembre 1979), Venezia, Edizioni La Biennale di Venezia, 1979, pp. 81-109: in partic. pp. 81, 90. E cfr. S. BETTINI, L’arte alla fine del mondo antico, Padova, Liviana, 1948. Sul magistero e gli studi di Bettini, nonché sulla sua biblioteca di lavoro e sul suo archivio: L’opera di Sergio Bettini, a cura di M. AGAZZI e C. ROMANELLI, Venezia, Marsilio, 2011.

[22] Cfr. ZORZI, Il teatro e la città, cit., p. 151 n.; ID., Intorno allo spazio scenico veneziano, cit., p. 81.

[23] Si veda almeno S. BETTINI, Introduzione a J. VON SCHLOSSER, Sull’antica storiografia italiana dell’arte, Vicenza, Neri Pozza, 1969, pp. 7-37. E cfr. A. DIANO, La biblioteca di lavoro di Sergio Bettini. Note preliminari, in L’opera di Sergio Bettini, cit., pp. 87-102: 101; L. PUPPI, Sergio Bettini su Andrea Palladio, ivi, pp. 165-176: 168-169.

[24] Cfr. ZORZI, Il teatro e la città, cit., pp. 6, 32 n., 193 n. e cfr. B. ZEVI, Saper vedere l’urbanistica. Ferrara di Biagio Rossetti, la prima città moderna europea (1960), Torino, Einaudi, 19712.

[25] Cfr. ZORZI, Il teatro e la città, cit., p. 64 (e v. nota 3 a p. 139). E cfr. M. FOUCAULT, La follia, l’assenza di opera, in ID., Storia della follia nell’età classica (1972), trad. di F. FERRUCCI, prefaz. e appendici tradotte da E. RENZI e V. VEZZOLI, Milano, Rizzoli, 1992, pp. 475-484. Sul topico della assenza dell’oggetto ermeneutico v. e.g. R. GUARINO, Il teatro nella storia. Gli spazi, le culture, la memoria, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. V-XI (Premessa. L’oggetto mancante e la memoria vivente), nonché, più di recente, M. DE MARINIS, Il corpo dello spettatore. Performance Studies e nuova teatrologia, in AOFL, IX (2014), 2, pp. 188-201: 189-190 (http://annali.unife.it/lettere/article/view/1078/880).

[26] GUARINO, Il teatro nella storia, cit., p. 5.

[27] Cfr. anche le condivisibili osservazioni di MAMONE, Storia dello spettacolo: il testimone preterintenzionale, cit., in partic. pp. XIV-XV.

[28] ZORZI, Il teatro e la città, cit., p. 218 n.

[29] L. FEBVRE, Storia e psicologia (1938), ora in ID., Studi su Riforma e Rinascimento e altri scritti su problemi di metodo e di geografia storica, trad. di C. VIVANTI, prefaz. di D. CANTIMORI, Torino, Einaudi, 1966, pp. 488-500: 489.

[30] L. ZORZI, Parere tendenzioso sulla fase (Il “Don Giovanni” di Mozart come Werk der Ende), in ID., L’attore, la commedia, il drammaturgo, Torino, Einaudi, 1990, pp. 315-328 (è il testo di una conferenza tenuta a Faenza il 31 marzo 1981).

[31] Rivedi la nota precedente. Per una griglia di lunga durata, riguardante lo studio della professione dell’attore in Europa dal Seicento al primo Novecento: C. MELDOLESI, La microsocietà degli attori. Una storia di tre secoli e più, in «Inchiesta», (gennaio-giugno 1984), 67, pp. 102-111 (il saggio si legge ora in ID., Pensare l’attore, a cura di L. MARIANI, M. SCHINO, F. TAVIANI, Roma, Bulzoni, 2013, pp. 57-77).

