Pubblichiamo un estratto (pp. 136-149) dal volume di Leonardo Spinelli, Il principe in fuga e la principessa straniera. Vita e teatro alla corte di Ferdinando de Medici e Violante di Baviera (1675-1731), Firenze, Le Lettere, 2010.
Le accademie femminili di Violante
Nel 1696, per la prima ed ultima volta nella loro storia coniugale, i due principi trascorsero il carnevale in città diverse. Da Pisa, dove aveva festeggiato il compleanno della moglie partecipando con lei al Gioco del Ponte, Ferdinando, attratto ancora una volta dalle occasioni lagunari, il 26 gennaio prese «in incognito» la strada di Venezia.[1]
A fronte della ricchezza di testimonianze del viaggio del 1688, in questa occasione colpisce la reticenza delle cronache, avare di dettagli nonostante i quasi cinquanta giorni trascorsi dal principe in laguna:[2] persino il residente toscano Matteo del Teglia, generalmente prodigo di notizie sulla vita teatrale veneta, sembrò disinteressarsi della presenza del Medici agli spettacoli dei cinque stabili aperti in quella stagione.[3] Quel silenzio era però perfettamente in linea con le intenzioni dellillustre viaggiatore che, appena giunto in città, aveva comunicato al senato della Repubblica di non volersi avvalere di alcun comitato di nobili locali, come invece era avvenuto nel 1688, con il fine di godere una «piena libertà» dazione.[4] Notizie più particolareggiate provengono invece dalle lettere con cui Luca Casimiro degli Albizi e Giovan Vincenzo Torrigiani tennero informato il cardinale Francesco Maria delle novità di quel carnevale. I due nobiluomini ragguagliavano il porporato sulle virtuose in azione sui palcoscenici cittadini e soprattutto sui nuovi allestimenti, in particolare di quello del SantAngelo «che non richiede macchine né comparse».[5] Quella del teatro di proprietà delle nobili famiglie Marcello e Capello fu però lunica rappresentazione degna di nota tanto che anche Ferdinando si lamentò di non trovare «Venezia come laltra volta, essendo diminuito il fasto delle maschere, lopere cattive et il giuoco scarsissimo»:[6] nonostante ciò, al momento della partenza, ai nobili giunti a salutarlo manifestò lintenzione di tornare nuovamente lanno successivo. La promessa era tuttavia destinata a restare incompiuta perché, come abbiamo già detto, la sifilide, contratta durante quel soggiorno dal rapporto con una nobildonna bolognese, alterò irrimediabilmente i suoi piani e i suoi progetti futuri.
Nei giorni di distacco dal marito Violante non rinunciò alla consueta villeggiatura livornese e proprio in questoccasione emergono le prime tracce sulla spettacolarità accademica da lei patrocinata. Lassenza di Ferdinando laveva rilanciata al centro delle attenzioni civili di unintera città che parve quasi volersi stringere attorno alla sua principessa rendendola la vera protagonista del ricco patrimonio dei divertimenti tradizionali: dal gioco del calcio al palio dei cavalli, dalle gite marine ai «superbissimi rinfreschi» nei palazzi locali.[7] Se al teatro di San Sebastiano andarono regolarmente in scena le due opere in musica promosse dagli accademici Avvalorati, levento straordinario del carnevale fu però la rappresentazione allinterno del capiente magazzino sottostante casa del cavaliere dellOrdine di Santo Stefano, Giovanni Federigo Tidi, di una commedia in musica allestita dalle principali dame livornesi. Si trattava de Il figlio delle Selve di Carlo Sigismondo Capece, già allestito a Firenze dalla conversazione del Centauro durante i festeggiamenti nuziali del 1689.[8] La scelta del melodramma aveva un forte valore di autoreferenzialità cittadina perché la partitura delle arie portava la firma del canonico e provicario di Livorno Cosimo Bani, conosciuto in città anche come accademico Infecondo.[9] Lhumus comune su cui si impiantava levento era contrassegnato anche dalla forte devozione cattolica dei suoi protagonisti: allintensa attività di catechesi, promossa in quegli anni dal Bani, cooperaravano in prima persona anche tutte le dame promotrici dello spettacolo che per la prestigiosa occasione si riunirono in unassociazione denominata del Cimento.
