Stefano Mazzoni
Europa in festa. Lo spettacolo dal Cinquecento all’Ottocento


Firenze, Polistampa, 2024, 784 pp., 40,00 euro
ISBN 978-88-596-2143-0

Data di pubblicazione su web 17/06/2024

La copertina

Iniziato prima della pandemia, portato avanti durante questa e finito nel maggio del 2022, il volume risponde alle esigenze di uno studioso che ha voluto mettere a frutto il confronto di un fitto numero di componenti, tra le quali: la profonda conoscenza degli argomenti, il sapere contenuto nella sua specialistica, amplia e personalissima biblioteca, i nuovi strumenti di ricerca offerti dal web. 

Alcuni dei capitoli, come quello legato alla corte spagnola di Filippo V e a Farinelli, oppure le pagine dedicate a Livorno, prendono spunto da articoli precedentemente pubblicati ma che qui trovano il loro compimento, interagendo con le dinamiche del gusto, del potere, delle invenzioni del tempo e dello spazio dove si muovono i protagonisti nel mondo della festa in Europa, con i suoi intrecci e i suoi splendori: Farinelli, Mozart, Napoleone, Stendhal, Baccio del Bianco, i Bibbiena, Stefano della Bella, per nominarne solo alcuni e senza voler richiamare qui le casate reali europee committenti e destinatarie dell'Europa in festa. 

Testi dialoganti che si stendono, si arricchiscono, comunicano fra loro con esemplare metodologia, confrontandosi con nuovi inserimenti, con nuovi percorsi, con nuovo materiale fecondato dallo studio e dalla ricerca, ma anche dalle sollecitazioni che il proprio testo genera. 

Questo solido volume, di originale impianto, di puntuale e notevole respiro, svela la perfetta conoscenza dei fatti di cui l'autore si occupa mostrandoci una fondamentale identità tra l'autore e la sua opera. Si ringraziano tutti coloro che hanno collaborato e hanno permesso che il libro venisse pubblicato portando a buon fine l'impegno e la volontà di Stefano Mazzoni.

Firenze, 4 aprile 2024


Riportiamo di seguito parte del “Prologo ed epilogo”. Per ragioni di consultabilità le note sono state omesse.   



Parlare della viva presenza delle culture performative italiane nello spettacolo e nel teatro in età barocca nel vecchio mondo e delle loro parabole nel siècle éclairé significa privilegiare un punto di vista internazionale, comparativo e interculturale, attento agli intrecci di relazioni, scambi, prestiti e canali di comunicazione nell'Europa delle corti e delle città. Città capitali, dominanti e suddite. Un paesaggio di persone e di frontiere. 

Un arazzo che in questo libro ci porterà dal XVII secolo all'età napoleonica sino all'ambiente musicale italiano della prima metà dell'Ottocento e alla «primavera dei popoli»: «il lungo Quarantotto» compreso nel triennio 1846- 1849. Ripercorreremo l'«età della gloria», il Settecento ‘lungo', la fase di transizione dagli stati di Antico regime alle moderne nazioni (e oltre) inevitabilmente lambendo il Nuovo Mondo. Dal Tago al Manzanarre alla Neva, dalla Senna dei Luigi di Francia (nonché dei rivoluzionari e di Napoleone) al Tamigi al Danubio. Sino alla seconda e alla terza Roma (San Pietroburgo, Mosca) e, alle sponde dell'Hudson, la New York «avventurata città» di Lorenzo Da Ponte e dell'imprenditore-impresario Ferdinando Palmo napoletano (di costui si parlerà nel VII e ultimo capitolo). Punto di comunicazione con i centri della cultura europea e, come altre città nord-americane, strategico centro di raccolta di migrazioni interne e flussi immigratori esterni. 

Non per giudicare celebrare denunciare né, tantomeno, per enunciare griglie metodologiche universali preventive valide a tutte le latitudini e per tutte le epoche. Bensì tentando di capire per via di perimetrati esempi utilizzando lo strumento della storia e la storiografia. «Lo storico – in quanto è storico – non deve né giudicare, né assolvere, né condannare: deve spiegare» scriveva Gaetano Salvemini in un libro che ancora ci riguarda per intelligenza storica. 

