I due “gemelli” veneziani, di cui parla Gianluca Stefani in questo prezioso e
strutturato volume, sono Francesco Santurini quondam Stefano e Francesco
Santurini quondam Antonio, «probabilmente consanguinei, forse zio e
nipote» (pag. 10). Entrambi inizialmente occupati nellArsenale di Venezia,
luno come “calafà” e laltro come “marangone”, praticarono un doppio mestiere
e trasferirono le competenze e abilità acquisite dal cantiere navale alle arti
sceniche.
Basandosi su documenti conservati in diversi
archivi a Venezia, Mantova, Torino e Firenze, Stefani – pur riconoscendo le lacune ancora presenti
nella biografia dei Santurini –, procede a una ricostruzione, attenta e dettagliata,
sottolineando che «la vicenda dei “due gemelli veneziani” ripercorre la storia
– una delle tante possibili – del mondo dellopera e dello spettacolo veneziano
ed europeo nella seconda metà del Seicento e nel primo scampolo del secolo
successivo» (pp. 11-12).
La prima parte del libro è dedicata a Francesco Santurini quondam Stefano:
nato a Venezia nel 1627, si distinse al Teatro SantApolan come “scenografo”
nellopera Le fortune di Rodope e Damira di Aurelio Aureli (poesia) e Pietro
Andrea Ziani (musica). Seguì la collaborazione con il prestigioso San
Cassiano avviata da Lincostanza trionfante overo il Theseo di Francesco Piccoli e conclusa nel 1659
con Antioco su libretto di Nicolò
Minato e musica di Francesco Cavalli.
Fu il conte Humprecht Jan Czernin, ambasciatore
imperiale di stanza a Venezia, che segnalò a Leopoldo I il nome di Francesco Santurini per sostituire lo
scenografo Lodovico Ottavio Burnacini,
coinvolto in scandali amorosi. Ma il veneziano non andò a Vienna, fu assunto
dalla corte dei Wittelsbach di Monaco dove lo spettacolo operistico, anche con
il contributo di apparatori italiani, costituiva il fiore allocchiello degli
intrattenimenti. I documenti consultati da Stefani datano al 1662 linizio
dellattività artistica di Santurini, il Welscher
Ingenir, segnatamente nella realizzazione della macchina scenografica per Applausi
festivi
in occasione delle manifestazioni per il battesimo dellerede
al trono Massimiliano Emanuele; il 24
settembre allOpernhaus am Salvatorplatz fu la volta della messinscena del
dramma in musica Fedra incoronata di Pietro Paolo Bissari impreziosita da effetti speciali inediti, come
la divisione dello spazioso palco nella zona sottacqua – dove si anima il
mondo sottomarino – e in quella sopra lacqua occupata da una barchetta in
movimento in cui stanno Alico e Ferebea.
Santurini riscosse
grande successo pari a quello ottenuto due giorni dopo con il dramma Antiopa
giustificata con lesibizione di cortei, finte battaglie, carri allegorici
nella nuova Thurnierhauß, con la conclusiva Medea vendicativa di Bissari
allestita su un palcoscenico galleggiante.
Il vertice della
creatività coincise con la realizzazione di un bucintoro varato sul lago di Starnberg
nellagosto 1664 dopo oltre un anno e mezzo di lavoro. Dipinti e incisioni,
unitamente alle corrispondenze, attestano la magnificenza di questa bireme a
tre ponti, adornata di pitture e statue, di colore bianco e blu come i colori
del casato Wittelsbach.
Prima di lasciare
Monaco, Santurini predispose le scenografie per Lamor della patria
superiore ad ogni altro di Francesco Sbarra e per il balletto I trionfi
di Baviera. Complici i rigori del clima bavarese e scaduto il mandato, lo
scenografo rientrò a Venezia nel 1669 e trovò impiego al teatro di San Luca. Di
lui si perdono le tracce fino al biennio 1679-80 quando risulta responsabile
degli allestimenti dopera al Teatro Grande a Piazzola sul Brenta.
Soprannominato “il Baviera”, morì nel 1682.
