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Piermario Vescovo

«Nei decreti di Venezia»
Legge tragica e giurisprudenza comica in Shakespeare

Venezia, Marsilio, 2023, 157 pp., euro 12,50
ISBN 978-88-297-1795-8

Il nuovo libro di Piermario Vescovo sulla legge e la giurisprudenza nella drammaturgia di William Shakespeare, edito da Marsilio, è composto da due corposi saggi dedicati ad altrettante opere dell’autore inglese, la commedia The Merchant of Venice e la tragedia Othello. Le due opere shakespeariane si ispirano ad alcune novelle italiane: la trama de Il mercante di Venezia – da cui Vescovo trae ispirazione per il titolo del proprio volume («in the decrees of Venice») – ricalca quella de Il Pecorone, composta da un certo ser Giovanni Fiorentino nel XIV secolo ma pubblicata solo nel 1558. Di tale narrazione lo studioso ipotizza origini, trasmissione e tradizione, riconoscendo nel testo «un racconto dei Gesta Romanorum, raccolta di exempla mediolatini di argomento pseudoantico, ideata o impiegata per la predicazione, come mostrano le moralizzazioni che seguono a ciascuno di essi» (p. 11), ma anche le caratteristiche stilistiche e narrative di Giovanni Boccaccio.

In un proficuo dialogo tra storia dello spettacolo e filologia, l’autore pone a confronto il testo di Shakespeare con quello di ser Giovanni e con il relativo archetipo; da tale comparazione emergono anzitutto elementi fiabeschi. Segue un’analisi sintetica ma densissima in cui si rintracciano – non troppo tra le righe – princìpi di giurisprudenza: nelle varianti della storia risulta centrale la lex imperialis attorno a un contratto stipulato per ragioni amorose.

Oltre ai caratteri principali – il mercante (prestatore di denaro), il soldato (firmatario del contratto che avrebbe regolato il prestito), la figlia dell’imperatore (innamorata del soldato) – figurano Virgilio (dotto filosofo, altro richiamo alla Roma imperiale) e il giudice detentore della giurisprudenza. Motore dell’azione è il travestimento: la donna, in abiti da soldato, raggira la legge. Vescovo dedica diverse righe anche alla simbologia di cui i personaggi si fanno portatori nelle tre versioni. Particolarmente interessanti le riflessioni sulla condizione di ebreo e usuraio di Shylock o su questioni riguardanti lingua: si pensi a forfeit/forfeiture/to forfait e ai relativi significati.

Il capitolo su Othello si apre con un’indagine sulla «doppia temporalità» dell’opera, quella della suddivisione in cinque atti e quella, ipotizzata da Giorgio Melchiori (Shakespeare, Roma-Bari, Laterza, 1984), di «una struttura tripartita, ovvero di un Othello scandito in tre tempi rappresentativi (con due intervalli)» (p. 74). La riflessione sui tempi della storia, se implica parallelismi tra il drammaturgo inglese e le “norme” narrative diffuse in Europa nel segno della riscoperta umanistica dell’antico, porta lo studioso alla ragionevolissima conclusione che non si può «attribuire a Shakespeare gli scrupoli di coloro che restauravano un modello “regolare” di tempo teatrale (di discendenza donatiana più che aristotelica), né tanto meno di una sistemazione “classicistica” o “razionalistica” che dir si voglia di questi riferimenti […] ma di cogliere un principio di articolazione che riguarda anche la libera condotta di spagnoli ed elisabettiani» (pp. 89-90).

Della tragedia veneziana Vescovo analizza sia i personaggi protagonisti sia alcuni iconici elementi come il fazzoletto – oggetto motore e pretesto del dramma – attraverso continui confronti con precedenti a cui Shakespeare si sarebbe ispirato, in particolare alcuni passi de Gli Ecatommiti (1565), raccolta di novelle di Giovan Battista Giraldi Cintio.

Attualissima risulta la riflessione sulle rivisitazioni “postcoloniali” di Othello, che spesso hanno messo in evidenza dell’opera le «componenti “xenofobe” o “razziste”» (p. 119). Anche l’idea del “moro” deriverebbe dal testo di Giraldi: se qui è piuttosto da intendersi come tratto esotico, in Shakespeare l’unione tra la bianca Desdemona e Otello è posta «come infrazione da sottoporre al giudizio» (p. 121). È questo l’elemento giuridico presente in Othello: «La questione di come potesse un nero unirsi a una donna bianca, a Venezia e al “tempo presente”, assumeva, appunto, nella Londra di Shakespeare – ciò che non si dava nell’Italia di Giraldi – la forma di un “caso giuridico”, al quale due condizioni di diversità o eccezionalità (il tempo di notte e l’emergenza militare) […] offrono una soluzione “teatrale” rispetto a un possibile dibattito in tribunale» (pp. 123-124). Il punto di riferimento, arricchito di componenti che sono frutto della fantasia del drammaturgo, è ancora una volta il diritto privato romano. L’autore del volume scioglie il nodo ancora una volta attraverso un parallelismo con la novella di Tito e Gisippo dal Decameron di Boccaccio.

«Nei decreti di Venezia». Legge tragica e giurisprudenza comica in Shakespeare è un breve ma originale lavoro capace di fare luce su questioni marginali e ancora poco indagate del celebre drammaturgo inglese.


di Benedetta Colasanti


«Nei decreti di Venezia»

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