Non è conosciuto latto costitutivo del sodalizio, ma il fortunato reperimento di un disegno inserito nel libretto dellopera allestita in quel 1696 mostra una crisalide (appena fuoriuscita dal bozzolo disposto su rami di gelso) allinterno di una cornice arricchita da girali e figure antropomorfe, che poggia su una veduta dal mare di Livorno. La fedeltà dellaccademia alla casa sovrana è quindi confermata dallo stendardo con la parola Fides, lo stesso motto che sventola sullo stemma della città, e dalla croce cristiana apposta sulla torre del Marzocco visibile sullo sfondo. Nella parte alta si dipana il motto dellimpresa: «In gran periglio industrioso scampo».[10] Lemblema era spiegato in una lettera a Violante del 27 aprile 1695 in cui le socie del Cimento paragonavano la vita dellaccademia a quella della crisalide che «inviluppatasi tra le fila di volontario carcere [il bozzolo], sarebbe incautamente restata estinta nel proprio lavorio, se una benefica assistenza [quella della principessa] non avesse cooperato al suo Scampo per sortir felicemente dalla serica Tomba, e tutta giubilo svolazzare ne i sentieri dellAria».[11]
Il carattere esclusivo della rappresentazione del 1696, a cui lillustre protettrice partecipò da un palchetto provvisorio eretto nel mezzo della sala, è confermato dallaccesso riservato ad un nobile e ristretto uditorio, in tutto un centinaio di persone: «onde pochi altri che i forestieri vi furono ammessi, et anco questi non tutti, poiché la Serenissima che fece lei la lista, non vi volse un certo marchese Pallavicino parmigiano, né il cavalier Gamberini lucchese, dicendo, non sapere che questi vi siano, non essendo stati a riverirla».[12] La composizione esclusivamente femminile del cast si ispirava alle commedie private che già dal 1689 venivano recitate allinterno delle stanze di Pratolino, di Pitti e dellImperiale e di cui parleremo più dettagliatamente nel prossimo paragrafo.[13] Con la sola eccezione di Benedetta Ferini, virtuosa protetta dalla nobildonna Margherita Sacchetti Upezzinghi, interpreti dei personaggi sia maschili che femminili dellopera furono infatti le stesse accademiche: Laura Tidi (Elmira), Elisabetta Tidi Sproni (Teramene), Livia Frugoni Quaratesi (Arsinda), Elisabetta Baffieric Farinola (Ferindo), Antonia Grunemberg de Silva (Lindoro). La lista completa delle attrici permette quindi di affermare con sicurezza la loro appartenenza alle medesime famiglie i cui esponenti maschili gestivano gli spettacoli operistici nel teatro di San Sebastiano per conto di Ferdinando de Medici.[14]
Secondo una testimonianza del marchese Filippo Corsini, la rappresentazione, andata in scena gli ultimi giorni di febbraio, «riuscì benissimo» e non furono organizzate repliche solo perché alcune delle protagoniste si trovavano in uno stato di gravidanza avanzata. La lettera del nobiluomo fiorentino è inoltre ricca di indicazioni sulla accuratezza dei costumi di scena e sulle ottime competenze attoriche e vocali delle dame livornesi:
La consola [Antonia Grunemberg de Silva] vi ha poca parte e canta a aria ma benino, e da uomo fa miglior comparsa di tutte. Alla Quaratese si dà il primo luogo nellazione, che invero è meravigliosa e pare scolare di Siface, anchessa è vestita benissimo da uomo alleroica, e ne ha affatto la vita e il portamento. La fanciulla dellUpezzinga, che fa da vecchia, ha una voce assai buona e fa bene. La Sprona ha la miglior voce di tutte e il miglior viso, ma, per esser gravida di sei mesi, non comparisce quanto dovrebbe. La Farinola, anchella dotto mesi, fa quello che può e canta con franchezza. La fanciulla Tidi in musica è la maestra, ma la voce e la faccia non laiutano, fa però molto bene la parte sua. Onde riesce una bella festa, et è ricresciuta a tutti laspettazione, e se non fussi per lincommodo di quelle signore, che veramente si vede che patiscono, crederei che la Serenissima gliela facessi rifare unaltra volta.[15]
Sebbene quella del 1696 sia lunica traccia di messinscene femminili a Livorno, quella sola rappresentazione fu più che sufficiente a sancire la coesione tra le accademiche e la loro protettrice: altri documenti archivistici posteriori al 1696 accertano infatti i ricorrenti interventi delle dame nei balletti finanziati da Violante ogni carnevale presso il palazzo mediceo della città.[16] Durante gli altri periodi dellanno le sodali, in mancanza di un luogo prestabilito, presero quindi labitudine di ospitare a turno le loro adunanze allinterno delle proprie case[17] e ben presto il loro valore venne riconosciuto anche dalle associazioni maschili che spesso invitarono le concittadine alle loro attività: nel luglio 1701, con le corti di Ferdinando e Violante a Firenze pronte a trasferirsi dalla villa dellImperiale a quella di Pratolino, la riunione degli accademici Affidati[18] vide tra i promotori i cavalieri Beniamino Sproni, Giovanni Federigo Tidi, Clemente Cosci e tra gli spettatori le aristocratiche signore del Cimento chiamate a raccolta, tramite un sistema di staffieri e biglietti a stampa, da quella che può essere considerata la loro principale referente, la nobildonna pisana Margherita Upezzinghi Tidi.[19] I dati in possesso permettono quindi di individuare con esattezza il doppio registro ricoperto a Livorno dallassociazionismo accademico: sia come vincolo sociale tra cittadini, sia come prezioso strumento culturale di relazione nei rapporti con la casa sovrana. Che poi lattività caratterizzante dei sodalizi, specialmente durante il carnevale, fosse di natura teatrale era un fatto strettamente connaturato ai gusti dei protettori. Proprio per questi motivi la dinamica civiltà livornese mette in mostra una solida e laboriosa società dello spettacolo.