1. Inseguendo le tracce (le fonti) il sogno della storia (Duby) fa immaginare il tempo extraquotidiano dell'Europa festeggiante. La festa principesca, regale e imperiale, l'effimero metamorfismo urbano e la pratica dell'entrée, punto di arrivo del viaggio di un ospite illustre e contestualmente punto di partenza per un viaggio dinastico; i magniloquenti spettacoli di corte di grande apparato, veicoli propagandistici di celebrazione del potere costellati di prodigi scenotecnici affidati ad architetti-ingegneri. Eventi straordinari ma non per questo meno fondanti sul piano storico se interpretati contestualizzandoli. Nella Firenze dei Medici gli allestimenti seicenteschi di elitari drammi per musica “divinizzanti” erano agganciati a un'accorta politica di alleanze matrimoniali dinastiche e fondati su un tratto saliente dello spettacolo barocco: la tecnologica drammaturgia di macchine. Si pensi poi alle grandiose feste di Versailles descritte dallo storiografo ufficiale di Luigi XIV, André Félibien, per enfatizzare il mito di una nuova solare età dell'oro. O, ancora, alla formidabile presenza teatrale italiana alla corte di Vienna che contribuì a traslare l'egemonia del potere imperiale e a celebrare la dinastia asburgica all'insegna dell'opera in musica. Per non dire della Spagna del Sei-Settecento dagli Asburgo ai Borbone, fulcro di questo lavoro e del dialogo tra Roma e le altre grandi capitali: Londra Parigi Madrid (la «piccola Italia») Torino. 

La Torino della Venaria reale, del Valentino, di Emanuele Tesauro, delle due nuove Diane. Femminile sovranità: Cristina di Francia figlia di Enrico IV e Maria de' Medici, vedova di Vittorio Amedeo I di Savoia, prima madama reale e reggente dal 1637 al 1663; Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours seconda madama reale inizialmente protetta dal re Sole, vedova di Carlo Emanuele II di Savoia, madre distaccata e reggente (1675-1684) ritratta da Laurent Dufour. La città del favorito di Cristina Filippo d'Agliè, delle feste delle madame reali, del messinese Filippo Juvarra. “Regista” di corti e capitali questi morì a Madrid. Servì il primo re sabaudo Vittorio Amedeo II: sovrano lusitano mancato per matrimoniale renitenza alla cugina, suocero di Filippo V di Borbone Spagna, re di Sicilia e poi di Sardegna. Con costui Juvarra ebbe un rapporto senza mediazioni, non solo in ambito architettonico. Si pensi all'implicazione dell'architetto quale informatore nel fallito progetto di nozze tra l'infanta Francesca, sorella di Giovanni V di Braganza, e l'erede al trono Carlo Emanuele III principe di Piemonte.

Senza perdere di vista la seicentesca Varsavia di Virgilio Puccitelli, prolifico drammaturgo-librettista accademico tra gli Incogniti veneziani e di Agostino Locci il Vecchio architetto-ingegnere-scenografo alla corte dei Vasa; o, ancora, Valladolid, Barcellona, Lisbona (ancora Juvarra), nonché, sempre guardando l'Europa delle corti e degli imperi, il gran teatro della morte: da Carlo V ai Medici ai sovrani di Spagna al re Sole jusqu' au retour des cendres di Napoleone a Parigi descritto da Victor Hugo. Dignitas non moritur

Inoltre, i balletti, i tornei, le giostre, i balletti a cavallo, i caroselli, le naumachie («ou carrousels qui se sont sur les Eaux» giusto il gesuita creatore di immagini e simboli, maestro di retorica e maître des spectacles Claude-François Ménestrier cui accenneremo nel IV capitolo), l'arte pirotecnica con elementi fissi, aerei, apposite macchine, le splendenti gare della notte col giorno incardinate su drammaturgie illuminotecniche applicate sia all'effimero urbano sia agli spettacoli di corte. Fuochi d'artificio e illuminazioni. Fu un segno paneuropeo di sovrana grandezza tramutare la notte in giorno. 

Arte e potere, per riprendere il titolo di un ben congegnato volume di Roy Strong, venivano declinati nel segno di una palingenesi classicista agganciata all'idea universalista d'impero nelle sue diverse ramificazioni dinastiche, ai modi di rappresentazione di sé, all'uso della tecnologia ingegneristica in scena alle mentalità sociali e al gusto di committenti, realizzatori e fruitori della barocca “maraviglia” e delle sue ricadute settecentesche. Intrecciandosi di volta in volta con le maglie fitte di un sistema di alleanze mecenatesche, talvolta di tipo impresariale, governato da principi e sovrani, principesse, regine e reggenti coadiuvati dai rispettivi clan famigliari e non solo. «Un sistema que no era sólo político, sino moral, en el cual, progresivamente, la familia real, se fue diferenciando de la dinastía y alcanzando mayor protagonismo, gracias a la contribución de todos sus miembros». Si prenda a mirato consuntivo la Storia pittorica della Italia dell'abate Luigi Lanzi alla ‘voce' Ferdinando e Francesco da Bibiena: «né altra casa pittorica in questa e in altra età si è resa mai più nota nel mondo. Non vi è stata forse una corte che non invitasse alcuno de' Bibieni a servirla; né altro luogo meglio confacevasi a' Bibieni che le grandi corti. Erano le loro idee pari alla dignità de' sovrani; e sol la potenza de' sovrani potea dar esecuzione alle loro idee. Le feste ch'essi diressero per vittorie, per nozze, per ingressi de' prìncipi, furono le più sontuose che mai vedesse l'Europa. […] L'ingegno e le opere di Ferdinando han data a' teatri nuova forma. Egli fu l'inventore delle magnifiche scene che oggidì veggonsi e della meccanica onde si muovono e si cangiano prestamente». 

