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Stefano Mazzoni

Stefano Mazzoni, «Col solito stipendio di sua altezza».
Appunti sui Gonzaga e la Commedia dell'Arte

Data di pubblicazione su web 25/06/2009
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Pubblichiamo di seguito l'intervento del Prof. Stefano Mazzoni alla tavola rotonda sul tema Teatro di corte, Commedia dell’Arte e il mecenariato dei Gonzaga (nell’ambito delle Giornate di teatro classico italiano e spagnolo. Convegno internazionale di studi, Sabbioneta, 25-27 giugno 2009).

«La Commedia dell’Arte non esiste», asseriva negli anni Settanta del secolo che ci è alle spalle un illustre storico dello spettacolo, Ludovico Zorzi, che tante intelligenti energie aveva profuso nell’indagare quel complesso fenomeno che, per convenzione, si è soliti definire con la riduttiva formula al singolare di «Commedia dell’Arte». L’affermazione zorziana, incisa sulla lama affilata del paradosso, era dettata da una esigenza critica urgente in quel periodo: tragittare dal mito alla storia la cosiddetta Commedia dell’Arte. In altre parole: occorreva fare giustizia dei preconcetti e dei luoghi comuni che troppo avevano condizionato (e condizionavano) la storia, europea complessa multiforme, dei comici di mestiere italiani del Cinque e Seicento. Non a torto si è parlato, anche di recente, di leggenda della Commedia dell’Arte, sottolineando peraltro la dinamica «tensione fra storia e leggenda», il fluire dell’una nell’altra.[1] È vero d’altronde che se la Commedia dell’Arte non esiste «suggerisce dei confini»[2] da perimetrare storicamente.

Sappiamo quanto sia stata feconda la radicale ‘contestazione’ esercitata dalla critica più avvertita, in specie italiana, nei confronti della immagine storiografica consueta della Commedia dell’Arte.[3] Fenomeno, a ben guardare, «più conosciuto che compreso»:[4]  inteso sin troppo a lungo come teatro di matrice prevalentemente popolare, rappresentato all’aperto, fondato esclusivamente sulle maschere (o tipi fissi), sull’improvvisazione, sul gesto, sulla mimica e le acrobazie. Imago tanto duratura, dicevo, quanto riduttiva per non dire erronea. Non si vuol certo asserire, s’intende, che gli elementi caratterizzanti ora ricordati abbiano avuto importanza secondaria in quell’avventura teatrale sovranazionale, al contrario. Tuttavia non furono né gli unici né i più importanti. È stato ormai ampiamente dimostrato. Pari rilevanza ebbero altri fattori. La nozione di mestiere applicata a un collettivo e regolata da contratti, ad esempio; la prestigiosa committenza delle corti; l’uso di recitare o in teatri di corte o comunque in spazi al chiuso come i «teatri del soldo» alias «stanze»; l’avvento, per l’epoca rivoluzionario, delle donne in scena sprigionanti erotismo;[5] o quello della figura del capocomico manager e drammaturgo della compagnia;[6] oppure, infine, la versatilità del repertorio, vale a dire la capacità dei comici professionisti di dar vita a diverse forme spettacolari. Non solo «Commedie dell’Arte», recite «all’improvviso», canovacci e performative invenzioni sceniche di tradizione buffonesca; ma anche cultura letteraria; e commedie, e tragicommedie, tragedie, pastorali, opere regie basate su un testo scritto ‘regolare’ e altre invenzioni drammaturgiche. Performance e rappresentazione. Si pensi, ad esempio, alla presenza del guariniano Pastor fido nel repertorio dei nostri comici;[7] o alla parte di Edipo recitata da Francesco Gabrielli (Scapino);[8] o, infine, alla pionieristica riforma della commedia attuata da Giovan Battista Andreini.[9] Il «componere» e il «recitar»[10] servivano infatti ai nostri attori – non lo si sottolineerà mai abbastanza – per guadagnarsi la vita. Un’esistenza, la loro, costellata da viaggi complicati, avventurosi, di terra, di fiume, di mare. Ossia da quel «moto perpetuo» (così Flaminio Scala)[11] di respiro europeo che fu tratto saliente dei nostri teatranti nomadi: croce e delizia degli attori dell’Arte, nonché elemento genetico del mestiere del teatro e motore di un’originale stagione drammaturgica. Costoro, infatti, dovevano di volta in volta, di città in città, conquistare le ‘piazze’ soddisfacendo al meglio le variegate esigenze di ogni tipo di pubblico fosse esso italiano o straniero, popolare o aristocratico; e, contestualmente, tentare di delineare tramite il loro operato una ‘immagine pubblica’ «virtuosa ed onorata»  – ho usato parole di Francesco Andreini[12] – della compagnia. Il commercio teatrale doveva risultare un negozio rispettabile e instaurarsi nelle città.

Lasciamo la parola a Vespasiano Gonzaga Colonna in cerca per l’appunto di ‘onesti’ comici. Sabbioneta, Palazzo Ducale, 18 marzo 1590:

Havendo Noi fatto fabricare una scena in questa nostra città di Sabbioneda et desiderando che ordinariamente non stii vacua, per poter ad alcuni tempi dell’anno far rapresentar comedie in essa et havere una compagnia de comici che stiano a nostro nome, ordiniamo a Voi Messer Silvio de Gambi ferrarese, che procurate di mettere insieme una compagnia honesta, et per questo effetto vi transferiate a Mantova, a Ferrara, et in altri luoghi […], acciò mettiate insieme quanto prima detta compagnia con tutti i personaggi che seranno necessarii, che promettiamo di farli pagare per loro intrattenimento scudi quatrocento l’anno con questo patto: che ne habbino da servire doi mesi dell’anno, cioè per vinti giorni nel tempo del carnovale, vinti altri alla Pasca del Spirito Santo et altri vinti al Settembre, che in tutto serà il tempo de doi mesi, et che nel restante dell’anno siano in libertà d’andare dove le piacerà come comici da noi trattenuti, et promettiamo anco, nel sudetto tempo che ne serviranno, di farle dare le spese, cibarie et alloggiamenti […].[13]