Anche Siena riproduce quella suddivisione tra società maschile e femminile che corrisponde a due diverse modalità di soddisfare a un medesimo bisogno relazionale. Nel 1654 in casa del nobile Giulio Gori Pannilini nacque laccademia delle Assicurate. Posto sotto la protezione della granduchessa Vittoria della Rovere, dalla cui arma gentilizia prese il corpo dellimpresa col motto «Qui ne difende, e qui ne illustra lombra», il sodalizio era composto originariamente da sedici donne, ciascuna dotata di un soprannome simbolico; lorganigramma rispettava la struttura delle più diffuse associazioni maschili: le Assicurate eleggevano infatti ciclicamente una principessa, due consigliere e una segretaria.[20] Come a Livorno anche a Siena le accademiche appartenevano alle principali famiglie cittadine, essendo per lo più mogli o sorelle dei soci Intronati e Rozzi: tra le iscritte possiamo infatti annoverare la continuativa presenza delle dame di casa Biringucci, Mignanelli, Tolomei, Marzi, Marescotti.
Definite dallerudito locale Girolamo Gigli come «le gentildonne più spiritose, e amanti delle Lettere» della città, le Assicurate furono apprezzate soprattutto per i ‘giochi di spiritoche, esemplati sulla pratica ludico-veglistica del Cinque e Seicento,[21] «consistevano in dialogizzare allimprovviso intorno a qualche soggetto amoroso morale coi gentiluomini più pronti e più eruditi dandosi luogo alla facezia più rispettosa e alla satira più gentile».[22] La tematica sentimentale apparteneva di diritto alla tradizione delle brigate festaiole senesi: già Scipione Bargagli nel suo Delle Lodi delle Accademie del 1569 aveva additato, infatti, la presenza di colte signore ispiratrici come essenziale per la fortuna delle accademie.[23] Ma rispetto al Cinquecento le dame non erano più soltanto spettatrici e destinatarie privilegiate bensì parte attiva dellintrattenimento divenuto ormai pubblico: tra i ‘giochi, praticati regolarmente dalle Assicurate le ultime sere di ogni carnevale, uno dei più celebri fu il Seminario per leducazione degli Umani affetti dissoluti, realizzato in data incerta con il contributo degli Intronati.[24]
Lelogio delle virtù muliebri era un tratto distintivo anche delle feste carnevalesche degli scolari del Pubblico Studio quando gruppi di studenti si confrontavano tra loro in quelle che erano definite ‘disfide amorose.[25] La contesa iniziava quando, previa pubblicazione a stampa, una squadra indirizzava alla rivale prescelta una massima sulla quale si accendeva il confronto a colpi di improvvisazioni e di citazioni erudite, specialmente versi poetici del Petrarca e dellAriosto.[26] La presentazione di un quesito pratico era quindi spesso un pretesto per misurarsi sul piano etico, speculativo e filosofico: fino al primo ventennio del Settecento gli argomenti di duello più ricorrenti furono infatti sulle regole del corteggiamento, sulla conservazione dellaffetto della donna amata, sullatteggiamento da tenere quando non si contraccambiati negli affetti, sul tema della fedeltà, sullutilità della conversazione femminile.[27] Nel fondo Finetti dellArchivio di Stato di Siena esiste una dedica alle dame Assicurate composta da un sodalizio anonimo:[28] nella Supplica della Repubblica Amante alle bellissime e virtuose accademiche Assicurate, edito a Siena nel 1683, le sodali, contrapposte ai vizi umani dellavarizia, dellinvidia, dellozio, della gelosia e delle mode pellegrine, erano lodate come modello di virtù e indicate come esempio di coraggio, di concordia e di onore.
La tanto decantata condotta morale fu messa a dura prova dalle tentazioni della vanità e della vita mondana un decennio più tardi quando, con la morte nel 1694 della protettrice Vittoria della Rovere, le Assicurate vissero un periodo di smarrimento che le portò anche trascurare la loro originaria vocazione letteraria: questo almeno era quanto sosteneva alla fine del XVII secolo Girolamo Gigli che nel suo Diario Sanese le rimproverava di accompagnarsi a uomini «che girano col guanto anziché a quelli che si applicano nello studio e capaci di spiegargli i maestri della poesia»; lerudito senese confidava quindi nellintervento della principessa Wittelsbach per dar nuovo decoro al sodalizio femminile.[29]
Proprio la tanto auspicata protezione coincise con un ritorno dellaccademia allantico smalto. Nel 1704 Violante, che aveva scritto a Gaetana Griffoli Piccolomini per avere una copia a stampa del ‘gioco di spirito di quel carnevale, non mancò di lodare lattività e liniziativa culturale delle sodali, apprezzandone con estremo gusto i risultati:
Ben dimostra lo spirito di Vostra Signoria e di codeste dame Accademiche Assicurate il giuoco, che fu fatto da esse in casa di lei, la quale ha voluto compiacere la mia curiosità con inviarmene un distinto ben concepito ragguaglio; ondio dichiarandomele riconoscente di questa attenzione, che mè stata molto gradita, godo di sentir divertirsi codeste dame in esercizi ingegnosi, e lodevoli; e dichiarando a Vostra Signoria non ordinaria la mia benevolenza resto pregandola dal Signore le più vere prosperità.[30]
