Il centenario della
nascita di Paolo Grassi (1919-1981) è
stata loccasione per organizzare nel marzo 2019 un convegno a lui dedicato presso
lUniversità di Milano, dal quale sono tratti gli otto contributi
che troviamo in questo volume, curato da Isabella
Gavazzi. Figura
emblematica per la politica e la cultura (sia teatrale che televisiva) del
Novecento, Grassi rivive attraverso gli occhi e le parole di intellettuali e
critici che hanno lavorato con lui in un volume a beneficio di studenti e ricercatori delle nuove generazioni ma
anche degli studiosi più colti. Il desiderio è quello di «fornire un ritratto a
tutto tondo che ne abbracci la figura professionale, gli aspetti caratteriali e
la personalità, il tutto inserito in un contesto che oggi viene classificato
già come storia: scelte professionali, problemi di natura politica sorti
durante il percorso lavorativo, il concetto stesso di “fare cultura”» (p. 19).
I primi due
contributi della curatrice permettono di presentare Paolo Grassi sia come “addetto
ai lavori” che come uomo, attraverso lintervista a Carlo Fontana – che è stato suo allievo – e il breve excursus sulla
sua poliedrica biografia. Noto impresario teatrale, direttore, giornalista e
dirigente pubblico, figura fondamentale per la storia del teatro novecentesco
milanese e non solo, Grassi si avvicina in giovane età al teatro. La conoscenza con Giorgio Strehler, Franco
Parenti, Renato Guttuso e Salvatore Quasimodo fu per lui fonte di ricchezza culturale e di crescita. Il suo impegno
politico di militante socialista si concretizza
nel voler riportare Milano agli antichi
splendori, con «opere darte al di sopra di ogni contenuto» (p. 23), attraverso
un instancabile e continuo lavoro che lo porta ai vertici della cultura italiana. Leonardo Spinelli
approfondisce il contesto culturale e sociale nel quale Grassi inizia a
lavorare nel Dopoguerra. Conosciuto in particolar modo per la fondazione del
Piccolo Teatro di Milano (con lamico Strehler), Grassi riunisce in sé la
figura di sovrintendente e operatore culturale essendo riuscito
a superare «quella dicotomia tra capocomici e artisti, che operano sulla scena,
e organizzatori-burocrati, che al teatro guardano dallesterno, pur essendo
responsabili di grandi decisioni e soprattutto erogatori delle sovvenzioni» (p.
41). Mariagabriella Cambiaghi ricorda come lapertura
del Piccolo Teatro sia associata al forte desiderio di portare la cultura ai cittadini, ispirato allideologia gramsciana. Il
rapporto tra Grassi e Strehler, la «coppia dei consoli» (p. 41), viene
ripercorso attraverso i principali eventi storici e culturali dellepoca, fino
alle dimissioni di Strehler dallincarico di direttore artistico nel 1968. Alberto Bentoglio tratta di questo
periodo, che dura fino al 1972, in cui Grassi continua a dirigere il teatro,
lavorando contemporaneamente alla sua produzione artistica. Se precedentemente
i cartelloni delle stagioni erano ricchi di teatro di regia, i cinque anni di
direzione in solitudine sono contraddistinti da una diminuzione del numero di
opere rappresentate – a favore della qualità – e da una costante ricerca di
«opere adeguate alla nuova e complessa realtà del momento e ispirate
allattualità, per scuotere il pubblico e attirare la sua attenzione» (p. 54) (come
Visita alla prova de Lisola purpurea di
Bulgakov con interventi e ipotesi finale di Giuliano Scabia o Off limits di Arthur Adamov). La direzione di Grassi, che
sopravvive ai moti del 68 e del 69, si conclude cinque anni dopo per il
sopraggiunto incarico come sovrintendente del Teatro alla Scala, descritto da Mattia Palma come un momento importante
per la sua vita, rappresentando l«esempio per le stimolanti – ma anche
logoranti – lotte esterne e interne, politiche e artistiche che […] ha dovuto
affrontare» (p. 65). Grassi, con la direzione musicale di Claudio Abbado e del direttore artistico Massimo Bogiankino, porta con sé alla Scala la sua idea di teatro
impegnato popolare, pensando «la sovrintendenza della Scala come una missione
culturale per il Paese» (p. 66), dove si ricerca un teatro “di stagione”,
attraverso una programmazione triennale degli spettacoli, dove il fine ultimo è
unire il teatro popolare – sempre di concezione gramsciana – a quello dèlite. Irene Piazzoni presenta la figura di Grassi come
intellettuale-funzionario della Rai, subito dopo aver lasciato la Scala nel
1977. In qualità di presidente della Rai – con Giuseppe Glisent come amministratore delegato – lotta con
lincombente arrivo della tv privata, mentre progetta la nascita del terzo canale
Rai e la creazione di materiali e sceneggiati originali da proporre al pubblico
italiano, poiché «lobiettivo era […] di trovare un equilibrio tra amusement e cultura, tra superficiale e
veloce consumo e approfondimento» (p. 85). Il volume si
conclude con lintervento di Valentina
Garavaglia, dedicato al Grassi editore e critico teatrale. Dagli esordi nelle
prime redazioni milanesi ai contributi su «Corrente», fino agli scritti
politici per il giornale «Avanti», si confronta «quotidianamente con la
situazione teatrale del Paese, svelandone le tensioni culturali e sociali, con
unattenzione particolare alle categorie “deboli”, nellottica dellappartenenza
a un socialismo umanitario» (p. 96). Con le numerose collane di cui diventa
direttore a partire dagli anni Quaranta – da “Collezione Teatro” a “Teatro
Moderno”, da “Il teatro nel tempo” fino al “Teatro” edito da Einaudi – Grassi
vuole che leditoria partecipi alla realizzazione di
unidentità culturale non solo italiana, ma anche europea.
di Isabella Rossi
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