Non una raccolta “in omaggio”, ma una rassegna di saggi originali
dedicati allopera dello studioso, morto nel 2020 mentre stava organizzando il convegno
intitolato Éloge du désordre. Ora si
pubblicano gli atti dei lavori, svolti nel 2021 in assenza del promotore. In
certo senso, la direzione della ricerca si modifica nellaffidare allordine
una materia soggetta al disordine, mentre offre unantologia sostanziosa delle
conseguenze che lopera di Christian Biet ha impresso sugli studi teatrali.
Gli incontri avevano seguito due direzioni: la prima, per «réfléchir aux
suites à donner à cette œuvre, à la façon dont elle nourrit des recherches» (p.
8); la seconda si concentrava sullopera stessa di Biet, «à ses cohérences, ses
insistances, à ses évolutions […]. Létudier en tant que corpus et par là
témoigner de son importance» (p. 8) e per misurarne variabili e costanti. Unopera che partiva dalla composizione
di un corpus drammaturgico testuale
per i secoli XVII- XVIII e si spingeva a indagare funzioni proprie delle
manifestazioni contemporanee e davanguardia, fino alle nozioni di séance e di performance, nellaccezione già proposta da Richard Schechner,
qui rappresentato da una testimonianza personale.
La cinque parti molto articolate del volume ammettono scelte di gusto e
casuali per fornire un campionamento plausibile dellinsieme, complesso e
suggestivo. In Moments dune recherche,
i saggi si concentrano sulle tappe significative delliter del protagonista. Pierre Frantz si sofferma sulle
novità introdotte da Biet nellosservare la séance
teatrale per scoprirvi «une compréhension du moment, cest-à-dire de ce qui
était le présent des hommes du passé» (p. 17) i quali vengono seguiti in
“processo”, lungo quei secoli considerati come fossero il loro presente. Altri
risultati contribuiscono a ricollocare il repertorio, da Marivaux a Dancourt
(Florent Carton), nella situazione antecedente laffermarsi della
nozione di “quarta parete”, con riferimenti allo spettatore ritenuto parte del
fenomeno nella sua storia “materiale”. Entrano così in discussione le
interpretazioni del mito di Edipo,
centrate su quella di Voltaire e paragonate con le meno celebri e
studiate.
Vincent Jullien
sfrutta lesperienza condivisa con Biet (in Le
siècle de la lumière, 1600-1715, del 1997) per chiarire il metodo dello
studio attorno alla componente fisica dellilluminazione sulla scena. Coinvolge
la tragedia Andromède di Corneille
e gli esperimenti di Blaise Pascal per definire la funzione decisiva
della luce. È uno sguardo inedito sullallestimento delle pièces à machine che nelle implicazioni fisiche conduce al senso
più vasto delluso e quindi del significato, secondo lapplicazione introdotta
da Biet nellanalisi allevento spettacolare e viceversa. Si coglie meglio il
ruolo della messa in scena nel metodo scientifico, in analogia agli studi di
Pascal sulla fenomenologia del vuoto (p. 33).
Clare Finburgh Delijani, in Elargir le cercle,
compara le osservazioni di Biet sul pubblico teatrale dei secoli XVI-XVII con
quelle sullattualità. Con sorprendente efficacia lo studioso analizzava il
soggetto in situazioni tanto strane e lontane, cogliendo risultati probanti
grazie agli incontri di scambio con diversi direttori di teatri, pubblicati
sulla rivista «Théâtre / Public». Il transito dagli “études théâtrales” alla
“spectaclogie”, secondo Guy Spielmann, si snoda attraverso la definizione di performance, séance, comparution che, nelle accezioni
stabilite da Biet, risultano determinanti per «lavènement en France dune
discipline de létude du spectacle […] autonomisée du champ littéraire où Biet
avait fait ses debuts» (p. 428).