In quellanno le Assicurate avevano infatti nominato loro socie le mogli del principe di Farnese Agostino Chigi e del duca Altieri Albertoni di Monterano che, insieme ai rispettivi consorti, presero parte al trattenimento condotto dal nobile Pandolfo Spannocchi nel palazzo della famiglia Piccolomini, il cui salone principale fu sin dalle origini il luogo prescelto per lattività ricreativa.[31] La visita a Siena degli illustri ospiti rivela inoltre come la logica dellimpresa teatrale non fosse estranea alle accademiche che per omaggiare la moglie del Chigi, Maria Virginia Borghese, fecero rappresentare, probabilmente allinterno del teatro degli Intronati, lopera in musica Amare e Fingere.[32]
Limpronta della protezione di Violante si intravede anche dalla rinnovata vigoria con cui le dame si fecero portatrici del valore della clemenza, tanto caro alla devota principessa Wittelsbach. Proprio il soggetto del trionfo della compassione e della carità cristiana fu al centro dellopera in musica Non ha cuore chi non sente pietà, rappresentata nel teatro pubblico nel carnevale del 1708 e dedicata alle «Nobilissime e Virtuosissime Accademiche Assicurate».[33] Il tributo era tanto più prezioso perché proveniva dalla massima istituzione culturale della città ovvero i Consiglieri dello Studio, lorgano deputato alla gestione dellantica università senese.[34]
Anche dietro a un rinnovato impegno civico volto a promuovere la parità di diritti tra generi sessuali si avverte il riflesso di Violante che quel tema aveva già mostrato di avere a cuore nel suo Autoritratto del 1693. Il frutto delle speculazioni sullargomento fu il fiorire di una produzione letteraria, perlopiù inedita, che tra i lavori più apprezzati del tempo annoverava lApologia in favore degli studi delle donne di Aretafila Savini:[35] pronunciata pubblicamente a Padova dallaccademica senese nel dicembre 1723, e pubblicata a stampa nel 1729, lopera anticipava alcuni ideali illuministici rivendicando il diritto allistruzione, «così delle Scienze come delle Belle Arti», per tutte le donne di qualunque condizione.[36]
Nellambito della pratica accademica patrocinata dai granprincipi Medici emergono quindi due linee distinte: ad una componente maschile, organizzata da Ferdinando in relazione alle capacità di destreggiarsi nei meccanismi del libero mercato, corrispondeva una ‘società delle dame stabilita sulla base di consolidate virtù cortigiane: in primis quelle della fedeltà, delletichetta e dellerudizione. Se gli Avvalorati di Livorno, così come gli Intronati di Siena, gli Infuocati di Firenze e tutti quei sodalizi disseminati nella provincia, dovevano prestare attenzione a non «scapitare» di troppi denari nella gestione dei rispettivi teatri, il modus operandi delle accademie femminili non prevedeva nessun rapporto con la dinamica economica ma si fondava sulla citazione di tutti quegli attributi che qualificavano il linguaggio in atto alla corte della protettrice e che abbiamo avuto modo di analizzare dettagliatamente nella prima parte di questo capitolo. Proprio due di queste prerogative, e cioè il riferimento alla clemenza e alla lotta contro la discriminazione maschile verso il gentil sesso, furono al centro di un componimento lirico offerto a Violante nel 1697 dalla gentildonna Faustina degli Azzi, attiva nellaccademia dei Forzati di Arezzo con il soprannome de la Confusa.[37] La poesia faceva parte di una pubblicazione più ampia dedicata proprio alla principessa Wittelsbach in cui la scrittrice cantava le qualità e le virtù dei sovrani fiorentini, dellimperatore Leopoldo I dAsburgo, del pontefice e dei più importanti intellettuali toscani tra cui il medico Francesco Redi: il prestigioso omaggio era dunque il segno della stima e dellaffetto goduto da Violante anche presso la società ‘rosa del casentino.[38]
Le commedie e i ‘divertimenti da camera
Se il grande teatro operistico della villa di Pratolino simboleggiava lapice del dispendioso mecenatismo del principe Ferdinando, è innegabile che esso si alimentava delle idee, competenze e professionalità di un più articolato sistema spettacolare di corte che con toni più dimessi, ma con cadenza pressoché continua, rifluiva nel vivere quotidiano dei palazzi e delle ville della dinastia. Abbiamo già parlato delle frequenti accademie musicali promosse da Ferdinando nella Stanza dei Cembali di Pitti mentre altrove si è appreso luso del principe di valersi durante la villeggiatura di Poggio a Caiano di unaffiatata squadra di comici dellArte capeggiata per un certo periodo dal rinomato attore Giuseppe Sondra. Sappiamo inoltre che costoro, assieme al loro protettore, nella stagione estiva si spostavano alla residenza dellImperiale dove allestivano altri cicli di recite. Resta adesso da focalizzarci sul contributo di Violante a questo elaborato e dinamico apparato del divertimento di cui restano poche ed episodiche testimonianze a causa della sua fruizione elitaria.
