Nella forma di monologo, la pièce
in atto unico del drammaturgo ivoriano esprimeva, nella prima edizione del 1998
e in modo icastico e provocatorio, la potenzialità musicale della lingua
poetica dellautore. La nuova edizione conferma la qualità drammaturgica tipica
della strutturazione secondo il ritmo del jazz che lo scrittore ama e predilige
quale ispirazione perenne dei suoi testi (cfr.
K. Kwahulé-G. Mouëllic, Frères de son. Koffi Kwahulé et le jazz: entretiens, Montreuil-sous-Bois, Éditions
Théâtrales, 2007).
Nella sua dizione manchevole, il
titolo segnala sia la sua impronta musicale sia, in quanto nome della
protagonista, la ferita per la violenza da essa subita. Il dramma promette
dunque una ricostituzione identitaria della donna (Jaz) che dialoga con la
proiezione di sé stessa e con lamica Oridé, mentre alimenta una vicenda di
analogia sostanziale fra la persona e il creatore della musica presente in
scena: «Un jazz (un seul instrument) qui, de temps à autre, troue / est troué,
enlace / est enlacé par la voix de la femme» (p. 7). Il personaggio Oridé, «la
fille belle à réveiller un mort» (p. 16), muore (nel racconto onirico di Jaz)
per una specie di generosa oltranza nel dono di sé. Avendo sempre praticato lo strip-tease
quale professione, Oridé lo segnava però duna ritualità decisamente sacrale,
che la rendeva fragilissima allurto con la sensibilità volgare e quotidiana.
Insofferente al teatro di narrazione allitaliana,
lautore intreccia le varie voci del personaggio mutante con una sofisticata
allusività ai suoi “doppi” latenti, alle sue più metaforiche valenze. Poetico
difensore della femminilità generatrice – non soltanto materna, ma amante nel
senso più unitivo sessualmente – denuncia la diffusa negazione di tale identità
ontologica, perpetrata lungo secoli di malintesi rapporti fra i sessi. Così il
drammaturgo ha interpretato dallinizio la violenza contro le donne, come nella
tragedia coralmente lirica Bintou (1997, rappresentata a Genova nel
2000) e in Nema (2011).
Lambientazione, ravvivata dalle
notazioni didascaliche visive, ha per sfondo un condominio, in un quartiere
cittadino degradato, dove però i luoghi hanno nomi stranamente delicati: place
Bleu-de-Chine, bistrot de lAnge, rue Jaune-dŒuf, in ulteriore contrasto con
la realtà cruda del contesto urbano contemporaneo. Jaz subisce la violenza
forsanche perché ha assunto simbolicamente la bellezza dellamica: «Cest
indécent comme Jaz est belle» (p. 15). Appresta allora la vendetta minuziosa
contro lo stupratore, seguendolo nella latrina pubblica a gettone e sparandogli
là dove era stata umiliata. I toni da melodramma acquistano tuttavia un lirismo
turgido di simbolismi, molti dei quali, nati dalla “africanità” delle origini,
trovano complesse dissonanze con luniverso teso alla bellezza e allenergia
universale così naturalmente impersonata dalle donne. Talvolta ne risente anche
limpaginazione, che induce la scrittura versificata a compiacersi nel
profilare una vaga figura femminile, in cui musica, significati ed emozioni si
illustrano tipograficamente: «Dabord / une note / puis une autre [...] pour /
arracher le secret du / silence explosant [...] et enfin / rythmer le Nom dont
/ on ne saura jamais la nommer» (p. 40).
Del drammaturgo, artefice da
decenni di un tipico, pregnante metissage fra culture intercontinentali,
diverse pièces sono state recensite su questa rivista. È opportuno
ricordare che la creazione mondiale di Jaz (in italiano) è avvenuta nel
luglio 2000 a Roma, con la regia e linterpretazione di Daniela Giordano. Si
trattò allora di verificare la potenza sconcertante duna scrittura composta
per lavvenimento scenico e apprezzabile come tale. Oggi alla lettura se ne coglie meglio loriginalità linguistica durevole,
nella funzionale novità sia di parola in azione, performativa, sia di
partecipazione a un destino comune, che responsabilizza tutti e tutti
artisticamente unisce.
di Gianni Poli
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