 

Il 3 maggio 1590 quella prontamente costituita ditta comica andò in scena nello splendente teatrino di Vespasiano (la «comedia fu recitata dagli comedianti di detta sua eccellenza», informa un cronista coevo);[14] e ancora:

 

sua eccellenza gli fece metter nome gli Confidenti et gli donò una sua arma che da per tutto ove andasevano [sic] la mettevano inanti alle tele nel recitare, per dimostrare che erano comedianti dell’eccellentissimo Signor duca di Sabbioneta.[15]

 

Confidenti in nuce (e in itinere) emuli di più illustri Confidenti. Alludo alla pregressa omonima formazione cinquecentesca in cui militarono, tra gli altri, un attore del calibro di Giovanni Pellesini (Pedrolino) e la grande Vittoria Piissimi.[16] Si pensi ora ai «comici» (e ai «musici») ‘allogati’ nel retropalco dall’architetto-scenografo Scamozzi[17] nel disegno di massima del teatro di Sabbioneta e dislocati altresì nelle piacevoli pitture ornanti la parte superiore della sala;[18] e si ricordi che della compagnia stipendiata da Vespasiano fece parte il ventisettenne Pier Maria Cecchini, alias «il Zanne nominato Frittellino» (così in una lettera del giugno 1590)[19] già esibitosi per Guglielmo Gonzaga nel 1583;[20] e destinato poi, è noto, a una capocomicale carriera mantovana. Non stupisca la passione del duca di Sabbioneta per il ludus degli attori di professione nel suo appartato teatro di corte in bilico tra temi aulici e motivi comici.[21] Quella passione aveva radici salde. Documentate, ad esempio, da una lettera del 30 aprile 1562, di Baldassare de Preti al cardinale Ercole Gonzaga, in cui si descrivono minuziosamente i variegati festeggiamenti indetti in quell’anno a Bozzolo da Vespasiano per celebrare le nozze della sorellastra Beatrice con don Alfonso di Guevara primogenito del conte di Potenza.[22] Di quel documento, edito dal Luzio senza fornire puntuale segnatura,[23] mi sono occupato, ripubblicandolo e chiosandolo, negli anni ’80.[24] Ozioso ripetere quelle pagine.[25] Aggiungo, invece, a riprova della curiosità teatrale del signore di Sabbioneta, che il medesimo de Preti riferisce che nell’agosto del 1562 Vespasiano si recò a Mantova per gustare le recite della romana Barbara Flaminia, abile nelle commedie come nelle farse e nelle moresche: un’attrice di raro talento, stando all’autorevole Leone de’ Sommi, e  futura moglie di Ganassa (Alberto Naselli).[26]

Sempre il de Preti attesta che a Mantova nel 1568 recitarono insieme, per volere del duca Guglielmo, i migliori attori di due diverse formazioni: «una de Pantalone [e di Flaminia], l’altra del Ganaza»: vale a dire del citato comico ferrarese Naselli, poi intraprendente innovatore di corrales, ben noto sia agli storici del teatro che agli ispanisti (penso specialmente a Maruzzella Profeti).[27] Ma qui conta soprattutto rilevare il gusto dei Gonzaga del ramo principale per l’all stars show, la loro inclinazione a ‘collezionare’ stelle dello spettacolo smembrando compagnie. Gusto che, lo accerteremo, fu tratto ricorrente di costoro (e teatralmente penalizzante); e giova, credo, mettere in parallelo tale diuturna inclinazione alla ‘raccolta’ di stars con la splendente cultura collezionistica della famiglia ducale evocata, tra l’altro, da un scritto di un raffinato protagonista dell’Arte: dico La Celeste galeria di Adriano Valerini.[28]

 

Prediamo poi atto che i rapporti tra i Gonzaga e i comici professionisti costituiscono un capitolo importante della storia del nostro antico teatro, se è vero come è vero che la «fortuna dello spettacolo professionistico a Mantova è stata tra le più precoci e durature».[29] Si pensi alla supplica avanzata nel 1567 al duca Guglielmo (tramite Francesco Gongaza conte di Novellara) dall’ebreo de’ Sommi di «poter egli solo, per anni 10, dar stanza in Mantova da rappresentar comedie a coloro che per prezzo ne vanno recitando».[30] Non sappiamo l’esito di tale richiesta. Resta, sul piano storico, la tempestività dell’uomo di teatro Sommi nel tentare di ottenere l’esclusiva ‘al chiuso’ della fruttifera industria ludica delle compagnie itineranti; e, con ogni probabilità, la curiosità di costui per lo spettacolo dei professionisti (si ripensi all’ammirazione di Leone per Flaminia). E su questo punto ascolterei volentieri Ferruccio Marotti che, con la sua edizione (1968)[31] dei Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche, ha avuto il merito di conferire spessore storico a questo corago d’assoluta rilevanza nel panorama teatrale cinquecentesco. Occorre poi ricordare il volume (1999) di Claudia Burattelli, Spettacoli di corte a Mantova tra Cinque e Seicento, in cui è dato ampio spazio sia alle commedie degli ebrei che ai comici dell’Arte al servizio dei Gonzaga.[32] Un volume rigoroso. Fondato su indagini di prima mano e perciò, stimo, ineludibile, anche per comprendere meglio sia la protezione offerta dai duchi ai musicisti, agli ideologi e agli apparatori di corte, sia l’emulazione gonzaghesca della tecnologica officina spettacolare della Firenze medicea. Si ricordi, nel 1608, il primato conseguito dalle splendide feste mantovane a discapito di quelle fiorentine in occasione delle fatidiche «nozze rivali».[33] Politica e spettacolo, arte e potere, drammaturgie dell’orgoglio dinastico e trionfo della scenotecnica furono del resto ‘segni’ forti della sovranazionale festività di corte tra Rinascimento ed età barocca.[34]

