Il nuovo libro di Piermario Vescovo sulla
legge e la giurisprudenza nella drammaturgia di William Shakespeare,
edito da Marsilio, è composto da due corposi saggi dedicati ad altrettante
opere dellautore inglese, la commedia The Merchant of Venice e la
tragedia Othello. Le due opere shakespeariane si ispirano ad alcune
novelle italiane: la trama de Il mercante di Venezia – da cui Vescovo
trae ispirazione per il titolo del proprio volume («in the decrees of Venice»)
– ricalca quella de Il Pecorone, composta da un certo ser Giovanni
Fiorentino nel XIV secolo ma pubblicata solo nel 1558. Di tale narrazione
lo studioso ipotizza origini, trasmissione e tradizione, riconoscendo nel testo
«un racconto dei Gesta Romanorum, raccolta di exempla
mediolatini di argomento pseudoantico, ideata o impiegata per la predicazione,
come mostrano le moralizzazioni che seguono a ciascuno di essi» (p. 11), ma
anche le caratteristiche stilistiche e narrative di Giovanni Boccaccio.
In
un proficuo dialogo tra storia
dello spettacolo e filologia, lautore pone a confronto il testo di Shakespeare
con quello di ser Giovanni e con il relativo archetipo; da tale comparazione
emergono anzitutto elementi fiabeschi. Segue unanalisi sintetica ma densissima
in cui si rintracciano – non troppo tra le righe – princìpi di giurisprudenza:
nelle varianti della storia risulta centrale la lex imperialis attorno a
un contratto stipulato per ragioni amorose.
Oltre
ai caratteri principali – il mercante (prestatore di denaro), il soldato
(firmatario del contratto che avrebbe regolato il prestito), la figlia
dellimperatore (innamorata del soldato) – figurano Virgilio (dotto filosofo,
altro richiamo alla Roma imperiale) e il giudice detentore della
giurisprudenza. Motore dellazione è il travestimento: la donna, in abiti da
soldato, raggira la legge. Vescovo dedica diverse righe anche alla simbologia
di cui i personaggi si fanno portatori nelle tre versioni. Particolarmente interessanti
le riflessioni sulla condizione di ebreo e usuraio di Shylock o su questioni
riguardanti lingua: si pensi a forfeit/forfeiture/to forfait
e ai relativi significati.
Il
capitolo su Othello si apre con unindagine sulla «doppia temporalità»
dellopera, quella della suddivisione in cinque atti e quella, ipotizzata da Giorgio
Melchiori (Shakespeare, Roma-Bari, Laterza, 1984), di «una struttura tripartita, ovvero di un Othello
scandito in tre tempi rappresentativi (con due intervalli)» (p. 74). La
riflessione sui tempi della storia, se implica parallelismi tra il drammaturgo
inglese e le “norme” narrative diffuse in Europa nel segno della riscoperta
umanistica dellantico, porta lo studioso alla ragionevolissima conclusione che
non si può «attribuire a Shakespeare gli scrupoli di coloro che restauravano un
modello “regolare” di tempo teatrale (di discendenza donatiana più che
aristotelica), né tanto meno di una sistemazione “classicistica” o
“razionalistica” che dir si voglia di questi riferimenti […] ma di cogliere un
principio di articolazione che riguarda anche la libera condotta di spagnoli ed
elisabettiani» (pp. 89-90).
Della
tragedia veneziana Vescovo analizza sia i personaggi protagonisti sia alcuni
iconici elementi come il fazzoletto – oggetto motore e pretesto del dramma –
attraverso continui confronti con precedenti a cui Shakespeare si sarebbe
ispirato, in particolare alcuni passi de Gli
Ecatommiti (1565), raccolta di
novelle di Giovan Battista Giraldi Cintio.
Attualissima risulta la riflessione sulle
rivisitazioni “postcoloniali” di Othello, che spesso hanno messo in
evidenza dellopera le «componenti “xenofobe” o “razziste”» (p. 119). Anche
lidea del “moro” deriverebbe dal testo di Giraldi: se qui è piuttosto da
intendersi come tratto esotico, in Shakespeare lunione tra la bianca Desdemona
e Otello è posta «come infrazione da sottoporre al giudizio» (p. 121). È questo
lelemento giuridico presente in Othello: «La questione di come potesse
un nero unirsi a una donna bianca, a Venezia e al “tempo presente”, assumeva,
appunto, nella Londra di Shakespeare – ciò che non si dava nellItalia di
Giraldi – la forma di un “caso giuridico”, al quale due condizioni di diversità
o eccezionalità (il tempo di notte e lemergenza militare) […] offrono una
soluzione “teatrale” rispetto a un possibile dibattito in tribunale» (pp.
123-124). Il punto di riferimento, arricchito di componenti che sono frutto
della fantasia del drammaturgo, è ancora una volta il diritto privato romano.
Lautore del volume scioglie il nodo ancora una volta attraverso un
parallelismo con la novella di Tito e Gisippo dal Decameron di Boccaccio.
«Nei decreti di Venezia». Legge tragica e
giurisprudenza comica in Shakespeare è un breve ma originale lavoro capace di
fare luce su questioni marginali e ancora poco indagate del celebre drammaturgo
inglese.
di Benedetta Colasanti
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