Se, come abbiamo già visto, i quartieri della principessa furono il luogo privilegiato degli intrattenimenti di società offerti ai nobiluomini di corte e ai personaggi illustri della diplomazia europea, sin dal suo arrivo a Firenze le stanze abitate da Violante funzionarono anche da teatro domestico in cui si consumava il rito di una più intima e sobria spettacolarità privata che, a differenza di quella del marito, si fondava esclusivamente sulla partecipazione di dilettanti: attori erano infatti le dame e i paggi di corte mentre a curare la messinscena e la coreografia delle rappresentazioni fu la stessa Violante che, almeno fino al 1701, comparve anche nel cast degli interpreti.
La pratica per i regnanti di esibirsi sulle scene dei palazzi privati proveniva dalle terre di Francia e di Spagna dove era unusanza ormai collaudata sin dagli inizi del XVII secolo.[39] Già Jean Héroard, medico personale dei figli di Maria de Medici e di Enrico IV, aveva annotato sul suo Journal le frequenti commedie e tragicommedie interpretate dal Delfino Luigi insieme ai fratelli.[40] Al fascino del teatro non sfuggivano nemmeno le vedove: nel 1700 a Marly, durante i festeggiamenti in occasione della visita di re Sole, «nelle stanze della vedova principessa di Condé [Maria Anna di Borbone] vi si recitò una commedia dalla propria principessa suddetta, dal duca du Maine, dal conte di Tolosa e da altri cavalieri e dame, alla presenza della duchessa di Borgogna, e daltri principi del sangue».[41] Attorno alla metà del XVII secolo la recitazione era ormai un passatempo consolidato anche negli ambienti ecclesiastici: da una memoria del cronista emiliano Giraldi sappiamo come nel 1689 un giovane chierico dellordine dei padri somaschi nominato Prospero Lambertini, in seguito destinato ricoprire il titolo di principe della chiesa romana con il nome di papa Bendetto XIV, sostenesse la parte del protagonista, Balanzone, in una commedia promossa dallaccademia del Porto di Bologna e intitolata La pazzia del dottore. Al suo fianco agivano il fratello Giovanni, nei panni di pantalone, e il conte Zambeccari come truffaldino.[42]
La confidenza dei sovrani con larte rappresentativa sconfinava anche nelle più raffinate esibizioni di danza che già allo scoccare del Seicento avevano raggiunto il vertice più alto in Francia nel Ballet de cour, di cui lepisodio principale era stato nel 1615 il Ballet de Madame danzato dalla principessa Elisabeth di Borbone prima della sua partenza per la Spagna in seguito al matrimonio con Filippo IV dAsburgo.[43] Il fastoso evento aveva immediatamente suscitato il desiderio di emulazione da parte dei sovrani europei: tra i primi a raccogliere liniziativa della corte francese furono i principi fiorentini che nel 1617, secondo quanto racconta il cronista Gioseffo Casato,[44] si esibirono in alcuni balli della veglia Liberatione di Tirreno e Arnea, spettacolo organizzato al teatro degli Uffizi per festeggiare le nozze di Caterina de Medici con il duca Ferdinando Gonzaga.[45] Anche alla corte medicea la presenza di principi in scena, seppure limitata a poche occasioni documentate, era infatti un costume conosciuto. Noto è lesercizio teatrale dei piccoli Leopoldo, Mattias e Giovan Carlo, applicati nello studio delle discipline spettacolari durante la loro formazione allinterno della confraternita fiorentina dellArcangelo Raffaello.[46] Quella passione resterà indelebile anche nelletà adulta dei tre principi che spesso in occasioni dinastiche, soprattutto arrivi di spose o feste di congedo, non disdegneranno di cimentarsi come performers sui palcoscenici privati di Pitti. Lultimo dei fratelli, Leopoldo, si applicò anche come drammaturgo dilettante: nel 1646 si ha infatti notizia di una sua commedia recitata «dalla signora Granduchessa [Vittoria della Rovere] e dalla signora Principessa Anna».[47] Lattività spettacolare era dunque allargata anche alle donne di famiglia a testimonianza di quanto il teatro fosse elemento costante di unione e ricreazione dei regnanti fiorentini. Per Anna e Vittoria il divertissement di calcare le scene risaliva almeno al carnevale del 1635 quando entrambe recitarono nella villa di Castello nella pastorale Il semplice Aminta di Alessandro Adimari.[48] Dopo la morte dei fratelli Giovan Carlo, Mattias e Leopoldo, Vittoria della Rovere continuerà ad animare la vita di palazzo ospitando allinterno dei suoi appartamenti spettacoli privati recitati perlopiù dalle sue dame e commissionati ai più valenti poeti di corte. Nel 1681, divenuta ormai granduchessa madre, si assumerà le spese per la rappresentazione di un«operetta» alla villa dellImperiale;[49] nel 1685 il palcoscenico provvisorio di una commedia inscenata dalle sue dame è montato allinterno di Palazzo Pitti;[50] nel 1686 commissiona a Giovanni Andrea Moniglia un breve testo per musica interpretato questa volta da due cantanti professioniste:[51] si tratta probabilmente di uno degli ultimi eventi teatrali domestici promossi da Vittoria della Rovere che tre anni più tardi passerà il ‘testimone della spettacolarità femminile di corte allultima arrivata di casa Medici, Violante Beatrice di Baviera.