 

Ancora. Si sa che a Mantova (come in altre città della nostra penisola) gli attori professionisti agivano sia in pubbliche recite (di ‘stanza’ o di piazza) che in spettacoli privati riservati a un pubblico selezionato. Si pensi, su questo secondo versante, specialmente alla fastosa corte di Vincenzo Gonzaga e alle tante presenze di comici documentate in quel contesto già negli anni ’80 del Cinquecento.[35] Un amateur d’art, Vincenzo, appassionatosi a musica teatro e poesia durante i suoi soggiorni nella Ferrara estense e nella Firenze dei Medici.[36] Un mecenate intrigato dai virtuosi del canto e dai protagonisti del teatro di mestiere: al punto da costituire, a partire dall’anno comico 1598-1599, una compagnia ducale;  come aveva fatto a suo tempo, si è detto, il consanguineo, lungimirante duca di Sabbioneta. Della celebre formazione posta sotto l’egida del Gonzaga fecero parte, tra gli altri, l’egocentrico mantovano Tristano Martinelli (il geniale inventore di Arlecchino sulle scene europee così ben storicizzato da Siro Ferrone);[37] nonché il talentuoso ferrarese Cecchini, che abbiamo già notato al servizio di Vespasiano nel 1590; e che poi, dopo alterne vicende, ottenne nel 1600 da Vincenzo il monopolio della fabbricazione delle corde «per sonare»;[38] e quindi fu a capo, si sa, della troupe ducale dal 1602 sino alla fine del novembre 1611 rivelando in quel decennio doti direttive non comuni.[39] Si pensi al successo ottenuto a Parigi nel 1608 dalla rinnovata compagnia degli Accesi capitanata da costui. Ecco in stralcio una missiva del marzo di quell’anno indirizzata da Giovanni de’ Medici alla nipote Eleonora Medici Gonzaga, sposa del duca e cognata di Enrico IV di Francia: 

Pier Maria Cecchini detto Fritellino, mandato qua capo di questa compagnia de’ comici Accesi dall’Altezza Vostra per servire a queste Maestà, si porta così egregiamente bene, sì in recitando come in reggendo et governando tutta la compagnia […].[40]

  

Parole eloquenti. Se «per i comici la livrea mantovana significò la possibilità di un più ampio e qualificato mercato di lavoro, per i duchi gli attori costituirono una carta in più, modesta quanto inedita, nel gioco diplomatico internazionale».[41] Si legga a conferma un’istruttiva lettera di Eleonora al consorte principe-impresario in data 11 agosto 1607:

Per le alligate lettere ch’io invio a Vostra Altezza della reina di Francia ella vedrà il desiderio che hanno quelle Maestà d’una compagnia di commedianti, et se bene la reina confida che l’Altezza Vostra debba essernele cortese et volentieri sarà per dar loro questo gusto, nondimeno scrive a me parimente affinch’io faccia dalla mia banda opera con Vostra Altezza che li piaccia non solo d’inviarle una compagnia, ma che in essa vi sia particolarmente Arlichino, che desiderano spetialmente. Laonde io la prego quanto efficacemente posso a non voler negare questa sodisfattione in picciola cosa a chi ha mostrato, et è per mostrar sempre, quella benigna volontà ch’ella sa verso questa Casa […].[42]

Teatro professionistico e diplomazia delle corti appesi al filo della documentata passione teatrale di Maria de’ Medici e del sovrano di Francia per l’Arlecchino Martinelli[43] e delle capacità organizzative del razionale Cecchini. Il quale, tuttavia, di lì a pochi anni, era destinato a trovarsi in rotta di collisione irreversibile con il suo mecenate incapace di percepire «l’intima connessione esistente tra l’efficienza [della compagnia ducale], che pure pretendeva, e l’armonia e la disciplina interne, che ignorava».[44] Sarebbe «ottimo consiglio che Sua Altezza lassiasse fare et disfare le compagnie ai comedianti», scriveva «con tutte le viscere del cuore» il Cecchini nell’agosto del 1609.[45] Invano: «non mi si ricerchi il trattar di Flaminia [Orsola Posmoni, moglie del Cecchini] e Fritellino, quali per giuste cause ho esclusi […] dal mio servitio», dichiarava nel gennaio 1612 un incollerito Vincenzo.[46] Da un lato un troppo dispotico committente, incapace di stare al passo con le esigenze e le modalità organizzative del teatro nuovo. Dall’altro un esulcerato teatrante di genio, convinto a ragione delle ragioni della scena. Due mentalità incompatibili. E la mente corre subito, per contrasto, all’intelligenza impresariale del protettore dei disciplinatissimi Confidenti secenteschi, il citato don Giovanni de’ Medici (estimatore dello Scamozzi)[47] capace di tener testa da par suo alle imperiose pretese teatrali di Ferdinando Gonzaga per garantire la stabilità e l’efficienza della propria societas comicorum.[48] Confidava il teatrante-profumiere Flaminio Scala a don Giovanni nell’aprile del 1619: «non andrei al servitio de Sua Altezza [Ferdinando] per tutto l’oro del mondo, perché mi farei più presto frate, e così lo giuro e prometto a Vostra Eccellenza».[49]

 