Parole acute ma alonate di mitopoiesi. Quasi la messa in pagina di una serliana scena tragica librata nel tempo della festa e popolata esclusivamente di sovrani, principi, grandi corti e grandi personaggi. Artisti straordinari per regali committenti. Parole scritte sul finire del Settecento dall'illuminato gesuita Lanzi, critico d'arte-viaggiatore, sia per consolidare il mito della dinastia bibienesca sia per celebrare le glorie d'Italia. Ma non serve generalizzare. Ogni esponente dei Bibiena ebbe peculiarità artistiche proprie. Da storicizzare caso per caso. Le grandi corti non furono l'unico ambito di committenza in cui lavorò la famiglia di architetti-scenografi di origine toscana. Riduttivo parlare solo di Big Men systems. Ho in mente l'operosità italiana dei Bibiena negli spazi veneziani del melodramma, oppure il lavoro di costoro per le accademie o altre istituzioni di tipo cittadino e societario della nostra penisola. Networks sociali radicati nei tessuti urbani in un arco diacronico di lunga durata. Si pensi alla Toscana di età medicea e lorenese e quindi all'operosità del geniale Antonio, figlio di Ferdinando: il capostipite che nel capitolo I vedremo in azione a Barcellona. La Barcellona di Carlo III d'Asburgo appesa al tempo della guerra combattuta da quest'ultimo contro il re Animoso: il già convocato Filippo V di Borbone Spagna nato e cresciuto a Versailles, protagonista delle sontuose feste che nell'anno del Signore 1700 inaugurarono il secolo nuovo alla corte del re Sole, nipote e genero del rey Planeta Filippo IV d'Asburgo. 

Amava danzare il giovane duca d'Angiò che nel 1698 a Fontainebleau si era entusiasmato assistendo a una nuova rappresentazione di una comédie-ballet di Molière-Lulli. Danza e balletto: «la simple danse est un mouvement qui n'exprime rien, et observe seulement une juste cadence avec le son des instrumens par des pas et des passages simples ou figures, au lieu que le ballet exprime selon Aristote les actions des hommes, leurs moeurs et leurs passions». 

Va da sé che occorre riflettere comparativamente sia sulle diverse fenomenologie di mecenatismo delle istituzioni accademiche sia su quelle delle corti europee nel XVII-XIX secolo, ricostruendo e interpretando i diversi contesti di committenza, i meccanismi produttivi, le persone e i personaggi a essi collegati, le forme dello spettacolo, i ceti destinatari. Per non dire delle differenze tra piccole e grandi corti, tra piccoli e grandi stati. Centro e periferia. Non solo nelle centripete capitali del potere assoluto si concentrarono culture e vite artistiche. Si pensi alla corte vicereale di Napoli nel Cinque-Seicento, tenendo presente, nel caso partenopeo e di altre corti vicereali, che «lo que distinguiría al centro de la periferia no sería la geografía, sino la calidad del prorrege». Oppure, su diversa scala, si pensi, tra le tante Italie, alla Modena del duca Francesco I d'Este, di Gaspare Vigarani e di Bartolomeo Luigi Avanzini, alla sua metamorfosi da piccola città in capitale, nonché al suo ruolo di cinghia di trasmissione di cultura dello spettacolo nella Francia del re Sole. Nella parte finale di questo lavoro (capitolo VII) ci recheremo in un piccolo stato d'inizio Ottocento, il regno di Etruria soggetto ai voleri di Napoleone Bonaparte ponendo una lente d'ingrandimento su Livorno: internazionale città porto franco che analizzeremo nel contesto europeo (guardando oltreoceano), prevalentemente sul versante sette-ottocentesco, nei capitoli V, VI e VII; conferendo una particolare attenzione all'età di Leopoldo II granduca di Toscana, al breve periodo imperiale di costui tra Vienna e Praga e all'età napoleonide. E forse potremo vedere Livorno in una luce nuova nella Storia dello spettacolo e prendere atto del suo ruolo non secondario. [...]

Continua


La redazione

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Nota dell’editore 

Prologo ed epilogo 

I. Dinastie rivali in Spagna e in Europa: luoghi e forme dello spettacolo (1703-1725)

II. Farinelli in Spagna tra politica, teatri, opera seria, cantanti ed Europa delle corti

III. Raccordi e ricapitolazioni: tra Toscana e Spagna e non solo (XVI-XVII secolo)

IV. Lo spettacolo barocco a Madrid: da Cosimo Lotti a Antonio Maria Antonozzi, e altre questioni

V. Nel XVIII secolo: Livorno l’Italia l’Europa la Russia (e ritorno)

VI. A Livorno in Russia in Europa, tra Sette e Ottocento

VII. Teatri a Livorno, Milano, Napoli, New York. Il regno di Etruria. Napoleone, Stendhal, Da Ponte (e oltre, sino a Verdi) 

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