Theatre Research International, Volume 48, Number 3, October 2023
Il fascicolo si apre con un saggio di Shonagh Hill sui diversi tipi di femminismo presenti nelle coreografie di Oona Doherty, intesi come riflesso delle complesse identità e delle intersezioni di genere, classe e razza che caratterizzano la società post-bellica nord-irlandese al di là del predominante nazionalismo unionista. Focalizzandosi su Sugar Army, secondo episodio di Hard to Be Soft: A Belfast Prayer (2017), e su Lady Magma: The Birth of a Cult (2019), l'autrice mette in relazione i lavori di Doherty con la danza cerimoniale haka dei Māori, la street dance freestyle krump, il balletto, l'hip-hop e l'écriture féminine e li interpreta alla luce della ricontestualizzazione operata dalla coreografa per celebrare la “femminilità marginale” e la sua capacità di solidarietà, nella speranza di risvegliare il potenziale insito nel cosiddetto femminismo di seconda generazione.
Partendo dal presupposto che nella Turchia degli ultimi vent'anni è stata prestata sempre maggiore attenzione alla storia e alla memoria del popolo armeno e che le produzioni teatrali indipendenti hanno finalmente iniziato a denunciare il genocidio del 1915, Şeyda Nur Yıldırım rileva come anche i teatri pubblici stiano svolgendo un'importante opera di rivalutazione culturale e di riappropriazione del teatro ottomano, seppur con approcci complessi e spesso contradditori. Vale l'esempio del drammaturgo ottocentesco Hagop Baronian, frequentemente riproposto con modalità e strategie di de/ricontestualizzazione che, se da una parte omaggiano la tradizione teatrale armena, dall'altro ne snaturano il significato, come nel caso di Şark Dişçisi (Il dentista orientale) (2011) dell'Istanbul Metropolitan Municipaly City Theatres, tratto da Adamnapuyj aravelyan (1868), in cui risultano evidenti le profonde ambivalenze che hanno accompagnato il lavoro di recupero della memoria post-genocidio.
L'articolo di Mallarika Sinha Roy si concentra sulla ripresa di Titu Mir di Utpal Dutt da parte della compagnia Theatre Formation Paribartak (2019). Se l'originale drammaturgia indiana inscena la ribellione dei contadini della regione di Barasat, in Bengala, guidata tra il 1827 e il 1831 dal riformatore religioso islamico del titolo, una ripresa del 2019 pone piuttosto l'accento sulla resistenza al colonialismo, dimostrando l'inquietante attualità del messaggio insito nel testo pur nel contesto del corrente governo indiano, patriarcale, di destra e anti-musulmano.
Anche Ashis Sengupta rivisita un recente adattamento: quello del regista Abhilash Pillai di Midnight's Children di Salman Rushdie (2005-2006), di cui viene fornita una lettura caleidoscopica in cui passato e presente si intrecciano e sovrappongono. Uno spettacolo particolarmente significativo in cui il linguaggio visivo dei film di Bollywood viene utilizzato come una sfida all'estetica prevalente nel teatro indiano, che all'epoca aveva un orientamento anti-tecnologico. L'innovativo approccio cinematografico viene sfruttato dal regista anche per evidenziare analogie politicamente provocatorie, come quella tra la proclamazione dell'emergenza nazionale da parte di Indira Gandhi (1975-1977), che annullava le elezioni e limitava le libertà civili, e la violazione delle istituzioni democratiche da parte del governo sostenuto dalla National Democratic Alliance (NDA), il cui principale partito è il BJP (Baharatiya Janata Party) a cui fa capo il Primo Ministro indiano.
Nelle pagine a firma di Margaret Hamilton si riflette sulla messa in scena de L'anatra selvatica di Ibsen firmata da Simon Stone, realizzata al Belvoir Theatre di Sydney nel 2011. Partendo dalla nozione di Mark Fisher di realismo capitalista e facendo riferimento a differenti contesti culturali, Hamilton confronta lo spettacolo del regista australiano con gli adattamenti curati da Katie Mitchell e Thomas Ostermeier e deduce che le performance che dipendono dalla capacità del soggetto di conoscere e rappresentare il mondo si basano su una risposta soggettiva e rischiano di localizzare questioni sistemiche.
In coda al fascicolo si segnala un consueto strumento di lavoro, il Book Reviews, con le recensioni dei principali studi in lingua inglese di argomento teatrale.
di Lorena Vallieri
Indice
INDICE
Silvija Jestrovic
Editorial: On Stormy Contextual Seas
Shonagh Hill
“Circles of Women”: Feminist Movements in the Choreography of Oona Doherty
Şeyda Nur Yildirim
Staging Theatre Historiography: The Afterlives of Ottoman Armenian Drama in Contemporary Turkish Public Theatre
Mallarika Sinha Roy
The Forgotten History of Our Times: Revisiting Utpal Dutts Titu Mir in Contemporary India
Ashis Sengupta
Abhilash Pillais Midnights Children: Performing Politics through Optics
Margaret Hamilton
In the ‘Display Case: (Capitalist) Realism and Simon Stones “Zoological” Ibsen
Book Reviews
LISA FITZPATRICK and SHONAGH HILL, ed., Plays by Women in Ireland (1926-33): Feminist Theatres of Freedom and Resistance (Alinne Balduino P. Fernandes)
TRINA NILEENA BANNERJEE, Performing Silence: Women in the Group Theatre Movement in Bengal (Gargi Bharadwaj)
CORMAC OBRIEN, Masculinities and Manhood in Contemporary Irish Drama: Acting the Man (David Cregan)
ESTHER KIM LEE, Made-Up Asians: Yellowface during the Exclusion Era (Ruijiao Dong)
GILLIAN ARRIGHI and JIM DAVIS, The Cambridge Companion to the Circus (Aastha Gandhi)
HANNAH SIMPSON, Samuel Beckett and the Theatre of the Witness: Pain in Postwar Francophone Drama (Swati Joshi)
FINTAN WALSH, ed., Theatres of Contagion: Transmitting Early Modern to Contemporary Performance (anna six)
IAN SMITH, Black Shakespeare: Reading and Misreading Race (Tom Six)
GAIL BULMAN, Feeling the Gaze: Image and Affect in Contemporary Argentine and Chilean Performance (Brenda Werth)