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Giulia Taddeo

Danze futuriste. Testi e pretesti


Benevento, Kinetès, 2023, 298 pp., euro 30,00
ISBN 979-12-80910-09-7

Il volume di Giulia Taddeo prende le mosse dalle avanguardie storiche per tracciare un percorso di storia della danza, in parte inedito, fondamentale per comprendere le varie declinazioni della disciplina lungo il corso del Novecento. I punti di partenza sono il manifesto della danza futurista di Filippo Tommaso Marinetti (1917) e le feconde esperienze dei Balletti Russi che, ispirandosi e collaborando con le suddette avanguardie, hanno nutrito e continuano a nutrire la produzione di danza europea e mondiale. Basti pensare alla versione de L’uccello di fuoco di Maurice Béjart e al più recente Petruška di Virgilio Sieni.

Il primo capitolo, Il manifesto e l’infatuazione russa, mette in relazione i dettami di Marinetti all’operato dell’abile impresario Sergej Djagilev. Anche se non si possono dimenticare le feconde collaborazioni tra Cubismo e Ballets Russes – si pensi alle scenografie e ai costumi di Pablo Picasso per alcuni capolavori come Parade, Le tricorne o Pulcinella –, il Futurismo è il primo dei movimenti avanguardistici a dimostrare apertamente l’interesse per un’arte spesso rimasta marginale. Nel medesimo periodo l’impresario, facendo propria la tecnica del balletto ma allo stesso tempo rinnovandola, restituiva nuova linfa vitale alla danza classica anche grazie a scenografie, costumi, musiche e drammaturgie stravaganti e accattivanti. L’8 luglio 1917 Marinetti firmava il manifesto intitolato La danza futurista; poco tempo prima, a Parigi, debuttava Parade. Si tratta dunque di due percorsi paralleli ma forti di scambi e influenze reciproci.

Più originale risulta l’associazione della danza al manifesto La declamazione dinamica e sinottica (1916). Quest’ultimo disegna i tratti di un nuovo declamatore: abiti anonimi, disumanizzazione, geometrizzazione, impiego di strumenti o oggetti, uso inedito dello spazio. Tali caratteristiche richiamano le pièce più innovative dei Balletti Russi di Djagilev. Il volume ha il merito di registrare accuratamente le fonti, anche se note. Prezioso, in questa ottica, è l’apporto degli articoli di giornale: in particolare, uno anonimo attribuito a Sebastiano Arturo Luciani su Il ritorno di Dioniso, pubblicato su «Il Giornale d’Italia» il 12 aprile 1917; un altro su I nuovi balli russi al Costanzi, di Alberto Gasco, uscito su «La Tribuna» il 14 aprile dello stesso anno; infine una recensione coeva pubblicata su «L’Idea Nazionale», Passatismo e futurismo nei Balletti russi al Costanzi. Accostare paratesti come manifesti (preventivi alle opere) e opinioni della critica (redatte a consuntivo) è un’operazione utile per analizzare il fenomeno da diverse prospettive.

Il secondo capitolo, Luci, automi e macchine danzanti, evidenzia come il rapporto tra macchina e corpo umano, molto antico, continui a modificarsi con lo scorrere dei secoli, complice il progresso tecnologico. Il Futurismo, che esalta la bellezza della velocità e delle macchine, pone questo rapporto in evidenza; il danzatore, dotato di un fisico allenato, ne sfrutta le meccaniche al fine di esplorare forme di movimento sempre nuove. L’autrice affronta anche il tema della luce e dell’illuminazione, elemento fondante in ambito spettacolare a partire dall’avventura del teatro al chiuso. In particolare, tratta del ballo Luce su libretto in versi di Gustavo Macchi (1905), andato in scena al Teatro alla Scala e il cui testo è fruibile tra le pagine del volume.

Segue un paragrafo dedicato a un testo pubblicato sulla rivista «Montjoie! Organe del’impérialisme artistique» scritto da Valentine de Saint-Point nel 1913 e intitolato La Mètachorie. Il titolo significa “al di là del coro” e rimanda alla danza antica che accompagnava le tragedie greche; nel testo si accenna anche al valore rituale che fa della danza un linguaggio stilizzato e «ideista», cioè una danza «suggerita a livello celebrale dall’idea, dalla visione, dal tema da interpretare» (p. 109). A conclusione della prima parte del capitolo, Taddeo propone un estratto dal Teatro del colore di Achille Ricciardi (1919) e una scena di danza da Aviatore Dro. Poema tragico in tre atti di Francesco Balilla Pratella (1920).

