«Cosa hanno in comune, nel
Settecento italiano, un notaio napoletano, due massoni fiorentini e un monaco
olivetano dellEmilia-Romagna? La risposta è: il teatro» (p. 13). Così Gianni
Cicali introduce il suo lavoro sul teatro del secolo dei Lumi, indagato attraverso i profili e le opere di
quattro drammaturghi di diversa estrazione socio-culturale, coinvolti a vario
livello con leresia e la censura
ecclesiastica. Pubblicato allinterno della collana “Biblioteca teatrale”
diretta da Ferruccio Marotti, il volume è
organizzato in tre corposi capitoli, con una ricca appendice documentaria a
corredo, e rilegge, nella prospettiva della blasfemia e dello scandalo, la
produzione drammatica del notaio partenopeo Pietro Trinchera (1702-1755), dei
massoni toscani Tommaso Crudeli (1702-1745) e Giulio Rucellai (1702-1778) e del
frate emiliano Francesco Ringhieri (1721-1787), in rapporto sia con il
rigorismo cattolico e il fanatismo teologico, sia con il progressivo
riformismo, politico-culturale, che caratterizzarono lepoca.
Trinchera scrisse soprattutto opere
buffe e commedie dialettali in napoletano, come La moneca fauza
(1726), dove spesso tratteggiò ironicamente personaggi di notai, finti frati e
finte suore gaudenti insieme a molti caratteri popolari, di cui era solito
prendere le difese; nella sua carriera incappò in problemi con la giustizia
ecclesiastica per il libretto La tavernola abentorosa (1741), giudicato
riprovevole e immorale. Crudeli e Rucellai, scomunicati da ben due papi in quanto eretici-massoni, meditarono sul teatro
con riflessioni moderne, premonitrici delle teorizzazioni goldoniane: il primo
lo fece nelloriginale prologo a Il superbo (1745-1746), versione
italiana del Glorieux del commediografo francese Philippe Néricault
Destouches (1680-1754); il secondo nella lunga prefazione alla sua pièce
più significativa, Il tamburo (1750), altro riadattamento di una
commedia di Destouches. Alcuni anni più tardi Ringhieri, lettore di teologia ma
anche tragediografo di grido, pubblicò il suo pensiero sullarte scenica nel Ragionamento
proemiale e apologetico intorno ai teatri (1775), unopera ritenuta
scandalosa dallortodossia cattolica, tra laltro, per la difesa della
partecipazione dei religiosi come attori in commedie e tragedie nei collegi e
nei conventi.
Il primo capitolo è dedicato alle
traduzioni in italiano delle commedie di Destouches nellambiente massonico
fiorentino, di cui furono protagonisti Crudeli e Rucellai: una pratica
letteraria legata allArcadia e alleditoria teatrale anglo-francese,
anticipatrice di un clima favorevole alla “riforma”
del teatro comico promossa esattamente alla metà del secolo da Carlo Goldoni (1707-1793).
Il celebre drammaturgo veneziano, da avvocato, sarebbe infatti entrato in
contatto con lo spirito riformista, illuminato e anticlericale del
cosmopolitismo arcadico-massonico toscano durante un soggiorno nel Granducato
(tra il 1744 e il 1748), grazie alla frequentazione di intellettuali, religiosi
e professionisti (politici, avvocati, medici), fra i quali, appunto, gli
eruditi Crudeli e Rucellai, con cui condivise sia linteresse per le istanze
estetico-teatrali riformate dei prodotti francesi, sia la proposta culturale di
svincolare la prosa nostrana dalle ingerenze teologiche e religiose. In questa
temperie di rinnovamento «si sviluppò una ricezione e una condivisa necessità
(tra alcuni intellettuali delle classi privilegiate) di una riforma del teatro
italiano comico che consentì a Goldoni di trovare il sostegno per la sua
riforma ma anche arrivare a una sintesi drammaturgica di un genius loci
in cui far attecchire il proprio talento teatrale legato alla profonda e unica
conoscenza della scena, allesperienza e alla frequentazione degli attori e
delle attrici, delle alchimie (a volte complicate) dei ruoli» (p. 39).
