Intervista a Augusto Vismara

A cura di Marilena Rea
Con una prefazione di Antonio Trudu

Roma, Queen Kristianka Edizioni, 2021, 105 pp., euro 15,00
ISBN 9788894609431

Data di pubblicazione su web 26/08/2024

La copertina

«Ha un senso fare musica mentre la città brucia?» (p. 5). Questa domanda in un certo qual modo apre il libro intervista al maestro Augusto Vismara, uno dei maggiori interpreti del repertorio per viola (suo strumento d'elezione) sia classico che contemporaneo. La domanda fu posta da Luciano Berio ad alcuni grandi compositori del Novecento (Dallapiccola, Nono, Boulez, Messiaen et al.) in un programma radio-RAI da lui ideato e condotto negli anni Settanta: C'è musica e musica. Vismara, allora giovanissimo musicista-studente del Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze, partecipò al programma, insieme a uno studente americano della Julliard School di New York City.

Per i casi della storia, la domanda ha una estrema (e triste) validità nel nostro tempo: guerre, antisemitismo (mai sopito e ora rinvigorito ad arte e vestito di varie casacche), migrazioni epocali, nuove e antiche forme di razzismo ecc. Dice Vismara: «Già il fatto di porsi una domanda in questi termini dà la misura della forza degli avvenimenti in corso» (p. 19). Ed erano i tempi del Vietnam, di varie forze e istanze rivoluzionarie o reazionarie, l'epoca del Congo e della drammatica transizione post-coloniale, ma pure il tempo di una delle più profonde rivoluzioni artistiche e musicali dovuta anche alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, per altro indagate tra i primi proprio da Luigi Nono in collaborazione con una RAI ancora “civile”.

Data questa sòrta di incipit comprendiamo che Vismara era immerso attivamente in quel clima politico (come militante comunista, dentro il o fuori dal partito, e per un periodo è stato anche segretario della sezione del PCI di Mantignano-Ugnano, quartieri periferici e popolari di Firenze). Un impegno che non trascese la musica ma anzi la mise in contatto con certe realtà sociali, politiche e artistiche del tempo. Un impegno musicale-organizzativo e didattico (docente principale di viola al conservatorio di Firenze) che in varie forme Vismara non ha mai cessato di perseguire, anche attraverso una costante ricerca del repertorio musicale che lo porta a presentare compositori di una letteratura dimenticata. Penso, per il passato, alla “restituzione” di Alessandro Rolla (Pavia 1757-Milano 1841), violinista, compositore, coevo di Paganini (con cui fu in stretti rapporti), e per l'oggi (col Quartetto di Catania da lui fondato) all'esecuzione-riscoperta del repertorio per quartetto d'archi di compositori come Salvatore Pappalardo (1817-1884), Pietro Platania (1828-1907) – oggi completamente dimenticati ma protagonisti, e di valore, della vita musicale del loro tempo nonché fecondi maestri di tanti musicisti – o Giovanni Pacini (1796-1867) del quale si conosce (e non quanto si dovrebbe) solo la produzione operistica.

Un episodio giovanile rende bene l'idea di una consapevolezza politica legata alla musica. Una tournée negli Stati Uniti nel periodo delle rivolte degli afroamericani. E qui si vede l'importanza del “sentire” la storia ma anche il pubblico: «Quelle tournée erano curiose, vive, non patinate come quelle che si fanno oggi» (p. 18). Con i proventi di quella tournée giovanile Vismara, risparmiando su tutto e dormendo anche nelle aree meno sicure di città non proprio pacifiche (come Detroit), voleva creare una comune anarchica a Firenze. Da dire che dal 1848 in poi se i giovani non fanno la rivoluzione non sono dei giovani seri.



Veniamo alle origini. La nonna paterna era di Odessa, dove la famiglia era prominente «tanto che regalarono alla città il primo circo stabile della Russia in muratura (il primo circo stabile d'Europa, tra l'altro, che esiste tutt'oggi)». La famiglia lascia numerose altre donazioni (attestate da vari documenti) a scuole e ospedali e per la realizzazione di un monumento a Pushkin. L'antico cognome è di origine ebraica odessita (Sanzenbacher). La nonna paterna a diciassette anni venne in Italia dopo lo scoppio della rivoluzione d'Ottobre. In Italia conobbe un tale Vismara… e la storia va molto avanti, ovviamente. Va notato, per chi non lo sapesse, che per un violinista, violista o violoncellista avere origini odessite è importante dato che alcuni tra i più grandi esecutori di questi strumenti provengono da famiglie ebraiche di quella città (pars pro toto: David Oistrach, ebreo di Odessa).

