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Gianni Cicali

Attori e ruoli dell'opera comica del '700

Data di pubblicazione su web 25/07/2004
conte pasticcio
Questo saggio è un estratto della tesi di dottorato in Storia dello Spettacolo (Università di Firenze-Dipartimento di Storia delle Arti e dello Spettacolo) discussa da Gianni Cicali: Attori e ruoli del teatro comico musicale italiano del Settecento (tutor: Siro Ferrone; commissione: Adriano Aprà, Francesco Degrada, Ferdinando Taviani pres.).
La tesi, con aggiunte e arricchimenti, e' stata pubblicata con il titolo
Attori e ruoli nell'opera buffa italiana del Settecento.
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Premessa.
I ruoli nel teatro comico musicale settecentesco


Incontriamo spesso, nel corso della seconda metà del Settecento, nei documenti come nei libretti a stampa delle opere musicali, nomi come prima buffa, primo buffo, buffo di mezzo carattere, buffo caricato, seconda buffa e così via (vedi multimedia elenco ruoli .pdf). Tutte qualifiche professionali della cosiddetta opera buffa, o dramma giocoso, o burletta in musica o come si desideri chiamare il teatro comico musicale di quel secolo benedetto.

Ma se si volesse sapere meglio 'cosa' erano, 'come' erano (cioè come agivano) questi ruoli, quale fosse un loro contenuto e peso di parti e le loro (comuni) caratteristiche drammaturgiche e performative la nostra curiosità, tranne lampi in qualche raro e bello studio, rimarrebbe in parte frustrata o inappagata.

Molta letteratura sia satirica (coeva) sia scientifica si occupa prevalentemente delle 'smanie' degli attori-cantanti per il ruolo, cioè interpreti che ricercano privilegi contrattuali come avere l'attribuzione obbligatoria di certe arie piuttosto di altre e il diritto di scegliersele, oppure avere pagato sia il vestiario non strettamente teatrale sia l'appartamento e il viaggio. C'è anche una letteratura di fonti, preziosa, eminentemente quantitativa che fornisce contratti e altri materiali coevi (spesso si tratta di tesi di laurea o di dottorato).

Eppure oltre i riferimenti alle commistioni drammaturgiche evidenti tra opera buffa e commedia dell'Arte mancano nel panorama storiocritico ulteriori canali di comprensione dell'importanza dei ruoli buffi e della loro collocazione storica, dei rapporti qualitativi e quantitativi tra ruoli, del rapporto con le maschere-ruoli della commedia dell'Arte, della qualità della professionalità richiesta, ad esempio, a una prima buffa o a un buffo caricato.

In definitiva seguendo studi ed enciclopedie correnti sappiamo dell'esistenza di ruoli buffi e che essi avevano delle analogie (per quanto riguarda l'opera comica) con certe caratteristiche della commedia dell'Arte. La ricchezza di connessioni che emerge appena scalfiamo la superficie di un ruolo (come ad esempio il Don Magnifico, buffo [caricato] della Cenerentola di Rossini) fa subito intuire le ricche potenzialità di questo campo di studi, evidenziando in parte una lacuna storiografica che rivela la scarsa importanza attribuita ai ruoli comico-musicali (appunto, prima buffa piuttosto che buffo caricato o mezzo carattere) nello spettacolo del Settecento. Una lacuna che si fa sentire ancora di più se si pensa che per tre quarti del '700 (e parte del successivo '800) questo era uno degli spettacoli più visti, prodotti e diffusi a livello continentale, e si pensi a un Carlo Goldoni autore sì di grandi testi di prosa ma anche uno tra i più importanti librettisti di drammi giocosi del secolo.