Il secondo capitolo mette in luce
la poliedrica figura del notaio, commediografo, librettista, poeta e impresario
Trinchera, riscoprendone la drammaturgia, oltre
ai guai giudiziari con la Chiesa e con il fisco, nel contesto vitale ed
eterogeneo della scena comico-dialettale, di parola e in musica, del primo
Settecento napoletano. Appartenente a una famiglia piccolo borghese del ceto
notarile, Trinchera dimostrò una precoce e notevole arte drammaturgica che, col
tempo, lo pose ai vertici dei legali-librettisti coevi, su tutti Antonio
Palomba (1705-1769). Autore raffinato e colto, nella sua scrittura,
contraddistinta da una spiccata ironia civile verso lestofanti profittatori
della religione, il “mondo” del teatro trova ampia rappresentanza in virtù di
uno speciale rapporto di Trinchera con compositori, interpreti e spettatori, ma
anche per il ricorrente e sapiente uso di elementi della Commedia dellArte nei
libretti per musica. Polemico contro il pedantismo contemporaneo e improntato
al realismo, il suo teatro rivitalizzò il personaggio del notaio napoletano,
sbeffeggiando lambiente notarile e i nuovi nobili, che mise in scena con
maestria grazie anche a grandi attori-cantanti, come il buffo Gioacchino Corrado
oppure il tenore Simone De Falco. Quella di Trinchera fu «vera pratica teatrale
non esercizio teorico, di traduzione, in parte di arrangiamento/adattamento»
(p. 102), caratteristica che lo distingue dal circolo dei traduttori arcadi e
massoni. Cicali, riordinando criticamente i dati, precisa le motivazioni alla
base del suicidio in carcere di Trinchera, che ne ha fomentato la fama postuma
di martire-vittima della censura ecclesiastica, erroneamente ricondotte da una
parte della storiografia alle persecuzioni patite per la licenziosità della sua
produzione melodrammatica, ma in realtà da ricollegare a onerosi debiti
economici.
Il terzo capitolo, infine, si
concentra sul profilo storico-teatrale del padre olivetano Ringhieri, di
famiglia aristocratica imolese, e sulla ricostruzione di alcuni allestimenti di
suoi testi attraverso il materiale documentario relativo al teatro del Cocomero
di Firenze, con particolare attenzione al citato Ragionamento proemiale e
apologetico intorno ai teatri (trascritto integralmente in appendice), che
a metà degli anni Settanta del 700 si inserisce nel dibattito sulla riforma
drammaturgica e performativa. Tragediografo di successo, tacciato di eresia per
una certa libertà nei confronti delle regole di composizione dei drammi e delle
unità aristoteliche, Ringhieri fu fin da giovane attore tragico nei collegi e
nei conventi e perciò malvisto dalla corrente “rigorista”
cattolica, pervasa da fanatismo antiteatrale, con cui si scontrò ripetutamente
nel corso della sua carriera di monaco-drammaturgo-teatrante. I suoi scritti
teorici «ci consegnano la figura di un religioso che oltre a essere lettore di
teologia era anche coinvolto in polemiche dai toni accesi su tematiche relative
al teatro e alla sua difesa» (p. 180), dove si schierò a favore della riforma
goldoniana e si proclamò sostenitore dei sovrani illuminati protettori delle
arti. Ringhieri compose le sue pièces con una notevole varietà di versi,
ispirandosi a temi storico-civili e biblico-religiosi, fino a costruire un
repertorio mescidato di opera seria e macchineria di eredità barocca, spesso
con intrecci amorosi legati a caratteri femminili, che ottenne grande
popolarità sia nei teatri religiosi sia in quelli commerciali, tra i
professionisti e nel mercato editoriale italiano del secondo Settecento.
Lapprofondita
disamina degli excursus artistico-biografici di questi quattro scrittori
drammatici fa emergere come essi, da angolazioni diverse, pensassero al destino
e al ruolo del teatro insieme alle modalità di composizione e alla riforma
della drammaturgia, in anni in cui, nonostante lilluminismo, permanevano
sacche di rigorismo cristiano che influenzarono la vita sociale, confermandosi
particolarmente efficaci nel condannare lo status dei mestieranti e nel
predicare e sentenziare contro larte drammatica. «Cosa e chi è eretico? La
diversità e la libertà sessuali e sociali, o la devianza drammaturgica?» (p.
19). Da queste domande ha origine lesigenza di riscoprire criticamente un
capitolo fondamentale della storia del teatro italiano, analizzando, confrontando
e contestualizzando i profili e loperato di alcuni suoi protagonisti più o
meno conosciuti, che per le differenti provenienze geografiche ed estrazioni
socio-culturali
rappresentano un ottimo campione del variegato scenario teatrale settecentesco.
Con unattenta e articolata
analisi di una varia messe di fonti (documenti darchivio, manoscritti inediti,
epistolari, testi e prefazioni, libri di viaggio, gazzette), lette
nelloriginale e multifocale prospettiva delleresia (religiosa, massonica,
drammaturgica, teoretica), Cicali fa convergere accurate ricerche precedenti
(ricontestualizzate e aggiornate) con indagini nuove e più recenti, restituendo unampia e
dettagliata panoramica su un secolo di «teatro, rivoluzioni, accademie, conversazioni
(riunioni più o meno colte o frivole), scienze, filosofia, colonialismo e sue
conseguenze, massoneria e riforme» (p. 15), che costituisce anche una cruciale fase di transizione storica dallantico al nuovo regime.
di Andrea Simone
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