Quella di Francesco Santurini quondam Antonio, che occupa la
seconda parte del libro, è una storia tutta veneziana a partire dalle
esperienze al San Moisè come scenografo e poi nei panni dellimpresario capace
di provocare scosse telluriche nel sistema teatrale della Serenissima per via dalla reintroduzione, nel 1674, della
riduzione dei prezzi (nel 1672-73 limpresario Urban Serena aveva esonerato
dallacquisto del biglietto i possessori dei palchi) in occasione del dramma La
schiava fortunata (musica di Antonio
Cesti e MarcAntonio Ziani,
libretto di Giovanni Andrea Moniglia).
Considerato lalto costo di scenografie e cast canoro, è ipotizzabile il
finanziamento di nobili come Alessandro
Contarini al quale sono dedicati diversi libretti a stampa.
Tramontata la
speranza di ottenere il San Moisè, lambizioso e intraprendente Santurini cullò
lidea di costruirsi un teatro proprio, in una posizione molto strategica: nel
1676 firmò un contratto con i comproprietari del fondo edificabile secondo il
quale dopo sette anni sarebbe decaduto lusufrutto. Il teatro di SantAngelo,
probabilmente progettato dallo stesso Santurini, fu inaugurato nel 1677, sempre
adottando la formula del prezzo ridotto, con il melodramma Helena rapita da
Paride di Domenico Freschi in
cui spiccò la voce della giovane Margherita
Salicola, futura star europea.
Tuttavia il nuovo teatro faticava a
decollare, complici sia problemi con i palchettisti moroso e lingaggio di
professionisti famosi e costosi come Antonio
Sartorio e Aurelio Aureli che
lapertura del concorrente San Giovanni Crisostomo.
Nel carnevale 1681, per esempio, le
limitate risorse economiche resero scarno lallestimento di Pompeo Magno in
Cilicia mentre per Giulio Cesare trionfante (carnevale 1682)
limpresario investì molti soldi. Sta di fatto che il SantAngelo era
«sullorlo della bancarotta» (p. 67) e il rilancio faticava anche lazione
della censura editoriale che nel 1683 colpì il libretto di Adriano Morselli Falaride, tiranno dAgrigento (musica di
Giovan Battista Bassani) tantoché, forse con la complicità di altri teatri, il
testo subì tagli e il debutto slittò di qualche mese.
Anche se nella stagione 1684-1685 Santurini,
per sconfiggere lagguerrita concorrenza, anticipò lesibizione dellopera
musicale Lamante fortunato per forza (libretto di Pietro dAverara, musica di Giovanni
Varischino), gli incassi furono assai modesti e si pensò con una certa
preoccupazione allallestimento di Teseo tra le rivali di Aureli e Freschi
in cui era presente la giovane e debuttante Vittoria Tarquini, che creerà non pochi problemi con la rivendicazione
di pagamenti mancanti.
Nel 1706 lanziano impresario, anche
inguaribile giocatore dazzardo, «decise di calarsi – come evidenzia Stefani –
per lultima volta da vecchio leone nellarena dei teatri veneziani» (p. 90).
Al successo ottenuto con Paride in Ida favorito dallingaggio del celebre
cantante Nicola Grimaldi detto Nicolino (libretto di Francesco Mazzari, musica di Agostino Bonaventura Coletti), corrispose
il fallimento di Ifigenia di Coletti che occasionò il duro attacco di Andrea Capello, proprietario di una
delle quote del teatro e fortemente intenzionato ad assumere la gestione del Sant
Angelo.
La crisi diventò irreversibile nel
carnevale 1707: soprattutto si acuirono le tensioni con Capello in merito alla
scelta del repertorio e allingaggio degli artisti alcuni dei quali, come Terenzia Partini, contestarono la parte
assegnata mentre altri, come il compositore e violinista Tomaso Albinoni, sollevarono non semplici questioni economiche. «Alla
fine nemmeno Tomaso Albinoni fu pagato nei termini concordati e sporse
denuncia. Così il coro dei creditori accompagnò lingloriosa uscita di scena di
Santurini, ormai invecchiato e prossimo alla morte. Al teatro non avrebbe più
fatto ritorno. Di lui si perdono le tracce, né è stato possibile finora rinvenire
il suo certificato di morte» (pag. 100).
Con queste parole incisive e lapidarie si
conclude lo studio di Stefani completato dalla ricca sezione dedicata ai Documenti darchivio, e da una corposa e
aggiornata bibliografia che concorre alla restituzione della memoria di due
personaggi in parte dimenticati eppure importanti per la storia artistica dello
spettacolo e del suo consumo.
di Massimo Bertoldi
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