Il confronto tra ruoli e parti, tra diverse carriere di attori-cantanti, tra drammaturgia e ruoli, così come l'analisi di momenti performativi all'interno dei libretti sono state alcune delle scelte operative adottate. Di queste viene dato conto in maniera relativamente sintetica nel saggio che segue, estratto della tesi di dottorato Attori e ruoli nel teatro comico musicale italiano del Settecento che anticipa in parte la piu' ampia Introduzione del volume Attori e ruoli nell'opera buffa italiana del Settecento.
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Attori e ruoli nel teatro comico musicale italiano del Settecento
(estratto dall'introduzione della tesi di dottorato).

I ruoli nell'opera comica italiana del XVIII secolo sono un oggetto sfumato e liminare. I protagonisti di quello che possiamo o dobbiamo definire sistema furono attori-cantanti soprattutto toscani, laziali, marchigiani, napoletani, bolognesi che dettero vita sulle scene a una costellazione di parti (Fiammette e Notai, Don Catapazi e Serpine) e ruoli (prima buffa; primo buffo caricato ecc.) che variavano, partendo da un ipotetico modello, di compagnia in compagnia, di interprete in interprete, di città in città. Tale sistema di ruoli comico-musicali si rivela liminare, appunto, e in parte autonomo e innovativo rispetto a modelli pre-esistenti come quello delle compagnie dell'Arte.

Il noto proliferare, a partire dagli anni '30-'40, dell'opera buffa napoletana e dei suoi protagonisti (maestri di cappella, librettisti, attori-cantanti), il successo del genere comico in generale, il contemporaneo persistere, incrementarsi e specializzarsi di quella sorta di 'piccole-medie imprese' dello spettacolo che erano le accademie italiane favorirono lo sviluppo e resero necessario un sistema di ruoli per il teatro comico musicale dell'epoca. Si devono aggiungere fenomeni come il venire meno di eclatanti stagioni di spettacoli di corte o l'aumento degli spettatori stranieri che percorrevano l'Europa per il cosiddetto Grand Tour, ma anche per affari, politica, ragioni militari. Le accademie erano una realtà socioculturale ed economica in grado di accogliere (e produrre) l'ondata delle mode e quindi gestire una pletora di personaggi tra i più disparati e una quantità di controversie e relazioni con banche, notai, artigiani, impresari, artisti ecc.

Il 'fenomeno' è sensibilmente avvertibile a partire dagli anni Cinquanta del secolo, vero giro di boa per l'opera buffa italiana che vede il diffondersi capillare del nuovo genere drammaturgico-musicale e il progressivo incrementarsi delle specificazioni del ruolo nei 'cartelloni librettistici', cioè nelle liste degli interpreti riportate in quello strano oggetto - a metà strada tra il programma di sala, il testo e, in casi particolari, il copione e il testo consuntivo - che è il libretto d'opera. Di lì in poi sui libretti sempre più di frequente vengono citati i ruoli di appartenenza: prima buffa, primo buffo caricato, seconda buffa e così via: specificazioni non riscontrabili in forma esplicita negli anni precedenti.

L'opera buffa possedeva una definita, anche se varia, tipologia drammaturgica (parti, convenienze, trame, musica e variazioni sulle medesime ecc.) che veniva ripetuta, duplicata, alterata, trasformata per essere adattata sia alle abilità degli attori, sia alle specifiche del ruolo, sia, infine, ai gusti del publico o alle necessità lavorative di qualche frettoloso musicista o librettista.

Il termine convenienze definisce quanto spettava, in termini di arie e scene, a un ruolo: una prima buffa aveva le sue spettanze, cioè doveva avere una certo tipo di arie e duetti, così come il primo buffo doveva avere le 'sue' convenienze. Le 'smanie' per le convenienze dettero origine anche a testi metateatrali satirici come quelli, famosi, del Sografi, Le convenienze teatrali e Le inconvenienze teatrali da cui furono tratte numerose versioni librettistiche musicate, tra gli altri, da Gaetano Donizetti e da Cimarosa.

