Attore di cinema e di teatro, Gérard Philipe (1922-1959) ha riassunto
in sé il divo, leroe epico romantico e il raffinato (pure simpatico)
intellettuale, capace di rappresentare ideali di impegno civile e darte
espressiva al massimo livello. La biografa si preoccupa di ricostruire
unimmagine di solida storicità, che distingua la persona dalla mitografia
facilmente sovrapponibile alla realtà. Si consola del fatto che in Francia, al
momento della morte prematura dellartista già famoso e molto amato, non vi
fossero condizioni propizie a mitizzarlo, comera accaduto per altre figure
hollywoodiane. Gli riconosce tuttavia una «épiphanie héroique», per cui, nel
compimento del suo destino, «on nopposera donc pas ici lacteur et son mythe:
on distinguera simplement la relation des faits de la fable mythique qui les
nimbe. Le récit suivra le déroulement dune carrière dacteur dans son cadre
historique, culturel et humain» (p. 15).
Dallesperienza di chi lo
conobbe, collaboratore e amico, lautrice trae ricordi soprattutto scritti, per
usarli a testimonianza probante sulla vita singolare di un artista sincero che
amava esprimersi in comunità e solidarietà. Lambito famigliare segna la
crescita del bambino, orienta i gusti delladolescente, in sintonia con il
carattere e le inclinazioni materni. La madre lo accompagna a incontri dai
quali nascono frequentazioni favorevoli alle scelte artistiche del giovane,
curioso e avido di occasioni comunicative. La condizione sociale del padre, Marcel Philip, inserito nel milieu borghese di Grasse, gli permette
uneducazione presso la scuola cattolica.
Frequenta poi Giurisprudenza a
Nizza, mentre lattrazione per lo spettacolo lo avvicina al teatro e
soprattutto allambiente del cinema che a Cannes ha il suo fiorente centro di
formazione e di produzione (base per il Festival internazionale). Là conoscerà
il cineasta Marc Allégret, durante
loccupazione tedesca. La partizione della Francia in due a metà secolo
condiziona la vita pratica e intellettuale di Gérard, che esordisce comunque
nel Sud, scavalcando la situazione di stallo calata sulla capitale, esautorata
del suo primato culturale.
Brevi capitoli scandiscono
cronologicamente lavventura personale in tanti episodi significativi della
maturazione e dellaffermazione di un talento intraprendente. Ne è esempio il provino
per la parte di Fantasio, protagonista dellopera eponima di De Musset, nella quale laspirante attore si caratterizza romantico buffone.
Entra in amicizia con personalità
dello spettacolo quali Renoir, Gance, Allégret, Resnais e con Jacques Matarasso, libraio che accoglie
artisti in un sodalizio spontaneo ed eterogeneo.
Per compiacere la madre, adatta il cognome, da Philip a Philipe. Con Allégret
gira i primi film, Les Petites du quai
aux fleurs (1944) e La boîte aux
rêves (1945). Quando il padre si trasferisce a Parigi, gestore dalbergo
grazie a simpatie verso i tedeschi (finirà condannato, in contumacia), lui lo
segue per la propria strada. Così otterrà, in Sodome et Gomorrhe (1943) di Giraudoux,
il ruolo di un Angelo, recitato a lungo con successo. Eminenze teatrali come Jean Cocteau e Maria Casarès lo lodano e lo sostengono.
Documenti inediti informano sul
suo apprendistato al Conservatorio: incontra difficoltà con gli insegnanti di
recitazione classica, ma sintende con Georges
Poulot. La scelta del momento è ladesione alla Resistenza, facendosi il
“portavoce” (cioè megafono) del comandante dun gruppo operativo. La vocazione
attoriale si riconferma alla scuola del nuovo, definitivo maestro, Georges Le Roy. Al Théâtre des
Mathurins Gérard trova la grande occasione di interpretare Caligula di Albert Camus:
è il passaggio, involontario e significativo, dalla
poesia alla tragedia contemporanea. Lautrice recupera le probanti recensioni
della “prima”, con la regia di Paul Œtty.