Per Violante i segni della predisposizione teatrale erano comparsi già nel 1689 quando durante il suo primo, e sfortunato, soggiorno di Pratolino compose una commedia che recitò insieme alle gentildonne a suo servizio, «quale è riuscita a meraviglia e si è fatta due volte con invito di dame e sempre è andata a perfezione».[52] Se nel 1690 la morte della sorella, la Delfina di Francia Maria Anna Cristina di Baviera, impedì la realizzazione di un nuovo allestimento, limpegno drammaturgico della principessa riaffiora nel 1691: il pretesto fu lannunciata visita fiorentina del fratello, Massimiliano Emanuele Wittelsbach. Dal carteggio di Francesco Maria de Medici emergono i particolari dellavvenimento. Ad aggiornare il cardinale, impegnato a Roma in alcuni affari ecclesiastici, era direttamente la madre Vittoria della Rovere che specificava come la nuova messinscena prevedesse limpiego delle dame di corte ma anche di alcune nobildonne «maritate» di fuori Firenze: «la marchesa Ottavia Guadagni, Maddalena Tempi Gianfigliazzi e Francesca Bacetti».[53] Sempre la granduchessa annunciava al figlio porporato la partecipazione allo spettacolo della sua «Picciola», ovvero la musica Picciuoli instradata allarte musicale nel 1684 dalla stessa Vittoria: il coinvolgimento dellartista, cui era affidata «la licenzia in musica», induce a pensare che la commedia prevedesse almeno una parte o un intermezzo cantato.[54]
Il continuo procrastinarsi dellarrivo dellElettore permise a Violante e alle sue attrici di curare a perfezione tutti i particolari dellallestimento le cui prove si susseguivano giornalmente nelle stanze di Pitti nel novembre del 1691.[55] La rappresentazione portava una sostanziale novità allambiente fiorentino cortese perché la formazione tutta femminile fece sì che alcune dame furono chiamate a recitare en travesti, costume «non troppo visto» a Firenze secondo le parole del nobiluomo Averardo Salviati, uno dei pochi privilegiati a poter assistere allintero ciclo dei preparativi.[56] Alla fine di novembre la commedia, di cui non si conoscono altri particolari, fu recitata nonostante Massimiliano Emanuele allultimo momento avesse deciso di non passare da Firenze con grande disappunto della sorella.
La notizia del gradimento di Cosimo III per limpegno teatrale della nuora bavarese giunge in occasione di un nuovo spettacolo inscenato nella primavera del 1695 e replicato unultima volta per volontà del granduca che ne fece esplicita richiesta appena tornato a Pitti dal pellegrinaggio di Loreto. Le poche righe trascritte da Piero Capponi nel suo diario di camera sono sufficienti però ad informarci del carattere rigorosamente riservato dellevento a cui parteciparono solo gli uomini e le dame di corte oltre a «due o tre altri cavalieri attempati per grazia speciale di Sua Altezza Serenissima» [57]
Cosimo e lo stesso selezionato uditorio presenziarono anche alla successiva commedia del novembre 1696, promossa allinterno delle stanze di Pitti dopo il ritorno dei principi dalla villeggiatura di Poggio a Caiano. Loccasione per la «prima» furono le nozze organizzate a palazzo di Ginevra Bagnesi, figlia dello scalco della principessa. Ancora una volta si trattava di una rappresentazione tutta al femminile scritta e interpretata dalla stessa Violante. La sicurezza acquisita nel corso degli allestimenti precedenti permise però allautrice ladozione di nuove forme sceniche. Dal diario del maestro di camera Piero Capponi sappiamo infatti come la recita fosse «adornata da prologo e finale in musica» e arricchita da «un balletto di ninfe e tre amorini, che tutto ebbe grande applauso».[58] Proprio la passione per la danza, di cui Violante non aveva fatto mistero nel suo Autoritratto del 1693, la porterà anche negli anni successivi ad improvvisarsi coreografa di balli «figurati» inscenati insieme alle sue dame.[59] Pure la rappresentazione del 1696, come tutte le precedenti, fu replicata più volte: lo testimonia linvito su un foglio volante fatto recapitare dalla Wittelsbach allo zio cardinale, assiduo frequentatore di quasi tutti gli spettacoli della nipote: «Non con intenzione di apportare a Vostra Altezza alcuno incomodo, ma per adempir al obbligo che mi corre inverso alla sua bontà sono per avisarla che domani si rifà la mia comedia».[60] Lorgoglio della mittente, che la laconicità del messaggio non riesce a velare, per lennesima ripetizione della sua ultima fatica appare giustificato anche alla luce delle congratulazioni che giunsero a Firenze nei giorni seguenti: se da Spoleto il nobile Carlo Francesco Spada riferiva a Francesco Maria de Medici come «della bellissima operina, che si è composta e recitata dalla Serenissima Signora Principessa e sue dame di corte, io ne ho udito lapplauso per ogni parte»,[61] gli echi del successo valicarono anche oltralpe: dalla residenza elettorale di Düsseldorf anche Anna Maria Luisa in una lettera allo zio fece notare il suo compiacimento: «sento veramente da tutti che la commedia della signora Principessa sia riescita così bene. Ella farà vergogna a vecchi compositori toscani».[62]