Ci troviamo in un universo formato da attori-cantanti, impresari, librettisti, compositori, artigiani e maestranze varie totalmente immerso in una competizione commerciale. Quasi tutti i teatri d'Europa, ad eccezione di alcuni tra quelli reali e aristocratici, erano sotto uno rigido regime di 'liberismo' economico. Un complesso circuito di teatri maggiori o 'minori' smaltiva ogni anno centinaia di 'novità' ed era dominato da frenetiche, quasi caotiche e sovrabbondanti a volte, produzione e competizione mercantile. La drammaturgia, le parti buffe, le arie, le scene erano tutti elementi giustapposti in uno schema formalizzato in parte conosciuto e riconoscibile dal pubblico italiano, soprattutto, ed europeo, in misura minore. Dato non secondario: era condiviso uno stesso lingaggio, l'italiano, uno dei software più diffusi del mercato dell'opera del '700, insieme, ovviamente, all'ancor più universale lingua della musica.

Non piccola parte di questa drammaturgia venne presa in prestito dall'esperienza 'viaggiante' della Commedia dell'Arte (vd. qui il saggio di Siro Ferrone) che aveva costruito e sviluppato la sua struttura 'testuale-performativa' anche basandosi su differenti ma armonici schemi-soggetti (che includevano dialetti e lingua franca) consentendo così alla drammaturgia di essere variamente composta onde consentire alle troupes di intraprendere il viaggio-torunée per recitare in luoghi diversi, davanti a pubblici eterogenei.

Questo genoma, propagatosi precocemente per l'Europa del Seicento, associato alla contemporanea nascita dell'opera (seria) contribuì a creare un condiviso sistema teatrale europeo fatto di impresari, teatri, corrispondenti e agenti teatrali, attori-cantanti, drammaturghi e altre figure professionali che, certo, crebbe secondo diverse e anche originali forme nazionali ma in parte condivise una comune piattaforma. In molte occasioni, inoltre, la rappresentazione avveniva in teatri cosiddetti all'italiana (con una struttura gerarchica a palchetti laterali) o che a quel modello e a quella nazione intendevano riferirsi imitandola ed evocandola.

Una categoria, quasi una gilda, di attori-cantanti altamente specializzati fu l'assolutamente necessario motore umano di questo meccanismo spettacolare drammaturgico detto opera buffa; attori-cantanti che percorsero l'Europa giungendo negli angoli allora più remoti: Malta, le pianure polacche, la S. Pietroburgo di Caterina la Grande o il Portogallo. Possiamo anche aggiungere che il XVIII secolo, per una sua nuova vitalità commerciale, esigeva ritmi da produzione mirata. Anche questo contribuì al prodursi della più alta concentrazione di intersezioni tra abilità performative-interpretive e composizione del testo: il risultato doveva essere sicuro, rapido, efficace e, dunque, gli 'strumenti' (testo e attori) dovevano accordarsi in precedenza. Una dittatura dell'interprete che l'Ottocento s'illuse di sostituire con la dittatura dell'autore e il Novecento con la regia 'teocratica'.

Man mano che la produzione s'incrementa, la concorrenza diviene più agguerrita per la saturazione del mercato. Parallelamente aumentano le sottoclassificazioni dei ruoli. Inizialmente, quando cominciano a comparire nelle locandine librettistriche, le specificazioni sono semplici, scarsamente differenziate: per i ruoli femminili, prima buffa ('al limite' prima buffa assoluta) o seconda buffa, nelle parti maschili primo buffo, buffo o buffo caricato e poco più. Nel proseguio del secolo le differenziazioni, le sottoclassificazioni, indice anche di un tentativo di distinzione e preservazione di un'identità professionale dell'interprete all'interno di compagini sempre più frammentate, aumentano e in certi casi quasi si sovrappongono. Nell' Apparenza inganna o sia La Villegiatura (libretto di Giambattista Lorenzi, musica di Domenico Cimarosa, Napoli, teatro dei Fiorentini, primavera 1784), ad esempio, troviamo il ruolo di prima buffa toscana sostenuto da Celeste Coltellini (il 'vertice' di quella locandina librettistica) cui si aggiunge Lucia Trabalza (appartenente a una famiglia di interpreti buffi originari di Foligno ma principalmente attivi a Napoli) come prima donna giocosa, un gradino sotto nella bizzosa scaletta ruolistica del cartelloncino a stampa. Dallo stesso ambiente napoletano proviene anche un'interessante notizia documentaria circa un'altra prima donna giocosa e di una sua disavventura giudiziaria: Teresa Cenni, probabilmente toscana, di cui abbiamo notizie librettistiche tra il 1789 e il '92 nel centro-nord. Il documento arricchisce le notizie su questa 'piccola' interprete:

...l'impresario del Nuovo [di Napoli] chiede che venga arrestata la prima donna giocosa Teresa Cenni, fuggita in Toscana, benchè impegnata fino al Carnevale del 1796 Archivio di Stato di Napoli, Tribunali Antichi, vol. 1312, 3 luglio 1795, c. 93v. (documentato riportato in Le fonti d’archivio per la storia della musica a Napoli dal XVI al XVIII secolo, a cura di Paologiovanni Maione, Napoli, Editoriale Scientifica, 2002, p. 484 n. 29).

Insieme a nome e cognome l'impresario napoletano specifica il ruolo della cantante, anzi della merce: prima donna giocosa, questo il marchio dell'oggetto trafugato, anzi... fuggito.

Se i centri maggiori - Venezia, Roma, Firenze, Napoli, ma anche Torino, Bologna, Palermo, Genova (cui bisognerebbe aggiungere almeno Vienna, Londra, Lisbona, Parigi, S. Pietroburgo e Madrid) - sono i naturali poli d'attrazione per attori, musicisti, compagnie e impresari (nelle diverse articolazioni legislative e nelle diverse condizioni nazional-territoriali), tuttavia si può affermare che il collettore principale di un'offerta ipertrofica di repertorio e di interpreti è rappresentato dai centri 'minori' in particolare dell'Italia del centro-nord. Città come Lucca, Siena, Pisa e Livorno, piuttosto che Bergamo, Brescia, Lodi sono altrettanti gangli di quell'esteso tessuto connettivo accademico-teatrale che permette la capillare diffusione dell'opera comica in Italia.

Diverse compagnie si formano ad hoc per il 'giro in provincia' che toccherà due, tre o quattro teatrini durante una o più stagioni e avranno in repertorio non di rado solo una o due opere. Crescono sensibilmente quelle che definirei compagnie 'geomescidate', formazioni in cui, accordandosi anche alle caratteristiche locali della destinazione, veniva sapientemente o casualmente, calibrata la compresenza di interpreti del centro (Lazio, Toscana, Umbria, Marche), del nord (Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia) o del sud (quasi esclusivamente Napoli). Si creano così dei veri e propri marchi 'geoprofessionali', in cui i buffi più ricercati sono quelli laziali, toscani e napoletani (le patenti linguistiche ma direi 'il problema della lingua' tout court rappresentano un elemento essenziale, in cui lo sviluppo del mercato, la drammaturgia goldoniana e un gruppo di interpreti di alto livello hanno un ruolo chiave).

La merce viaggiante

L'esportazione non prescinde da un'organizzazione del trasporto delle merci: esse vanno coscienziosamente imballate, etichettate in modo da renderle facilmente trasportabili, riconoscibili e rintracciabili da corrieri e clienti finali. Le merci inoltre vengono esportate sovente come 'prodotti coloniali': il caffè della Costa d'Avorio può essere la stessa cosa del buffo di Napoli o di Roma (il marchio di provenienza, inoltre, tutela cliente e merce). La 'spedizione' è indirizzata verso i più disparati mercati. Parafrasando, potremmo dire che siamo in presenza di una merce viaggiante che, come tutte le merci, è sottoposta a vincoli, concorrenze leali o sleali, apertura o chiusura dei mercati, divieti, sequestri, furti. Questa merce viaggiante è composta da diversi oggetti: un collo da esportazione ha un nucleo merceologico costituito da uno o più interpreti buffi (a volte con appeal da prodotto coloniale del genere buffo napoletano), da una drammaturgia (più o meno forte ma di richiamo almeno nel titolo e nel sottotitolo dell'opera) e da una proposta musicale altrettanto forte e soprattutto alla moda: la dicitura "Musiche del celebre *** Maestro di cappella napolitano" diviene canonica anche se spesso, Pergolesi docet, questi maestri di cappella di napoletano avevano poco o nulla anagraficamente parlando.