Queste, in breve, alcune vicende del mecenatismo esercitato dai duchi Guglielmo, Vincenzo I e Ferdinando Gonzaga nei confronti dello spettacolo dei comici professionisti. Altre, s’intende, se ne dovrebbero aggiungere. Penso ad esempio alla regolamentazione ducale del teatro venduto (imperniata sulla concessione a comici e ciarlatani di licenze e sovrintesa dapprima da Filippo Angeloni e quindi, con maggiori prerogative e profitti, dall’occhiuto Tristano Martinelli ‘interlocutore’ avidissimo prediletto di principi e sovrani e abilissimo accumulatore di ricchezze); o all’attività dei Fedeli del pragmatico fiorentino Giovan Battista Andreini per la corte mantovana, a Lelio e a Florinda (la cantante-attrice Virginia Ramponi): entrambi sempre pronti a esaudire docilmente, a differenza del talent-scout Cecchini, ogni richiesta della nobile committenza;[50] o alle trame ordite con successo da costoro proprio contro il Cecchini per allontanarlo definitivamente «dal cuore del potere teatrale mantovano»;[51] oppure ai contrasti tra quest’ultimo, esponente di spicco di una nuova generazione di ‘onesti’ comici, e il Martinelli, individualista alfiere dell’antica tradizione cortigiano-buffonesca infastidito dalle regole e dalla logica del bene comune della cecchiniana troupe ducale; o, ancora, ai probabili segreti accordi intercorsi tra Lelio e Arlecchino «finti rivali», nel 1621 in terra di Francia, nel segno dei Gonzaga;[52] o, infine, alla storia di quella scena pubblica provvista di palchetti («la stanza solita dei comedianti», giusta un documento del 1609),[53] destinata agli spettacoli mercenari, che ebbe un ruolo non secondario nel sistema teatrale di Mantova, al pari delle «stanze» di Firenze Napoli Venezia.[54] Il mantovano teatrino del soldo era frequentato anche dai Gonzaga che vi accedevano, protetti da sguardi indiscreti, da un passaggio coperto: «li corridori d’andare alla comedia»[55] colleganti gli ambienti della reggia alla sala situata ai margini del grandioso complesso ducale. Un percorso riservato, ‘segreto’. Segreto come quello che a Firenze conduceva i Medici dai monumentali Uffizi, ospitanti il fastoso teatro di corte buontalentiano, agli allietanti spettacoli dell’Arte messi in scena nel sottostante teatrino venale della Dogana fluviale.[56] Segreto come la segreta sapienza tecnica dei nostri comici.[57] Ma non voglio abusare ulteriormente della pazienza di chi pazientemente ascolta.

 

Concludo accennando a quattro capisaldi storiografici riguardanti il tema della nostra tavola rotonda. Già Alessandro D’Ancona, nell’Appendice II delle sue insuperate Origini del teatro italiano apparse in seconda edizione nel 1891, dedicava ampio spazio documentale alla questione Gonzaga/comici dell’Arte ripubblicando, con consistenti ampliamenti, le sue fondanti ricerche su Il teatro mantovano nel secolo XVI edite per la prima volta nel «Giornale Storico della Letteratura Italiana»: un originale «intarsio di documenti» (così il D’Ancona), che molto doveva al benemerito Stefano Davari.[58] Nelle Origini, prendo in prestito parole di Fabrizio Cruciani, «la visione evoluzionistica dell’insieme è messa in ombra dalla polivalenza e dalle aperture del materiale stesso».[59] Non si può che consentire. Ma occorre precisare, si badi, che quei materiali non vanno utilizzati pigramente, come troppo spesso accade. Vanno pazientemente controllati negli archivi risalendo agli originali sia per schivare il rischio d’iterare sviste ed errori, sia per giungere a nuove acquisizioni e a approfondimenti. È questo il metodo messo sistematicamente in atto nell’esemplare edizione delle Corrispondenze dei comici dell’Arte (1993) diretta da Ferrone e dedicata, piace ricordarlo, alla memoria di Zorzi.[60] Edizione che ha sensibilmente aggiornato le nostre conoscenze sul teatro professionistico con notizie di prima mano anche sul versante gonzaghesco-mantovano. Un reference book. Si pensi ai preziosi epistolari di Andreini jr, Barbieri, Cecchini, Fiorillo, Martinelli e Scala lì filologicamente raccolti, storicizzati e fatti proficuamente interagire, rinnovandola, con la bibliografia pregressa. Vorrei ricordare infine, a pendant delle citate Corrispondenze, l’archivio informatico Herla voluto dai compianti amici Umberto Artioli e Francesco Bartoli. Un progetto avviato nel 1999 dal Centro (poi Fondazione) Mantova Capitale Europea dello spettacolo con l’intento di censire elettronicamente la documentazione europea sugli spettacoli promossi dai Gonzaga; e, più in generale, le testimonianze sulla Commedia dell’Arte. Uno strumento di lavoro prezioso (aggiornato tre volte l’anno e consultabile gratuitamente in rete all’indirizzo www.capitalespettacolo.it),[61] da fare interagire con profitto con l’altrettanto prezioso e innovativo Archivio Multimediale degli Attori Italiani (AMAtI) ideato e operativo presso l’università di Firenze.[62]

 

 



* Intervento alla tavola rotonda sul tema Teatro di corte, Commedia dell’Arte e il mecenariato dei Gonzaga (nell’ambito delle Giornate di teatro classico italiano e spagnolo. Convegno internazionale di studi, Sabbioneta, 25-7 giugno 2009). La citazione nel titolo è tratta da una lettera di Annibale Iberti a Lelio Belloni, Maderno, 13 maggio 1607, Archivio di Stato di Mantova (d’ora in poi ASMN), Gonzaga, b. 2708, fasc. 12, doc. 16. Nella missiva si parla della compagnia di comici al servizio del duca di Mantova.

[1] Cfr. F. Taviani, Anni dopo. Nota per l’edizione 2007, in F. Taviani-M. Schino, Il segreto della Commedia dell’Arte. La memoria delle compagnie italiane del XVI, XVII e XVIII secolo, Firenze, La casa Usher, 20074, pp. 493-505: 500-501.

[2]S. Ferrone-A.M. Testaverde, Presentazione dell’Annuario Internazionale «Commedia dell’Arte », 1, 2008, pp. VII-VIII: VII.

