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Noi, i Fratellini

A cura di Teresa Megale
Traduzione di Antonia Liberto

Roma, Tab edizioni, 2022, 256 pp., euro 23,00
ISBN 978-88-9295-576-9


Fa parte della collana “Voci di scena” diretta e curata da Teresa Megale, tradotta per la prima volta in italiano da Antonia Liberto, l’autobiografia di Valentino Albert Fratellini unisce diversi materiali: memorie, pensieri, dediche di personaggi celebri, ricordi. Organizzata in un prologo e sei capitoli, racconta di Albert, il più piccolo di quattro fratelli, e della sua famiglia, fra le più longeve nell’ambito circense del vecchio continente. Il trio artistico, composto da Paul, François e (alla morte del maggiore Louis) Albert, raggiunge il maggior successo in Francia durante gli anni Venti e Trenta del Novecento. I clown Fratellini alimentano un mito, le cui testimonianze si riflettono in film, musiche, fotografie, manifesti, fumetti, per tutto il corso del Novecento.

 

«Ah! la pista… chi mi ridarà la pista, il pubblico, gli applausi, le chiacchiere nei camerini? Chi? Nemmeno io stesso ne sono capace» (p. 34). Il prologo si apre con le parole di Albert che non accetta di non essere più in scena: la gente non crede che lui possa sedersi ad un tavolo e scrivere le sue memorie, la sua biografia. È un vecchio clown, che non ha piacere di essere trattato da guitto, da saltimbanco o da strampalato perché lui il mestiere lo ha nel sangue. «Sono un uomo di circo e se un giorno sarò accolto in Paradiso – come spero – Dio forse mi considererà come uno dei suoi buoni soci» (p. 35).

 

Il primo capitolo si apre con il padre Gustavo, nato in una famiglia di artigiani fiorentini, che sceglie il mestiere circense. Abile trapezista e clown, sposa una giovane lavandaia incontrata a un ballo del quartiere, che vive la sua esistenza occupandosi dei figli e del marito, spesso nei peggiori alloggi di fortuna. Ai Fratellini viene sin da subito impartita un’educazione al mestiere attraverso la pratica diretta, sotto la guida paterna, formandoli attraverso complessi esercizi acrobatici e abituandoli a adattarsi alla vita girovaga. All’età di quattro anni Albert realizza il suo primo salto mortale, evidenziando come Gustavo ha fretta di unirlo al numero familiare. «L’educazione acrobatica, che ci hanno insegnato dalla A alla Z, non era il nostro unico lavoro. Dovevamo essere idonei a comparire nelle pantomime […] e di conseguenza imparare la danza e il mimo». E ancora: «un clown deve aver svolto tutti i mestieri del circo, dal cavallerizzo all’acrobata, solamente allora sarà in grado di far ridere il pubblico» (pp. 60-61).

 

Nel secondo capitolo l’artista racconta del trasferimento dalla Russia – luogo di nascita e di prime esperienze lavorative – a Parigi, nel quartiere di Montmartre, dove trascorrerà la maggior parte della sua vita. A sedici anni inizia una grande tournée attraverso la Francia con il Circo Plège, con François come cavallerizzo e lui, il padre, Louis, Paul come acrobati. Abituati al pubblico russo, tedesco e francese, si recano poi in Inghilterra e «fummo innanzitutto colpiti da quella che viene chiamata “flemma inglese”» (p. 102). È qui che Albert elabora il suo prezioso tesoro: l’abbigliamento largo e trasandato e il trucco.

 

«Sono dunque partito dall’Inghilterra con il mio trucco […] che ha ottenuto il successo che sapete. Si è visto affisso in tutte le capitali […] nei luoghi più inaspettati […] la mia faccia era anche nei gabinetti pubblici» (p. 119). Si apre così il terzo capitolo prima di raccontare della dipartita del caro fratello Luis – grazie al quale nasce il famoso trio – e della storia, simpatica e complicata, dell’amore per l’artista Amelia de Palma che sposa – fuggendo con lei per tre giorni – in gran segreto. Albert esalta la comicità dei Fratellini come un dono di natura. Far ridere senza una preparazione, senza imbrogli, mantenere le risate senza cedimenti, fino all’uscita dalla pista, sono i soli e unici obiettivi dei fratelli. Il lato solare è la loro unica direzione e il riso il loro inseparabile compagno di avventure. «Aver divertito gli scandinavi, i russi, i tedeschi, i cechi, i danesi, i polacchi, i romeni, gli austriaci, gli ungheresi, i belgi, gli olandesi, gli inglesi, gli italiani, gli spagnoli, i portoghesi, gli arabi, i francesi […] è stato un bellissimo tour de force e siamo fieri di esserci riusciti» (p. 122).