La facoltà spiccata di collegare passato e presente emerge ancora dal
processo seguito dallo scienziato, ricostruito in Anachronismes et analogies. Penser en travers di Tiphaine
Karsenti, per una definizione della storia mediante parametri filosofici e
antropologici. Christohe Triau, in Avec
et contre la sidération. Le jeu du jugement et de la suspension, ribadisce
il privilegio accordato da Biet al Teatro quale luogo dellesercizio del
“giudizio”, validato dalla sensibilità verso il rituale del “processo”. Anche Guillaume
Cot contribuisce a chiarire (Le jeu
de lordre théâtral) lincrocio fra teatro e diritto nel pensiero che
acquista in progress una nuova
coerenza teorica. Penser la performance
avec Biet di Chloé Déchery introduce altri elementi concettuali
nella problematica, trattata in maniera pragmatica e materialista. Alessandra
Preda porta un contributo sui Séminaires Balmas (tenuti dallUniversità di
Milano a Gargnano) e segnala la strumentalità preziosa che lapproccio di Biet
consegue grazie al suo modo di porre il pubblico al centro dogni programma
dindagine critica.
Desprez e Meere
discutono sulla «question du hors-scène dramatique» (p. 183) in Centralité du dèsordre dans le théâtre de la
première modernité. Verificano
un caso di centralità attribuita allo spazio teatrale in città e ne misurano
gli effetti urbanistici e sociali degli eventi connessi. Testimonianza daltra
fonte, ma di analoga sostanza, quella di Bolduc che raccoglie dati su
quattro situazioni tipiche della proto-performance
nel XVII secolo: la chaire (tribuna,
pulpito), la cérémonie (cerimonia,
rituale), la scène (scena) e léchafaud (il patibolo). Richiama
liconografia raccolta da Biet per Les
Miroirs du Soleil (in Louis XIV, Paris,
Gallimard, 1989) arricchito dai tableaux
narratifs dello studioso. Jeffrey S. Ravel, con Lœil sur la scène en France et Angleterre vers 1800, ricostituisce
le reazioni tumultuose allaumento dei prezzi degli spettacoli a Londra e delle
manifestazioni a favore dellO P (Old Prices) che suscitarono lintervento
delleroe allegorico John Bull (p. 265).
Dalle illustrazioni dei disordini, anche violenti, durante le
rappresentazioni parigine, si nota che spesso pièces truci non smuovessero dalla calma gli spettatori, mentre è
noto come il pubblico intervenisse concretamente nellazione. E si capiva che
alla stessa reazione concreta rispondeva la diversa tattica politica nel
rappresentarla, con descrizioni più epurate in Francia che non in Inghilterra. Plaisirs de lhétérogeneité di Jobez
e Loncle ipotizza un contributo ulteriore: «Révélant et réveillant la
dynamique conflictuelle, contradictoire, multiple de la séance théâtrale de
lAncien Régime, Biet a animé la recherche en histoire du théâtre en lui
donnant de la “respiration”» (p. 280). Con linterpretazione in chiave giuridica del “caso” di Mille francs de récompense, Myriam Roman riscontra in Victor
Hugo la permanenza del “tragico” come ingranaggio, fatalità, anankè, quasi nuovo genere drammatico
indotto da cause sociali e giuridiche. Passano al vaglio le drammaturgie
italiane recenti in Annamaria Cascetta, nel distinguere la presenza del
“tragico” (pure senza tragedia) e nel riconsiderare i due concetti
interdipendenti. Gli esempi provengono da opere di Pippo Delbono, Pier
Paolo Pasolini ed Emma Dante.
Continua nellultima parte la riflessione sul pensiero di Biet dedicato
alla contemporaneità. Limplicazione politica emerge nella dissertazione
filosofica di Olivier Neveux, nutrita di parallelismi fra Arendt,
Kant e Biet. Pierre Banos-Ruf si sofferma sulle valenze
contemporanee della visione drammaturgica e sugli effetti dei rapporti con
leditoria relativa. Dai titoli e dai soggetti toccati parrebbe netto il
prevalere (almeno quantitativo) dellattenzione al campo della performance, quale indizio dellinflusso
che lo studioso ha esercitato sui suoi allievi e colleghi. La convergenza di
interessi e desperienze convocati dal libro è davvero sorprendente, data la
varietà dei partecipanti allimpresa. Lincontro con opere problematiche e discutibili
come lattuale mi pare dovrebbe suscitare una risposta ponderata e protratta,
da esprimersi con chiarezza e responsabilità. Il riconoscimento della sua
importanza dovrebbe approfondire il dibattitto fino allacquisizione duratura
del suo valore. La superficialità e londa delle mode, purtroppo, impediscono
la formazione auspicabile dun patrimonio (o “canone”) in costante
integrazione.
di Gianni Poli
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