[3] Per un bilancio basti qui rinviare alle rassegne di S. Ferrone (Prefazione e Aggiornamento bibliografico a La Commedia dell’Arte. Storia e testo, a cura di V. Pandolfi, rist. anast. Firenze, Le Lettere, 1988, vol. I, pp. XXI-XXXVII) e di Taviani (Anni dopo. Nota per l’edizione 2007, cit.).

[4] Così Fabrizio Cruciani (in Teatro, a cura di F. C. e N. Savarese, introd. di F. C., Milano, Garzanti, 1991, p. 92).

[5] Cfr. R. Guardenti, Figure di attrici e comici misogini. Le attrici dell’Arte nell’arte, in Attori di carta. Motivi iconografici dall’antichità all’Ottocento, a cura di R. G., Roma, Bulzoni, 2005, pp. 113-137: in partic. p. 120.

[6] Cfr. S. Ferrone, Introduzione a Commedie dell’Arte, a cura di S. F., Milano, Mursia, 1985-1986, 2 voll., vol. I, pp. 5-44: 13.

[7] Cfr. M. Pieri, Il ‘Pastor fido’ e i comici dell’Arte, «Biblioteca teatrale», n.s., 17, 1990, pp. 1-15. Sulla drammaturgia pastorale fra Cinque e Seicento è d’obbligo ricordare L. Riccò, «Ben mille pastorali». L’itinerario dell’Ingegneri da Tasso a Guarini e oltre, Roma, Bulzoni, 2004.

[8] Cfr. Taviani-Schino, Il segreto della Commedia dell’Arte, cit., pp. 347, 415.

[9] Cfr. Ferrone, Introduzione a Commedie dell’Arte, cit., vol. I, pp. 7, 36-40.

[10] Cfr. S. Ferrone, Il metodo compositivo della Commedia dell’Arte, in Commedia dell’Arte e spettacolo in musica tra Sei e Settecento. Atti del convegno di studi (Napoli, 28-29 settembre 2001), a cura di A. Lattanzi e P. G. Maione, Napoli, Editoriale Scientifica, 2003, pp. 51-67.

[11] Lettera di Flaminio Scala a Giovanni de’ Medici, Firenze, 22 dicembre 1618, Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi ASF), Mediceo del principato, f. 5150, c. 615r, in Comici dell’Arte. Corrispondenze, G. B. Andreini, N. Barbieri, P. M. Cecchini, S. Fiorillo, T. Martinelli, F. Scala, ediz. diretta da S. Ferrone, a cura di C. Burattelli, D. Landolfi, A. Zinanni, Firenze, Le Lettere, 1993, vol. I, p. 518 (lett. 49). Sui viaggi dei comici cfr. S. Ferrone, L’invenzione viaggiante. I comici dell’arte e i loro itinerari tra Cinque e Seicento (1988), rielaborato in Id., Attori mercanti corsari. La Commedia dell'Arte in Europa tra Cinque e Seicento, Torino, Einaudi, 1993, pp. 3-49.   

[12] F. Andreini, Le bravure  del Capitano Spavento, a cura di R. Tessari, Pisa, Giardini, 1987, p. 7.

[13] Mio il corsivo. La lettera di Vespasiano al capocomico Gambi (Mantova, Archivio dei Conti Cantoni-Marca) fu edita da G. Capilupi, Vespasiano Gonzaga e il suo teatro, «Gazzetta di Mantova», 30 novembre 1958. Si legge più agevolmente in S. Mazzoni, Vincenzo Scamozzi e il teatro di Sabbioneta, in S. M.-O. Guaita, Il teatro di Sabbioneta, Firenze, Olschki, 1985, pp. 88-89; pagine anticipate in un mio precedente scritto: I rapporti fra Vespasiano Gonzaga e i comici del teatro di Sabbioneta, in Le Commedie dell’Arte, a cura di S. Mamone, «Quaderni di Teatro», 24, 1984, pp. 34-39. Sull’argomento sono tornati M. Anderson (Making room: Commedia and the privatisation of the Theatre, in The Commedia dell’Arte from the Renaissance to Dario Fo, a cura di C. Cairns, Lewiston, NY, The Edwin Mellen Press, 1989, pp. 74-97: 86); e, con qualche ingenuità metodologica, S. V. Longman (A Renaissance Anomaly: A Commedia dell’Arte Troupe in Residence at the Court Theatre at Sabbioneta, in Commedia dell’Arte Performance: Contexts and Contents, a cura di P.-G. Hill, «Theatre Symposium A Journal of the Southeastern Theatre Conference», 1, 1993, pp. 57-65).

[14] Cfr. N. de’ Dondi, Estratti del ‘Diario delle cose avvenute in Sabbioneta dal MDLXXX al MDC’, a cura di G. Müller, in Raccolta di cronisti e documenti storici lombardi inediti, Milano, Francesco Colombo libraio-editore, 1587, vol. II, pp. 361-362; Mazzoni, Vincenzo Scamozzi e il teatro di Sabbioneta, cit., pp. 89-90.

[15] De’ Dondi, Estratti, cit., vol. II, pp. 359-360: 360; anche in Mazzoni, Vincenzo Scamozzi e il teatro di Sabbioneta, cit., pp. 87-88: 88; e ivi (pp. 89-90) per un’analisi del documento. Per un approccio sintetico alle diverse formazioni dei Confidenti (inclusa quella al servizio del duca di Sabbioneta) v. C. Molinari, La Commedia dell’Arte, Milano, Mondadori, 1985, pp. 136-138. Irricevibile, stimo, l’ipotesi (avanzata da Longman, A Renaissance Anomaly, cit., pp. 61-64) che il De’ Dondi equivochi e che, a dispetto dell’evidenza documentale, si tratti della compagnia degli Accesi di Pier Maria Cecchini. Non si dimentichi che la prima testimonianza collegante il Cecchini agli Accesi risale al maggio 1599 (non al 1590!): cfr. Comici dell’Arte. Corrispondenze, cit., vol. I, pp. 193, 200-201 (lett. 2 e 3). Un affidabile profilo dell’attore ferrarese si deve a C. Burattelli, Borghese e gentiluomo. La vita e il mestiere di Pier Maria Cecchini, tra i comici detto «Frittellino», «Castello di Elsinore», 2, 1988, pp. 33-63.