 

Il quarto capitolo racconta di alcuni avvenimenti durante la Grande guerra. La fama di molti acrobati, funamboli, artisti equestri – tornati in patria per servire il proprio paese – comincia a svanire e il circo subisce una grave crisi dovuta al fatto che i suoi migliori elementi si disperdono. Anche Albert, idoneo alla leva, decide di arruolarsi nella Legione straniera, malgrado in molti lo persuadono a rimanere in “uno status quo più confortevole”. Uno dei musicisti del Medrano riesce così a trovargli un lavoro in uno degli stabilimenti della periferia parigina per occuparsi della difesa nazionale e per non fargli abbandonare i fratelli, rispettando l’ingaggio al Medrano. «Senza perder tempo a togliermi la tuta da operaio, fuggivo ogni sera al circo e prendevo il primo treno all’alba per andare a “girare” le cartucce dei proiettili» (pp. 171-172). Gli anni passati in questo circo sono inoltre legati all’amicizia con il signor Bonten e della signora Medrano, che annullano le barriere esistenti di norma tra artisti e direttori.

 

Il quinto capitolo mette in luce il momento in cui nel 1930 Desprez ha l’idea di promuovere un tendone itinerante per la Francia, il Cirque Fratellini, approfittando del grande successo dei tre artisti. L’impresa, però, ha vita breve: dopo un’unica tournée il circo viene chiuso e demolito. Il direttore si ritira e, nonostante una sentenza che lo costringe a versare milioni di danni e interessi, i Fratellini non ricevono nulla. Nel 1928, per la prima volta, approdano in Italia per una serie di spettacoli durante i quali si esibiscono al fiorentino Politeama, a Milano e a Roma, dove sono ricevuti da Papa Pio XI e da Mussolini. Girano la penisola almeno nel 1932 e nel 1933, arrivando anche a Napoli e Palermo. In Italia Albert acquista la sua prima e tanto desiderata auto – grazie ad André Citroën – che, col nero e il rosso brillante, richiamava le tinte del suo maquillage: «rappresentava i colori del mio personaggio e come ero vestito in pista! Quest’auto mi piaceva, anche più della Peugeot che acquistai più tardi, sulla quale feci montare un motore Bugatti. Quante volte ho ingannato gli amatori delle competizioni che, in strada, vedevano trasformarsi all’improvviso quella pacifica auto familiare in un bolide!» (p. 215).

 

Ecco l’incipit dell’ultimo capitolo del volume: «giunto quasi al termine di questo libro, mi accorgo di avere ancora molto da dire. Ma come scegliere tutti i fiori in questo mazzo di aneddoti e ricordi?» (p. 225). Albert evidenzia come per molto tempo – in veste di clown – ha sorriso solo in pista, soprattutto dopo la perdita degli altri suoi fratelli e della sua unica figlia Alberta-Louisette, morta nel 1931. Eccellente artista, è la sua spalla in La Java, una delle migliori entrate, che piace tanto al pubblico. Un talento comico suona il violino, il sassofono, il trombone e il pianoforte. «Non possono comunque immaginare quanto è amara la sorte di un clown. Sono sceso dalla pista a Lione ridendo, mentre la bara contenente le spoglie di mia figlia si stava incamminando verso il cimitero» (p. 229). Malgrado tutte queste vicissitudini l’artista riesce a tenere a galla il loro nome «perché il nome dei Fratellini deve rimanere, per coloro che ci hanno conosciuti e per le generazioni a venire, il simbolo della gioia che dilaga, come una tempesta, sui gradoni del circo. Non resta altro che […] con una grande risata e una capriola, si congeda da voi, cari lettori» (p. 237).

 

Noi, i Fratellini costituisce una straordinaria testimonianza sulla vita dei celebri clown. Fin dall’introduzione, si manifesta l’intenzione di rendere il volume una “fonte preziosa sul mondo dello spettacolo popolare dalle rigide leggi interne”. Il testo offre un valido contributo alla ricostruzione delle prassi circensi dell’omonima famiglia, sulle fragilità e sull’alienazione di un mondo fatto di allenamento quotidiano, di regole inflessibili. Il volume si chiude con un suggestivo apparato iconografico e la bibliografia.




di Stefania Prisco


La copertina

cast indice del volume


 



 
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