La merce è composta da un assemblaggio di altre merci a loro volta itineranti: lo è la drammaturgia, cioè il libretto e le musiche, che per sua natura è mobile, trasferibile, rubabile anche in quanto oggetto (testo a stampa e/o manoscritto) che si muove di città in città spesso in qualche baule di attore, attrice o impresario, o nella borsa di un viaggiatore, diplomatico o intellettuale che sia. L'attore viaggia anch'esso, ché il viaggio è il destino anche di questi interpreti e di questi repertori, anche se ci sono buffi che, come il bolognese Gioacchino Corrado, non si spostano quasi mai da una città e migrano semplicemente da un teatro all'altro, nel caso specifico di Napoli, dove esistono generazioni di interpreti che non hanno mai abbandonato il 'circuito del golfo'.

La drammaturgia viene spesso scomposta e ricomposta a seconda delle occasioni, degli interpreti, dell'investimento economico per lo spettacolo, fino a diventare sovente un pastiche "con musiche dei più celebri maestri cappella napolitani", un libretto geneticamente modificato, con note e parole aggiustate per il pubblico e gli interpreti dell'occasione, dando origine, a volte, alle più improbabili e chimeriche mescidanze drammaturgiche.

Il mercato di questa merce viaggiante andava - per una serie di ragioni non ultima la diffusione teatrale dell'italiano in Europa (oltre i viaggiatori che in Italia venivano anche per il teatro; l'espansione dell'editoria; la diaspora di compositori e interpreti; l'inizio di interventi migliorativi ed estensivi sulla rete viaria e fluviale) - dal Portogallo alla Russia, da Dublino a Durazzo, da Messina a Copenaghen. Che il fenomeno fosse percepito come europeo è riscontrabile anche dall'Indice de' teatrali spettacoli, pubblicazione preziosa che dà conto (non esaurientemente ma in modo eccezionale per l'epoca) attraverso vari 'corrispondenti' di notizie delle compagnie d'opera, per lo più italiane, e della loro capillare e itinerante presenza continentale nei secoli XVIII-XIX.

Tutto è smontabile, ricomponibile, rivendibile, riciclabile e rubabile; ogni compagnia (e aggiungerei anche ogni teatro) doveva avere la propria 'dotazione buffa', ma anche i pezzi di ricambio - umani e non - pronti in caso di necessità. Ma anche una 'dotazione seria', come risulta dall'Indice citato, in cui non di rado si trovano compagnie con due cast, a volte intercambiabili: uno per il repertorio serio, uno per quello buffo.

La merce viaggiante è sia debole che forte. Debole in quanto i legami che tengono insieme gli elementi di questo meccanismo drammaturigico-musicale sono labili, facilmente scindibili per ricomporsi in altre unità-troupes. Forte in quanto il sistema è costantemente ricompattato dalle necessità e dagli obblighi imposti dalla tournée, dalla concorrenza, dalla cornucopia di novità (o sedicenti tali), dalla chicane delle mode, dalla compatibilità con gli altri membri della troupe, dalle esigenze economiche e da quelle quotidiane: circostanze cui bisogna dare un'adeguata risposta per sopravvivere, almeno professionalmente.