[16] Cfr. S. Ferrone, Vita e avventure di Tristano Martinelli attore, Roma-Bari, Laterza, 2006, in partic.  pp. 63-65, 72 (e rivedi qui la nota precedente).

[17] Cfr. S. Mazzoni, Vincenzo Scamozzi architetto-scenografo, in Vincenzo Scamozzi 1548-1616, catalogo della mostra a cura di F. Barbieri e G. Beltramini (Vicenza, 7 settembre 2003-11 gennaio 2004), Venezia, Marsilio, 2003, pp. 71-87, 251.

[18] Sui musici e i personaggi comici in questione: S. Mazzoni, Temi aulici e motivi comici nel teatro di Sabbioneta, «Bollettino del CISA ‘Andrea Palladio’»,  24, 1982-1987, pp. 103-136: 109-110, 116, 119, 122, 132-134  (con la precedente bibliografia). Una ricognizione intelligente e informata degli affreschi, con ipotesi attributive convincenti, si deve a D. Griso e R. Soggia, Il Teatro all’Antica di Sabbioneta: notizie storiche e appunti per un’analisi stilistica delle pitture murali ad affresco, in Il Teatro all’Antica di Sabbioneta, presentazione di F. Sisinni, testi di A. Paolucci e altri, Modena, Il Bulino edizioni d’arte, 1991, pp. 109-144. Cenni in G. Pasetti, Maschere dipinte: appunti in merito agli episodi di Mantova e Trausnitz, in I Gonzaga e l’Impero. Itinerari dello spettacolo. Con una selezione di materiali dall’Archivio informatico Herla (1560-1630), a cura di U. Artioli e C. Grazioli, con la collaborazione di S. Brunetti e L. Mari, Firenze, Le Lettere, 2005, pp. 195-218: 202, 204-205. 

[19] Lettera di Giovan Battista Laderchi al governatore di Modena, Ferrara, 7 giugno 1590 (Archivio di Stato di Modena, Archivio per Materie, b. unica Comici, c.n.n.); in Mazzoni, Vincenzo Scamozzi e il teatro di Sabbioneta, cit., p. 90. E rivedi qui note 13 e 15.

[20] Cfr. Comici dell’Arte. Corrispondenze, cit., vol. I, pp. 193, 295-296 (lett. 85).

[21] Rivedi nota 18.

[22] ASMN, Gonzaga, b. 1941.

[23] A. Luzio, Feste a Bozzolo nel 1562, «Gazzetta di Mantova», 18-19 maggio 1890.

[24] Cfr. Mazzoni, Temi aulici e motivi comici, cit., in partic. pp. 103-106, 122, 123 nota 1.

[25] Mi preme invece segnalare, per doverosa correttezza bibliografica, lo scritto di G. Malacarne, Feste, giostre, danze, commedie per il signore di Sabbioneta Vespasiano Gonzaga Colonna, «Civiltà Mantovana», s. III, 36, maggio 2001, n. 11, pp. 109-113 (ripubblica la citata missiva sottolineandone a ragione l’importanza ma ritenendola inedita). Del medesimo studioso v. anche Le feste del principe: giochi, divertimenti, spettacoli a corte, Modena, Il Bulino edizioni d’Arte, 2002, pp. 178, 212.

[26] Cfr. lettera di Baldassarre de Preti al Cardinale Gonzaga, Mantova, 6 agosto 1562, ASMN, Gonzaga, b. 1941, cc. 136-137: 137 (v. anche Archivio informatico Herla C2710; per tale archivio cfr. qui par. 5 e nota 61); L. de’ Sommi, Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche, a cura di F. Marotti, Milano, Il Polifilo, 1968, pp. 43-45 (e ivi, p. 78). Su Barbara: M. d. V. Ojeda Calvo, Barbara Flaminia: una actriz italiana en España, in Las mujeres en la sociedad española del Siglo de Oro: ficción teatral y realidad histórica. Atti del colloquio (Granada-úbeda, 7-9 marzo 1997), a cura di J. A. Martínez Berbel e R. Castilla Pérez, Granada, Universidad de Granada-Instituto de Estudios de la Mujer, 1998, pp. 375-393.

[27] Cfr. lettera di Baldassarre de Preti alla castellana di Mantova, Mantova, 26 aprile 1568, ASMN, Gonzaga, b. 2579, c.n.n.; cit. in C. Burattelli, Spettacoli di corte a Mantova tra Cinque e Seicento, Firenze, Le Lettere, 1999, p. 184; cfr. anche Viaggi di Alberto Naselli detto Zan Ganassa, a cura di S. Brunetti, in I Gonzaga e l’Impero, cit., pp. 329-342: 329-330, 332; R. Tamalio, Vespasiano Gonzaga, il teatro e le compagnie italiane della Commedia dell’arte in Spagna, in Vespasiano Gonzaga nonsolosabbioneta. Atti della giornata internazionale di studi 2005 in onore di Umberto Maffezzoli (Sabbioneta, 28 maggio 2005), Modena, Il Bulino edizioni d’arte, 2008, pp. 29-37: 32 (ove peraltro, a dispetto del titolo, non si parla dei rapporti tra Vespasiano e i comici). Più in generale: B. J. García García, L’esperienza di Zan Ganassa in Spagna tra il 1574 e il 1584, in Zani mercenario della piazza europea. Atti delle giornate internazionali di studio (Bergamo, 27-28 settembre 2002), introd. e cura di A. M. Testaverde, presentazione di A. Castoldi,  Bergamo, Moretti & Vitali, 2003, pp. 131-155 (con la precedente bibliografia); M. G. Profeti, Ganassa, Bottarga e Trastullo in Spagna, ivi, pp. 178-197; M. d. V. Ojeda Calvo, Stefanelo Botarga e Zan Ganassa. Scenari e zibaldoni di comici italiani nella Spagna del Cinquecento, Roma, Bulzoni, 2007 (vol. documentalmente prezioso, ma con lacune bibliografiche sorprendenti).