Si entra successivamente nel vivo del rapporto uomo-automa e uomo-macchina tramite il lavoro di Fortunato Depero. Anche su questo argomento fanno chiarezza alcune fonti: Le prove generali, articolo su «L’Impero» attribuito a Emilio Settimelli; un episodio da L’alcova d’acciaio di Marinetti (1921); Teatro plastico di Gilbert Clavel, pubblicato in «Comoedia» nel 1915. Per Marinetti il poeta futurista «deve amare ciò che gli uomini hanno inventato e inventano di più meraviglioso: la MACCHINA» (L’estetica della macchina, in «La Fiamma», 4 aprile 1926). Gino Gori riflette invece sulla scenografia, dove il «meccanismo esteriorizzato nelle macchine, qui non è vana pompa; è materia viva del dramma» (Scenografia. La tradizione e la rivoluzione contemporanea: teoria e storia, Roma, Stock, 1926, p. 76).

Il terzo e ultimo capitolo è dedicato alle Pantomime nelle loro declinazioni novecentesche. Si parte con Ileana Leonidoff, poliedrica artista (danzatrice, attrice e cantante) che si cimenta sia nel cinema, sia nella danza, sia come coreografa sia come insegnante. Di Leonidoff l’autrice del volume pubblica Il Mimodramma (apparso ne «Il Mondo» il 14 aprile 1918), «ove l’orchestra ha tutta la libertà sinfonica, e l’azione è più rapida e concisa, offre un campo indefinito per l’autore della musica e del soggetto, e per l’attore, poiché nessuno di essi dipende dall’altro» (Il Mimodramma, in «Il Mondo», IV, 14 aprile 1918, 15, p. 10). Segue il testo de Il castello nel bosco. Azione coreografica in un quadro per la musica di Franco Casavola (Milano, Ricordi, 1931) di Arturo Rossato.

Taddeo introduce poi l’attività del Teatro Sperimentale degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia, soffermandosi in particolare sulla prima stagione (1923) e rimarcandone l’accostamento alla scena futurista. Propone di seguito il manifesto de Il teatro di Varietà di Marinetti, uscito il 29 settembre 1913; un articolo di Piero Gobetti dedicato a Bragaglia direttore di scena e pubblicato in «L’Ora» il 13 ottobre 1923; e un’altra recensione anonima uscita sulla «Gazzetta di Venezia» il 20 luglio 1923 intitolata L’arte di Jia Ruskaia la meravigliosa danzatrice del Teatro degli Indipendenti.

Ci si concentra poi sul Théâtre de la Pantomime Futurista, fondato da Enrico Prampolini e da Maria Ricotti nel 1927. Su questo argomento si registra un’introduzione al programma di sala del Teatro e tre articoli: Enrico Prampolini e la Pantomima Futurista (in «L’Ambrosiano», 12 maggio 1927); Futurismo italiano sulle scene di Parigi di Carlo Sircana (in «Il Torchio», 15 maggio 1927); Penombre di palcoscenico e fantasmagorie di arcoscenico di Vittorio Orazi (ma Alessandro Prampolini, in «L’Impero», 10 giugno 1927). Conclude il paragrafo il testo de La Salamandra. Sogno mimico per una Danza in 5 tempi di Massimo Bontempelli di Luigi Pirandello (1928).

Infine, una sezione dedicata a Giannina Censi, interprete delle cosiddette “aerodanze”, riprende l’argomento del capitolo precedente. A corredo Il teatro aereo futurista di Fedele Azari (1919); un’intervista a Censi di Sofronio Pocarini (Dieci minuti con la danzatrice Giannina Censi, in «L’Eco dell’Isonzo», 30 maggio 1931); la poesia Decollaggio di Filippo Tommaso Marinetti; le definizioni di “ritmo”, “euritmia” e “spazio scenico” tratte da Ritmografia di Antonio Chiesa (Milano, edizione fuori commercio, 1932, pp. 8-10); e una recensione di Ettore Romagnoli, Tre arti in una (in «Il Resto del Carlino, 14 luglio 1932), che condensa poesia, musica e danza.


di Benedetta Colasanti


Danze futuriste. Testi e pretesti

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