In un sistema così, in cui pressoché ogni 'molecola' si scompone e ricompone costantemente e freneticamente, il cantante può difendersi o con l'unicità professionale (una grandissimo primo buffo, una grandissima prima buffa, un eccezionale buffo napoletano e così via) o con la costituzione di una più stabile molecola familiare, non raramente impresariale-familiare, che rappresenti un'isola di maggiore solidità nella vertigine di una competizione inframezzata da stazioni di posta e locande a buon mercato. Da altro punto di vista si può dire che i ranghi tendono a restare serrati anche in occasione di ampliamenti dell'offerta e della domanda.

Tralasciando l'aspetto antropologico che il perdurare della coppia buffa rappresenta per la storia dello spettacolo, la certezza di un nucleo relativamente solido e stabile su cui poter contare ben si associa alle necessità e ai rischi imposti da un mercato vivacemente competitivo. Se in generale nel passato, anche recente, il tramandarsi dei mestieri come necessità sociale è un dato forte, tuttavia questo aspetto è qui da tenere in secondo piano per privilegiare, invece, il versante economico-professionale. Un nucleo familiare di base disponeva di un bagaglio artistico-professionale automaticamente doppio rispetto a quello di un singolo interprete e poteva, inoltre, contare sulla divisione delle spese, su una drammaturgia in parte ancora sensibile alla strutturazione per coppie, su un mercato ancora accogliente verso (mutati) intermezzi buffi, sul rappresentare una convenienza per lo scritturante.

Va detto che l'accezione 'familiare' non è l'unica: l'incontro esclusivamente professionale tipico della coppia di buffi settecentesca (si vedano in proposito gli studi di Franco Piperno dedicati a queste formazioni professionali), permane. Non è affatto trascurabile, tuttavia, il dato fornito da parentele e/o consanguineità. Il fenomeno balza agli occhi scorrendo le locandine librettistiche. Non casualmente, quindi, troviamo frequentemente cantanti come Caterina Brogi poi Brogi Pertici, o Anna Lucia de Amicis che faceva compagnia insieme al padre Domenico e, in casi più rari, con i fratelli. Tranne poche eccezioni, i buffi maggiori del secolo si unirono in matrimonio con eccellenti colleghe buffe con cui recitavano prima e dopo gli sponsali.

In definitiva, ciò che sembra emergere è che l'unione (benedetta da Imeneo o da Hermes) fa la forza. Intere compagnie-famiglia come ad esempio quella Bassi di Napoli avevano a capo dei genitori mandavano in scena figli e figlie (Nicola e Carolina divennero celebri) come "giovani virtuosi napoletani", cioè enfants prodige (fenomeno peculiarmente settecentesco) dell'opera buffa con un repertorio drammaturgicamente variegato (dai drammi sacri alla "commedia per musica") e un ampio ventaglio di ruoli, anche 'impresariali'; oppure il caso della famiglia di Francesco Baglioni (vd. multimedia) uno dei più importanti primi buffi del secolo che si muoveva con le figlie (che si distinsero anche come prime buffe e non rinunciarono mai all'aggregazione 'parentale' tanto che le ritroviamo quasi sempre insieme, oltre ad aver dato origine ad altri nuclei familiari 'buffi'); o casi come quello citato di Domenico de Amicis che fece strategicamente debuttare la figlia Anna Lucia in Toscana per poi 'portare in compagnia' anche l'altra figlia (Marianna) e il figlio Gaetano, oltre alla moglie Rosalba e a sodali vari, dandosi prima al tour europeo per poi tornare in patria, mentre la figlia prediletta Anna Lucia era ormai entrata nell'empireo delle prime donne dell'opera seria dando origine a un interessante rapporto artistico dalle sfumate ma sensibili ricadute nella drammaturgia operistica di Wolfgang A. Mozart che conobbe la cantante da adolescente in occasione del suo Lucio Silla milanese (Milano, teatro Ducale, carnevale 1772; la De Amicis interpretò Giunia).