[28] A. Valerini, La Celeste galeria di Minerva con le imagini del serenissimo sig. duca Vincenzo Gonzaga, de cavalieri Mantovani & d’alcuni d’altre città, Verona, Girolamo Discepolo, 1588. Sul volumetto (noto da tempo agli storici dello spettacolo) v. da ultimo R. Morselli, L’ordine segreto degli oggetti, in Gonzaga. La Celeste Galeria. Le raccolte, catalogo della mostra a cura di R. M. (Mantova, 2 settembre-8 dicembre 2002), Milano, Skira, 2002, pp. 17-37: 18-19. Su Valerini: S. Ughi, Di Adriano Valerini, di Silvia Roncagli e dei comici Gelosi, «Biblioteca teatrale», 3, 1972, pp. 147-154; F. Taviani, La Commedia dell’Arte e Gesù bambino: intorno all’‘Afrodite’ del Valerini, in Origini della Commedia Improvvisa o dell’Arte. Atti del convegno di studi (Roma-Anagni, 12-15 ottobre 1995), a cura di M. Chiabò e F. Doglio, Roma, Torre d’Orfeo, 1996, pp. 49-83. Sul gonzaghesco gusto di collezionare l’effimero spettacolare v. a conferma, in più ampie campiture, R. Tessari, Il teatro a Mantova tra 1563 e 1630: una mirabile galleria dell’effimero, in Gonzaga. La Celeste Galeria. L’esercizio del collezionismo, catalogo della mostra a cura di R. Morselli (Mantova, 2 settembre-8 dicembre 2002), Milano, Skira, 2002, pp. 177-183: 180-183. Per il quadro di riferimento politico-famigliare: G. Malacarne, I Gonzaga di Mantova: una stirpe per una capitale europea, vol. III. I Gonzaga duchi: la vetta dell’Olimpo, da Federico II a Guglielmo (1519-1587), Modena, Il Bulino edizioni d’Arte, 2006, e vol. IV (ivi, 2007). Il Duca Re: splendore e declino, da Vincenzo I a Vincenzo II (1587-1627).      

[29] Burattelli, Spettacoli di corte, cit., p. 181.

[30] ASMN, Gonzaga, b. 1349, c.n.n. (ora in Burattelli, Spettacoli di corte, cit., p. 182; v. anche Taviani-Schino, Il segreto della Commedia dell’Arte, cit., pp. 193-194).

[31] Rivedi nota 26.

[32] Rivedi nota 27.

[33] Cfr. specialmente S. Mamone, Dèi, semidei, uomini. Lo spettacolo a Firenze tra neoplatonismo e realtà borghese (XV-XVII secolo), Roma, Bulzoni, 2003, pp. 127-147 (cap. V. Le nozze rivali).

[34] Si ricordi, nella vastissima bibliografia al riguardo, l’autorevole sintesi di R. Strong, Arte e potere. Le feste del Rinascimento 1450-1650 (1973, 1984), Milano, Il Saggiatore, 1987. Logiche di lavoro proficue nel volume di A. Pinelli, La bellezza impura. Arte e politica nell’Italia del Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 2004.  

[35] Cfr. Burattelli, Spettacoli di corte, cit., pp. 183-184.

[36] Basti qui rinviare a I. Fenlon, Musicisti e mecenati a Mantova nel ’500 (1980), Bologna, Il Mulino, 1992.

[37] Cfr. S. Ferrone, Vita e avventure di Tristano Martinelli, cit. Cfr. inoltre l’altrettanto basilare studio di D. Gambelli, Arlecchino a Parigi. Dall’inferno alla corte del Re Sole, Roma, Bulzoni, 1993.

[38] ASMN, Decreti, l. 52, f. 151, anno 1600 (cit. in P. Besutti, La galleria musicale dei Gonzaga: intermediari, luoghi, musiche e strumenti in corte a Mantova, in Gonzaga. La Celeste Galeria. Le raccolte, cit., pp. 407-442: 426). 

[39] Cfr. Burattelli, Borghese e gentiluomo, cit., pp. 35-47; Id., Spettacoli di corte, cit., pp. 183-184, 188-194; Ferrone, Vita e avventure di Tristano Martinelli, cit., pp. 157-160.

[40] Lettera di don Giovanni de’ Medici a Eleonora de’ Medici, Parigi, 8 marzo 1608, ASMN, Autografi, b. 10, c. 228r (in Burattelli, Spettacoli di corte, cit., p. 192). Corsivi miei.

 

[41] Ivi, p. 199.

 

[42] Lettera di Eleonora de’ Medici a Vincenzo I Gonzaga, Mantova, 11 agosto 1607, ASMN, Autografi, b. 5 c. 39rv (in Burattelli, Spettacoli di corte, cit., p. 200). Nonostante le pressanti richieste di Maria, Martinelli non partecipò a quella tournée (v. Comici dell’Arte. Corrispondenze, cit., vol. I, p. 352).           

[43] Cfr. S.  Mamone, Firenze e Parigi: due capitali dello spettacolo per una regina, Maria de’ Medici, Cinisello Balsamo (Milano), Silvana Editoriale, 19882, pp. 137, 140-141, 157, 247.

[44] Burattelli, Spettacoli di corte,  cit., p. 193 (cfr. anche ivi, p. 184).