[32] Cfr. Storia d’Italia, a cura di R. ROMANO e C. VIVANTI, I. I caratteri originali, Torino, Einaudi, 1972. Sul progetto zorziano v. anche L. LAPINI, Che cos’è la storia dello spettacolo? Testimonianze su alcune lezioni metodologiche di Ludovico Zorzi, in Ludovico Zorzi e la “nuova storia” del teatro, cit., pp. 28-35: 34-35 (e note); S. MAMONE, Dèi, semidei, uomini. Lo spettacolo a Firenze tra neoplatonismo e realtà borghese (XV-XVII secolo), Roma, Bulzoni, 2003, pp. 14-15.  

[33] ZORZI, Parere tendenzioso sulla fase, cit., p. 323.

[34] Ivi, p. 322.

[35] E cfr. M. VOVELLE, Storia e lunga durata, in La nuova storia (1979), a cura di J. LE GOFF, Milano, Mondadori, 1980, pp. 71-78 (Una nuova dialettica tra tempo breve e tempo lungo).

[36] L. ZORZI, Figurazione pittorica e figurazione teatrale, in Storia dell’arte italiana, I. Questioni e metodi, Torino, Einaudi, 1979, pp. 419-463: 422 (L’analisi teatrale).

[37] In LAPINI, Che cos’è la storia dello spettacolo?, cit., p. 30. Mio il corsivo.

[38] Prendo in prestito parole di R. ROMANO e C. VIVANTI, Premessa a Storia d’ItaliaAnnali, I. Dal feudalesimo al capitalismo, Torino, Einaudi, 1978, pp. XV-XXV: XVIII.

[39] ZORZI, Figurazione pittorica e figurazione teatrale, cit., p. 423.

[40] L. ZORZI, Carpaccio e la rappresentazione di Sant’Orsola. Ricerche sulla visualità dello spettacolo nel Quattrocento [1980-1981], Torino, Einaudi, 1988. Poi anche in trad. francese: Carpaccio et la représentation de Sainte Ursule. Peinture et spectacle à Venise au Quattrocento, Paris, Hazan, 1991. Per la ricezione storiografica del volume: S. FERRONE, La selva opaca e il castello della mente, in «Il castello di Elsinore», I (1988), 3, pp. 157-161; M. PIERI, Ludovico Zorzi e il metodo della curiosità, in «Belfagor», XLIV (1989), fasc. 1, pp. 66-70 (estratto); R. GUARINO, Immagini di spettacolo a Venezia nel tardo Quattrocento. Riflessioni sul «Carpaccio» di Ludovico Zorzi, in «Teatro e storia», IV (1989), 6, pp. 19-70; R. BELLINI, rec. a L. ZORZI, Carpaccio e la rappresentazione di sant’Orsola […], in «Critica d’Arte», VI serie, IV (1991), 2-3, p. 9; BRUNI, Ludovico Zorzi: per una biografia intellettuale, cit., pp. 68-87; MAZZONI, Ludovico Zorzi. Profilo di uno studioso inquieto, cit., pp. 110-119.

[41] Cfr. ZORZI, Carpaccio, cit. (ed. it., in partic. pp. 29, 132). 

[42] Sullo zorziano indomito «gusto di ri-pensare» si vedano le osservazioni fini di MELDOLESI, Il primo Zorzi, cit., p. 46.

[43] Cfr. F. TAVIANI, Un salto nel grottesco, in «L’Indice dei libri del mese», XXII (marzo 2005), 3, p. 28. Ora anche, con diverso titolo (Un vasto paesaggio fatto di occhiate), in ID., Col naso per aria (cronache teatrali fra Novecento e Duemila), q-book (quasi book), pp. 143-145: 144 (nando-Col_naso_per_aria.pdf).

[44] Cfr. il basilare scritto di S. FERRONE, Drammaturgia e ruoli teatrali, in «Il castello di Elsinore», I (1988), 3, pp. 37-44.

[45] Così in una lezione tenuta da Zorzi nel marzo 1981 presso la sua cattedra di Storia dello spettacolo all’Università di Firenze (cito da LAPINI, Che cos’è la storia dello spettacolo?, cit., p. 31).




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