Potremmo definire, con qualche libertà, questo libro-intervista un sinestetico affresco musicale in cui l'esecutore (un po' violista alla Chagall aggiornato) vola col suo strumento sopra (e attraverso) avvenimenti storici e artistici importantissimi che si svolgono dagli USA all'URSS, passando per il resto del mondo.

Il maestro, gli allievi e gli altri. Domanda: «Che rapporto c'è tra l'artista e gli altri, o meglio tra l'artista e la folla?». Risposta: «Non c'è nessun rapporto con la folla o la massa. Si può solo avere un rapporto tra singoli, tra un musicista e l'altro, tra un allievo e un maestro» (p. 25).

Vismara aggiunge qualcosa di molto importante riguardo a questo rapporto artista-altro, ma soprattutto artista-composizione musicale: «Con la realizzazione artistica si compie una comunicazione che va al di là della mera espressione dell'esistere del musicista. Chi suona, quindi, deve essere in grado, attraverso l'oggetto-strumento, di interpretare le partiture, le musiche scritte, non solo in senso storico. Faccio un esempio: Il Quartetto Italiano, nella Canzona di ringraziamento dell'Opera 132 di Beethoven, usa uno splendido non vibrato per rendere la coralità e l'afflato di un Adagio ispiratissimo, nel quale l'individualità delle parti è pensata in un insieme di accordo totale. Questa non è sicuramente un'idea compiacente nei confronti di una lettura filologica, ma è l'esempio perfetto di cosa sia l'interpretazione: è ciò che si porge al pubblico, agli altri, è una lettura la cui importanza va di pari passo con l'approfondimento, va oltre la semplice esibizione o il semplice solleticare le aspettative del pubblico» (pp. 25-26).

Rapporto tra singoli artisti: «…i rapporti tra musicisti, al tempo [anni Sessanta-Settanta, ndr.], erano di tipo individuale e molto forti [Vismara è stato allievo di Piero Farulli (Firenze 1920 – Fiesole 2012), viola del Quartetto italiano e fondatore della Scuola di musica di Fiesole, ndr], a differenza di oggi per cui l'allargamento della platea ha cambiato anche il rapporto tra professore e allievo: l'uditorio si è allargato a tal punto che ci ritroviamo a imbarcare chiunque, sia nelle file dei docenti, sia in quelle degli allievi. All'epoca di cui parlo, invece, essendoci numeri di gran lunga inferiori, gli insegnanti del Conservatorio erano per la gran parte dei nomi importantissimi, internazionali. Insomma, artisti storici, mitici, che noi allievi, soltanto guardandoli, imparavamo a suonare. È ovviamente una semplificazione, ma davvero, soltanto andando ai loro concerti potevamo avere il sentore, intuire degli atteggiamenti che poi introiettavamo. Mi piacerebbe approfondire il rapporto tra gesto e risultato sonoro, ma qui basti dire che solo con una disciplina ferrea, e soltanto attraverso questa, si possono perseguire risultati degni» (p. 26). E ancora: «Anche gli atteggiamenti diventano musica, perché la musica altro non è che un argomentare la vita umana con dei suoni» (p. 27, corsivo mio).

Non posso citare e forse nemmeno riassumere qui tutte le riflessioni, spiegazioni, analisi musicali espresse in questo libro-intervista, altrimenti, visto che sono tutte di estremo interesse e forniscono pregevoli commenti e osservazioni artistico-esecutive (senza dimenticare la politica), ne risulterebbe una trascrizione quasi totale del volume stesso. Da queste poche citazioni spero che il lettore e la lettrice comprendano che siamo in presenza di una miniera mnemonico-artistica che abbraccia un ampio periodo storico (cinquant'anni circa) e una storia dell'esecuzione musicale di importanza rilevante. E dobbiamo immaginarci pagine e parole attraversate dall'elemento che fonda la musica: il suono, la cui qualità (distintiva dell'interprete aiutato dallo strumento) è forse la cosa più difficile da ottenere per un musicista esecutore.

I moltissimi ricordi, le esperienze, gli artisti conosciuti o solo incrociati sono affascinanti e istruttivi. Memorabile l'incontro con Rostropovič (1927-2007) insieme a Franco Rossi (Venezia 1921-Firenze 2006, violoncello del Quartetto italiano) nei corridoi del Conservatorio di Mosca. Il grande violoncellista russo era seguito dai «soliti energumeni» del KGB perché era in odore di “eresia” per aver ospitato nella sua dacia il Nobel Aleksandr Solzhenitsyn (1918-2008). Imperdibili i tic dei grandi maestri (divertenti e parte di un certo discorso musicale) e molti altri aneddoti che, tuttavia, non diventano mai retorico compiacimento nostalgico, ma invece ricostruiscono un mondo di studi, tournées, cambiamenti, relazioni intellettuali, artistiche e pedagogiche che la narrazione rende vivo e vitale ancor oggi essendo questo “teatro della memoria” messo a disposizione dei lettori.