Non di rado queste famiglie, essendo simili a ditte, coprivano anche il versante impresariale tanto che si può parlare, in alcuni casi, di una vera e propria tipologia di famiglia impresaria dell'opera comica settecentesca, segnatamente italiana. La 'conduzione familiare' vive ancor'oggi in Italia forse più che in altri paesi dell'Occidente industrializzato anche nell'evoluzione delle arti e dei mestieri nella piccola e media impresa toscana, emiliana, veneta, marchigiana soprattutto. Un piccola e media impresa 'artigianale' che, sbiaditissima in filigrana, affiora già nel turbinio impresariale, artistico, professionale e nell'indotto di mestieri che il teatro chiamava a sé (fabbri, falegnami, ceraiuoli, fornai, vinai, locandieri, facchini ecc.) cui contribuiva in misura non piccola l'opera buffa seriale dal listino prezzi variegato.

Il 'sistema' dei ruoli

Cosa intendiamo per sistema dei ruoli nel teatro comico musicale italiano del Settecento? Possiamo partire da una definizione data nel Dizionario Enciclopedico Italiano:

In senso ampio, complesso di elementi materiali, collegati in qualche modo tra loro o interdipendenti, in modo da formare un tutto organico, soggetto per lo più a determinate leggi.

Sostituendo strategicamente alcune parole si potrebbe definire così definire il sistema dei ruoli nel teatro comico musicale italiano settecentesco:

In senso ampio, una categoria di attori-cantanti accomunati da una specifica qualifica professionale, collegati e interdipendenti tra loro in modo da costituire, tra la metà del XVIII e gli inizi del xix secolo, compagnie teatrali organiche e soggette a determinate leggi di mercato e artistico-professionali;

che bisogna correggere subito in:

In senso ampio, una categoria di attori-cantanti, accomunati da una specifica seppur variabile e permutabile qualifica professionale, collegati e interdipendenti tra loro in modo da costituire, tra la metà del XVIII e gli inizi del XIX secolo, compagnie teatrali organiche, soggette a determinate leggi di mercato e artistico-professionali.

L'aggiunta di "seppur variabile e permutabile" è d'obbligo in quanto che gli interpreti non rimanevano legati al medesimo ruolo spesso neppure nel corso di una stessa stagione. Anna Lucia de Amicis inizia la carriera poco più che ragazza come prima buffa e la conclude da prima donna dell'opera seria, come abbiamo visto. Pietro Pertici inizia la carriera forse da ragazzino (16-19 anni circa) come "Faustolo" nella Silvia (Foligno, 1723), poi prosegue specializzandosi nei ruoli di vecchio (ma non esclusivamente) e la conclude come impresario del teatro del Cocomero di Firenze e attore di prosa, divenendo l'interprete 'ideale' delle commedie di Goldoni. Pertici è artista emblematico dell'epoca d'oro dell'opera buffa e del suo sistema dei ruoli (dal 1750 circa alla fine del secolo, con 'sforamenti' nel successivo XIX); un 'campione' così singolare e di alto livello - e di cui, inoltre, rimane cospicua messe di documenti (sia drammaturgici, sia d'archivio) - da richiedere un capitolo interamente a lui dedicato.

La definizione non è ancora completa; infatti, essa va integrata:

Si intende, in senso ampio, per sistema dei ruoli nel teatro d'opera comico italiano del Settecento una categoria di attori-cantanti, accomunati da una specifica seppur variabile e permutabile qualifica professionale, collegati e interdipendenti tra loro in modo da costituire, tra la metà del XVIII e gli inizi del xix secolo, compagnie teatrali organiche, soggette a determinate leggi di mercato e artistico-professionali e in grado di proporre un repertorio drammaturgico-musicale dalle comuni e condivisibili caratteristiche generali.