Per amnesia, purtroppo ricorrente nella storiografia francese, non rileva la
vera creazione mondiale (con la regia di Georges
Firmy, alias Giorgio Strehler),
avvenuta pochi mesi prima a Ginevra. Ancora per defezione dellinterprete
designato, potrà subentrare a Barrault
nel film Lidiot (da Dostojevskij, 1946) con regia di Lampin.
La biografia avanza decisamente
verso la centralità matura della carriera dellattore, sia cinematografica sia
teatrale. Limpegno per la scena, dopo la prova entusiasmante desordio al
Festival dAvignon, in Le Cid (1951)
consegue un apice difficilmente ripetibile di gradimento e di qualità artistica
entro pochi anni di rassegne estive presso il Palais des Papes. Frattanto, con
una compagnia chè venuta costituendosi attorno
al rilanciato Théâtre National Populaire, sostenuto da Jeanne Laurent e affidato a Jean
Vilar nellestate 1951, lo spazio, ribattezzato, del Théâtre de Chaillot si
prepara ad accogliere le creazioni avignonesi.
Molte pagine sono dedicate alla
frequentazione di Philipe, tramite Vilar, degli autori contemporanei. Il
progettato ampliamento del repertorio, più volte ripreso, incontra difficoltà e
di programmazione e di scelta drammaturgica, fino a doverne registrare lo
scacco. Anche in tal caso, Winter
produce documenti sfuggiti a precedenti indagini su Vilar e sul suo teatro,
sullesigenza frustrata dun “repertorio” nuovo, degno della fama che il Théâtre
National Populaire sera conquistato con i classici. Speciale risalto tocca
allora alla regia di Lorenzaccio di
De Musset, che Philipe assume per la malattia improvvisa di Vilar. Bella e in
parte non vulgata, loperazione di confluenza delle due visioni estetiche,
nelle quali sensibilità dellinterprete protagonista e direzione impressa dal patron (con ladattamento del testo) si
completano nel successo duna rappresentazione fuori della tradizione francese
precedente, che aveva preferito una donna nel ruolo di Lorenzo de Medici:
«Gérard Philipe redonne à Lorenzo sa pleine dimension metaphysique et
politique» (p. 198). I colleghi coinvolti testimoniano il contributo del
regista occasionale alla valorizzazione dellautonomia personale di ciascun
collaboratore.
Nella durata duna vita troppo
breve, spicca la concentrazione dellimpegno sia nel cinema sia nel teatro, che
il suo rapporto con Vilar riesce ad ampliare. I ruoli ricoperti in tante
rappresentazioni-modello, da Le Prince de
Hombourg a Le Cid (1950-1951),
dagli esiti prestigiosi, suscitano entusiasmo con Lorenzaccio, Richard II e Ruy Blas. Nel periodo definito “épopée
populaire, héroisme civique (1951-1952)”, le troupes pubbliche e private gli rendono merito per essersi posto
«aux service des acteurs et de leur métier» (p. 173). Il favore degli
spettatori è avvalorato dai giudizi critici, suffraganti la qualità delle
rappresentazioni. Le creazioni di opere di De Musset dimostrano infine la
dedizione al drammaturgo amato del dittico Les
caprices de Marianne e On ne badine
pas avec lamour, nei quali senso poetico e intima sensibilità si
commisurano allautentica natura dellinterprete.
In politica, la scelta del
Partito comunista si compie in sodalizio con Yves Montand e con Claude
Roy, pentito dopo una fase collaborazionista. Le posizioni sono motivate
sia come superamento degli errori paterni, sia come risarcimento civile. La
gravità della malattia, taciutagli dalla moglie, è pietosa reticenza che gli
prolunga forse il sogno di potere interpretare Amleto.
Quel
héritage? (1960-2022) traccia un tentativo di bilancio
che compendi la portata di uno sforzo civile e di un apporto artistico fusi e
concordi. Per la considerazione privilegiata in cui lo teneva Vilar, era palese
che Philipe potesse succedergli alla direzione del Théâtre National Populaire quale
erede naturale. Il destino impedì la successione auspicata. Nel ripercorrere la
storiografia postuma, lautrice accredita allartista i molti meriti emersi da
ricordi e pubblicazioni. Fra essi, segnala lantologia discografica (registrata
con Maria Casarès), Les plus beaux poèmes
de la langue française (Disques Festival, 1959).
di Gianni Poli
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