Nel 1697 non esistono tracce documentarie di messinscene. Una lettera della principessa del dicembre mette però in luce lofficina della futura rappresentazione: nel piovoso soggiorno pisano, Violante, intenta a godere «della conversazione delle dame solite della camera di qui», dichiarava infatti di passare gran parte delle sere a discorrere «di commedie in prosa che siano assai belle».[63] I frutti di quei dialoghi sono certamente raccolti nel maggio del 1698 quando, allinterno delle stanze di Pitti, la nuova produzione artistica fu presentata tre volte oltre la prova generale. Per loccasione la matura padronanza del mezzo linguistico e del codice espressivo teatrale convinse la principessa ad ampliare luditorio e a consentire laccesso alla performance anche al poeta Giovan Battista Fagiuoli.[64] Linvito dellarcade fiorentino era il segno della consapevolezza di Violante del buon livello raggiunto dai suoi spettacoli che adesso, per la prima volta, venivano posti al vaglio di un esperto commediografo. È interessante inoltre notare come la presenza dellautore fiorentino comportasse una divertente e curiosa metafora metateatrale con un sostanziale scambio di ruoli tra gli uomini di teatro e il mondo cortigiano. Nel 1694 era stata infatti la principessa bavarese, insieme alle sue dame, ad applaudire il Fagiuoli che nella pièce comica I tre fratelli rivali per la sorella, allestita nella villa di Carmignano del pievano Antonio Susini, recitava la parte del ridicolo.[65]
La prova fu superata con successo come annotava lo stesso poeta nel suo diario personale.[66] La sua esperienza di spettatore verrà quindi ricordata con piacere in un sonetto edito allinterno del primo volume delle Rime piacevoli del 1729:
E quivi fermo fermo come un magio
Non vedeva né comici né scene
Del resto poi sentiva con disagio.
Ma dolci furon tutte queste pene,
In udir come sì Gran Principessa
E le sue Dame, recitavan bene.
E quel che in me la meraviglia ha impressa
È, come alla tedesca, in italiano
Componga la commedia da se stessa
Come il disteso sia puro toscano:
Come propria la frase e sentenziosa:
Come il soggetto nobile e sovrano[67]
Il documento ci permette così di trarre ulteriori informazioni sulle modalità compositive delle commedie della Wittelsbach: lassenza di scene dipinte e di comici professionisti, la prassi di Violante di scrivere in maniera distesa e in totale autonomia, senza cioè la necessità di consigli linguistici o drammaturgici, la natura dei soggetti rappresentati, definiti «nobili e sovrani».
La lettura del sonetto di un altro importante poeta di corte, anchegli arcade, Vincenzo da Filicaia, fornisce ulteriori dettagli.[68] Dal componimento di data incerta intitolato Per la meravigliosa commedia della Serenissima Gran Principessa di Toscana recitatasi da Sua Altezza Reale e dalle sue dame donore nel Palazzo de Pitti[69] si apprende infatti come i soggetti portati in scena si rifacessero al principio della verosimiglianza, ricreando da situazioni di fantasia elementi e sensazioni del vivere comune:
Scene: voi nol sapete, o se sapeste
Qual piè vi preme, e di quai fila è ordita
La gran comica tela, e dondè uscita
LArte e lingegno che adorna e veste!
DOssequio piene e di stupor direste!
Oh! Arte, oh! Ingegno, oh! Maestà infinita
Dun dir che col non vero al ver dà vita
E fa che il vero nel ver si veste.
Dun dir che in sé trasforma, e rende immoto
Altrui non pur, ma di natura a scorno.
Toglie allocchio al pensiero, al core il moto
Voi si direste. Io che dirò, se intorno
Alla grandopera ammirator devoto
Svanii me stesso e a me non fei ritorno?
Forte dei complimenti di letterati e poeti la principessa decise di aprire le porte dei suoi spettacoli anche ai personaggi blasonati che si trovavano di passaggio in città. Nel 1701 giunse in visita di cortesia a Firenze il cardinale Bandino Panciatichi che, dopo ripetuti e confidenziali incontri con il granduca, si recò alla villa dellImperiale per assistere alle esibizioni «degli staffieri e degli istrioni» del principe Ferdinando.[70] Alla villa il cardinale fu ammesso però anche alla «commedia che recitò la Serenissima Padrona con le sue dame e ne fu contentissimo, ammirato non meno della composizione che della recita e adornamenti».[71] Violante ormai non temeva più neanche di accostare le sue rappresentazioni a quelle dei più rinomati semiprofessionisti patrocinati dal marito. La presenza di ospiti forestieri permetteva inoltre la consacrazione della sua fama di attrice e drammaturga anche in ambienti diversi da quello cortigiano.