L'integrazione apportata è in realtà un concetto operativo: senza una comune piattaforma drammaturgico-musicale non si darebbero le condizioni 'armoniche' per cui attori-cantanti, accomunati da una specifica seppur talvolta variabile e permutabile qualifica professionale, sono collegati e interdipendenti tra loro in modo da costituire compagnie teatrali organiche soggette a determinate leggi di mercato e artistico-professionali. Ribaltando i fattori si verifica, per via logico-sintattica, la definizione. Ma un'ulteriore aggiunta deve essere fatta ed è:

Si intende, in senso ampio, per sistema dei ruoli nel teatro d'opera italiano del Settecento una categoria di attori-cantanti, accomunati da una specifica seppur variabile e permutabile qualifica professionale (primi buffi e prime buffe, buffi caricati, buffi toscani o napoletani, mezzi caratteri, secondi buffi e seconde buffe ecc.), collegati e interdipendenti tra loro in modo da costituire, tra la metà del XVIII e gli inizi del xix secolo, compagnie teatrali organiche, soggette a determinate leggi di mercato e artistico-professionali in grado di proporre un repertorio drammaturgico-musicale dalle comuni e condivisibili caratteristiche generali all'interno di una sovrastruttura economica, culturale, linguistica, urbanistica, editoriale e teatrale, nazionale e/o continentale, diffusa e percorsa da una capillare rete di trasporti per le merci e le persone.

Con la doverosa inclusione delle qualifiche professionali (primo buffo ecc.), è più sensibile l'alto grado di condivisibilità di questa definizione con altri ambiti dello spettacolo, primo tra tutti quello della Commedia dell'Arte. Ciò consente di affermare che il sistema dei ruoli nel teatro comico musicale italiano esiste perché si comporta in larga parte come altri 'sistemi' o da altri ha mutuato comportamenti e strategie risultato di una precedente, costante, superiore influenza del sistema teatrale europeo generatosi come fenomeno urbano e periferico tra la metà del XVI e quella del successivo XVII secolo. Integro, dunque, con:

Si intende, in senso ampio, per sistema dei ruoli nel teatro d'opera italiano del Settecento una categoria di attori-cantanti, accomunati da una specifica seppur variabile e permutabile qualifica professionale (primi buffi e prime buffe, buffi caricati, buffi toscani o napoletani, mezzi caratteri, secondi buffi e seconde buffe, secondi mezzi caratteri), collegati e interdipendenti tra loro in modo da costituire, tra la metà del XVIII e gli inizi del XIX secolo, compagnie teatrali organiche, soggette a determinate leggi di mercato e artistico-professionali e in grado di proporre un repertorio drammaturgico-musicale dalle comuni, condivise e condivisibili caratteristiche generali all'interno di un pre-esistente ma dinamico ecosistema (o sovrastruttura) culturale, linguistico, economico, urbanistico, editoriale e teatrale, nazionale e/o continentale, diffuso e percorso da una capillare rete di trasporti per le merci e le persone.

Ma come poteva generarsi un sistema dei ruoli nell'opera comica all'interno di una rete che coinvolge un sistema 'teatrale' europeo, pre-esistente e dinamico, cioè con diverse declinazioni e in evoluzione artistica, economica e sociale? È proprio grazie al loro specifico 'comico' che i ruoli dell'opera buffa si inseriscono nel sistema diventandone una sorta di sottosistema. Ed è anche grazie all'esistenta di una rete europea di teatri che si determina la necessità di un sistema di ruoli, seppur flessibile, che consenta una condivisa e rapida operatività in un mercato vasto ed eterogeneo.

Osservando formazioni e repertori nel catalogo dei libretti a stampa di Claudio Sartori, si ha l'impressione, a partire dalla metà del XVIII secolo, di trovarci di fronte a un acceleratore di particelle: le compagnie, le parti, i ruoli, la drammaturgia musicale, gli interpreti si scontrano l'uno con l'altra, si scindono, si ricompongono, mutano, variano, si conservano, si dissolvono. Nel corso del secolo il movimento caotico va, dopo la parentesi della farsa, lentamente spegnendosi, producendo solo qualche stanco e routinario esempio.



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