[45] Lettera di Pier Maria Cecchini ad Annibale Chieppio, Torino, 14 agosto 1609, ASMN, Autografi, b. 10, cc. 103r-104r (in Comici dell’Arte. Corrispondenze, cit., vol. I, lett. 32, pp. 236-237: 236).

[46] Cfr. lettera di Vincenzo I Gonzaga a Ferdinando Gonzaga, Mantova, 22 gennaio 1612, ASMN, Autografi, b. 5, c. 33r (in Burattelli, Spettacoli di corte,  cit., p. 194).

[47] Si veda per es. la lettera di don Giovanni de’ Medici a Cosimo II de’ Medici, Venezia, 19 dicembre 1615, ASF, Mediceo, f. 5152, cc. 108rv (edita da C. Elam, Vincenzo Scamozzi and the Medici family: some unpublished letters, in Renaissance studies in honor of Craig Hugh Smyth, a cura di A. Morrogh, F. Superbi Gioffredi, P. Morselli, E. Borsook, vol. II. Art · Architecture, Firenze, Giunti Barbèra, 1985, pp. 203-215: 211).

[48] Decisive considerazioni sul personaggio si devono a Ferrone, Attori mercanti corsari, cit., pp. 137-190 (cap. IV. Don Giovanni impresario). Sul mecenatismo teatrale mediceo cfr. quindi le fonti raccolte e ragionate in S. Mamone, Serenissimi fratelli principi impresari. Notizie di spettacolo nei carteggi medicei. Carteggi di Giovan Carlo de’ Medici e di Desiderio Montemagni suo segretario (1628-1664). Trascrizione in collaborazione con A. Evangelista, Firenze, Le Lettere, 2003.

[49] Lettera di Flaminio Scala a Giovanni de’ Medici, Milano, 24 aprile 1619, ASF, Mediceo, f. 5150, c. 570rv (in Comici dell’Arte. Corrispondenze, cit., vol. I, lett. 64, pp. 535-536).

[50] Cfr. e.g. Burattelli, Spettacoli di corte, cit., pp. 201-218.

[51] Ferrone, Vita e avventure di Tristano Martinelli, cit., p. 160. Per il conflitto Andreini-Cecchini v. anche Id., Attori mercanti corsari, cit., pp. 274 ss.

[52] Cfr. ancora Ferrone, Vita e avventure di Tristano Martinelli, cit., in partic. pp. 219-220 (a proposito della proditoria fuga arlecchinesca da Parigi).

[53] Lettera di Alessandro Striggi a un segretario ducale, 13 ottobre 1609, ASMN, Gonzaga, b. 2714, fasc. 11, doc. 48 (in Burattelli, Spettacoli di corte, cit., p. 103).

[54] Per le quali: Ferrone, Attori mercanti corsari, cit., pp. 67-74, 78-80, 92-93. Sulla stanza mantovana cfr. inoltre Mazzoni, Temi aulici e motivi comici, cit., pp. 127-129; C. Burattelli, Contributo allo studio dei luoghi dello spettacolo a Mantova nel Rinascimento, «Quaderni di Palazzo Te», 4, 1996, pp. 79-89: 86-87; E. Tamburini, A partire dall’‘Arianna’ monteverdiana pensando ai comici. Luoghi teatrali alla corte di Mantova, in Claudio Monteverdi. Studi e prospettive. Atti del convegno di studi (Mantova, 21-24 ottobre 1993), a cura di P. Besutti, T. M. Gialdroni, R. Baroncini, Firenze, Olschki, 1998, pp. 415-429: 425 ss.; P. Carpeggiani, Luoghi perduti. Spazi teatrali nel Palazzo Ducale di Mantova, in Teatri storici nel territorio mantovano. Forme, significato, funzioni, a cura di N. Zuccoli, Mantova, Gianluigi Arcari Editore, 2005, pp. 37-60: 45-46.

[55] Così in un documento del 1614 (cit. ivi, p. 46).

[56] Per il cavalcavia collegante gli Uffizi al teatrino della Dogana: A. M. Evangelista, Il teatro dei comici dell’Arte a Firenze (ricognizione dello «Stanzone delle Commedie» detto di Baldracca), «Biblioteca teatrale», 23/24, 1979, pp. 70-86: 77-78 (e figg. 2-3).

[57] Cfr. Taviani-Schino, Il segreto della Commedia dell’Arte, cit., p. 421.

[58] A. D’Ancona, Origini del teatro italiano, Torino, Loescher, 18912, p. 358 (rist. anast. Roma, Bardi, 1971).

[59] In Teatro, cit., p. 49. Per una ricognizione del lavoro del D’Ancona rinvio all’eccellente tesi di laurea di G. Porciatti, Alessandro D’Ancona studioso di teatro e il fondo D’Ancona nella Biblioteca delle Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Firenze, Università di Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1994-1995, 2 voll. (relatori: S. Ferrone e S. Mazzoni).

[60] Rivedi nota 11. Per un profilo dello studioso veneziano: S. Mazzoni, Ripensando Ludovico Zorzi, in www.drammaturgia.it (data di pubblicazione su web: 23 giugno 2007).

[61] Cfr. Il progetto Herla: un archivio informatico per la documentazione gonzaghesca italiana ed europea in materia di spettacolo (1480-1630), a cura di C. Grazioli, S. Brunetti, L. Mari, in I Gonzaga e l’Impero, cit., pp. 273 ss. (vol. con allegato CD-rom dell’Archivio Herla aggiornato al 30 ottobre 2004). Da menzionare altresì sia il paziente lavoro di R. Tamalio, La memoria dei Gonzaga. Repertorio bibliografico gonzaghesco 1473-1999, Firenze, Olschki, 1999 (di cui è annunciato un aggiornamento), che il precedente poco diffuso contributo Cinquecentosettanta titoli di argomento mantovano proposti all’attenzione del forestiero, a cura di U. Padovani, Mantova, Gianluigi Arcari Editore, 1989.

[62] Diretto da Siro Ferrone.


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