Sulla scia del crescente entusiasmo, nellallestimento dellanno successivo si registrano ulteriori novità. Per la prima volta, come sottolineato da Anna Maria Luisa,[72] la principessa abbandonò le vesti di attrice concentrandosi solo su quella di autrice: nellottobre del 1702, alla villa dellImperiale gli happenings «dei soliti istrioni» furono infatti affiancati dalla messinscena di un componimento interpretato da soli paggi. Non sappiamo però se la riduzione al maschile comportò una variazione dei soggetti verso un tono più eroico anche se è molto probabile che alcuni servitori fossero costretti per esigenze drammaturgiche a vestire panni femminili, riproponendo ancora una volta il tema della recitazione en travesti. Certamente lesclusiva presenza di uomini permise altre sperimentazioni e lacquisizione di ulteriori conoscenze sceniche: oltre al solito balletto la commedia fu infatti adornata di un «abbattimento che riuscì mirabile».[73]
Allinizio del XVIII secolo gli spettacoli di Violante erano ormai diventati uno strumento di prestigio della corte medicea tutta, tanto che nel 1702 tra gli spettatori dellImperiale figuravano, oltre limportante ambasciatore di Spagna, eminenti esponenti culturali cittadini come il priore di Santa Felicita Francesco Baldovini, il medico e poeta Antonio Salvi e lo scultore e medaglista Massimiliano Soldani Benzi, condotti in villa da una carrozza «destinata a tal effetto» dalla principessa.[74] I medesimi ospiti, con leccezione dellinviato di Spagna, presero parte anche ad una nuova recita dei paggi, sempre allImperiale, nellottobre del 1704. Anche in questo caso non mancarono novità di rilievo. Innanzitutto da una lettera del cardinale Pietro Ottoboni a Francesco Maria de Medici si intuisce come la commedia fosse già in preparazione durante la villeggiatura settembrina di Pratolino quando, in contemporanea agli spettacoli dopera di Ferdinando, nelle stanze della Wittelsbach pochi privilegiati assistettero alle prove di una rappresentazione «più domestica».[75] Ma il dato più interessante è che la collaborazione riscontrata tra i principi per il sostegno della spettacolarità ufficiale di corte era presente anche per i divertimenti privati. Il modello è il medesimo e ancora una volta è decisivo il ruolo del cardinale Francesco Maria a cui nel 1704 la nipote tedesca si rivolse per ottenere il prestito di un paggio:
Prevalendomi della cortesia di Vostra Altezza in offerirmi il paggio Coppoli, onde avendone io bisogno per la commedia, io prego Vostra Altezza a volermelo concedere. Per ora non importa che torni, se non poi, basta che studi presto la sua parte.[76]
Quella del 1704 è lultima informazione, almeno fino al 1716, di commedie domestiche patrocinate dalla principessa. Non sappiamo però se il prolungato silenzio di notizie per oltre un decennio sia da imputarsi ad una effettiva interruzione delle rappresentazioni oppure, come potrebbe essere altrettanto plausibile, solamente delle testimonianze. Quel che è certo è che dal 1709 alla fortuna della spettacolarità femminile di palazzo contribuì Eleonora Gonzaga di Guastalla, la già citata moglie di Francesco Maria de Medici. In un clima di piena concordia e collaborazione la staffetta emerge soprattutto nel carnevale del 1710 quando a causa della degenze di Ferdinando e dello zio, costretti a letto da malanni ormai cronici, il sommesso carnevale di Pitti fu animato esclusivamente dai balli in maschera organizzati nei quartieri delle due principesse.[77] Sulle orme della ben più anziana nipote tedesca (era questo infatti un effetto dellassurda politica matrimoniale del granduca Cosimo), la Gonzaga incoraggiò anche le rappresentazioni teatrali al femminile tanto che nel novembre del 1710 nella residenza di Lappeggi fece inscenare «una commedia dalle fanciulle di camera» cui partecipò, come spettatore, Giovan Battista Fagiuoli.[78] A differenza della Wittelsbach, Eleonora non fu mai drammaturga, limitandosi ad offrire le sue stanze come luogo delle esecuzioni.
Nel 1711, come abbiamo già detto, morì Francesco Maria de Medici. Terminato il periodo di lutto non ritornò la voglia dei divertimenti perché le condizioni del principe Ferdinando erano ormai gravissime e da un momento allaltro si aspettava la sua dipartita. Nelle stanze di Violante le composizioni drammatiche erano ormai certamente rimpiazzate da altri eventi spettacolari di minor risonanza. Nel settembre del 1712 frequenti furono i canti allimprovviso cui parteciparono i più celebri rimatori del granducato, ovvero il cavaliere senese Bernardino Perfetti, Alessandro Ghivizzani e lavvocato fiorentino Alfonso Galassi. Gli argomenti dellimprovvisazione erano ritratti da un fatto storico, o da qualche motto spiritoso, o da un incidente domestico qualunque.[79] Ma alla fine del 1713 anche queste esibizioni dovettero cedere il passo, o quantomeno rallentare sensibilmente, per il cordoglio del funesto evento, la morte di Ferdinando. Per la seconda volta nel giro di due anni, le campane della cattedrale di Santa Maria del Fiore rintoccarono a morte: a restare vedova non fu solo Violante di Baviera ma anche lultima speranza della famiglia Medici di sopravvivere sul trono di Toscana. Unica superstite della triade principesca, la Wittelsbach era adesso chiamata a una scelta importante: restare coraggiosamente nel granducato e accompagnare per mano e con dignità la dinastia alla estinzione oppure prendere la strada della natia Germania.
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