Molte storie sono legate all'URSS che Vismara, come molti comunisti italiani (e non solo), pensava, prima di andarci, fosse il paradiso in terra. Ovvio che non era esattamente così ma per certa musica, per certo rigore educativo musicale forse sì (coinvolgente anche la parte sui manoscritti dei dissidenti russi che si allarga alla storia non solo musicale di quel paese).



Tra gli incontri, fondamentale (oltre al maestro Farulli), quello con Sylvano Bussotti (Firenze 1931-Milano 2021), presenza costante (anche con composizioni dedicate al violista) nella vita artistica e personale di Vismara e uno dei grandi compositori (e artisti tout court) del XX e XXI secolo. Ma da ricordare anche le collaborazioni e l'amicizia con maestri come Sinopoli, Abbado, Muti, e con compositori (che hanno scritto per lui) come Pennisi, Incardona, Gentile, Donatoni, Panni, ecc. Oltre alle numerosissime collaborazioni cameristiche con celebri esecutori, tra cui desidero “segnalare” il grande violinista Ruggero Ricci (San Francisco 1918-Palm Springs 2012) per l'imperdibile episodio “mascherato”: leggere per credere, e per capire quando Vismara afferma che anche gli «atteggiamenti» dei grandi artisti sono lezione, sono arte.

Desidero concludere questa recensione breve e purtroppo “eseguita” solo per pochi loci selecti (intesi a invogliare una lettura completa di questo ricco libro) con una conversazione-intervista (inedita e non presente nel volume, speriamo sia pubblicata presto) tra Bussotti e Vismara, una delle ultime per l'autore di Lorenzaccio e Bergkristall. Chiede (cito a memoria) il compositore: «Augusto, ma come fai a tirare fuori quei suoni meravigliosi?!». Risponde l'esecutore: «Esattamente non lo so. È qualcosa che mi viene da dentro». Certo (se lo dice Vismara!), ma per trasmettere a noi quel suono «che mi viene da dentro» c'è, come dice il maestro, studio rigoroso, colto e non banale (letteratura musicale, contesto, tradizione esecutiva ecc. e cultura in generale), disciplina ferrea, rapporto con l'oggetto-strumento ma, come traspare dalle risposte, ci sono anche incontri significativi e “occasioni” artisticamente importanti che l'artista (giovane o meno) deve riuscire a vedere, anzi deve riconoscere. Ultima domanda: «Ti senti tante personalità o ti senti unico?»

«Per carità, non mi sento assolutamente niente. Sono fatto così per natura. Non mi sento assolutamente niente. Quello che faccio, lo faccio con consapevolezza e voglia di fare: quindi voglio e devo fare tutto quello che faccio. Se poi ciò che produco è significativo, non sta a me deciderlo. Se invece ciò che produco non è importante, va benissimo lo stesso, anzi, vuol dire che concorre a un insieme per cui poi, un giorno, uscirà qualche altra cosa di unico. Stabilire se si è unici o no mi sembra un discorso assurdo» (p. 104).

Come dicevo, per le strane intersezioni e ripetizioni della storia, questo libro-intervista ci porta in mondi politico-artistici che ci fanno incontrare personaggi che hanno fatto epoca, oltre a percorrere sentieri dell'arte rari e fondamentali anche e ancora per noi di “oggi”. Nota bene: non ci sono pensieri consolatori riguardo al passato, quanto piuttosto una ricognizione non superficiale legata alla musica, con particolare, ma non esclusiva, attenzione alla musica contemporanea per sua natura in stretta relazione con la politica.

Dunque viaggiamo da Detroit a Mosca, da Firenze a Odessa passando per conservatori, orchestre, gruppi da camera e sale da concerto di mezzo mondo nel corso di significativi cambiamenti politici, sociali e artistici. La lettura è molto raccomandata non solo a un pubblico “generale” ma soprattutto ai giovani musicisti che vi troveranno grande talento, passione, insegnamenti, ricordi preziosi, gioia di vivere la vita e la musica (e anche la politica) e studio rigoroso. Bussotti diceva del violino: «Le vedi le due S? Vogliono dire Studia Sempre!».



Gianni Cicali, Georgetown University

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