LAvvertenza editoriale informa sulla scelta di
pubblicare in copia anastatica la tesi discussa dallautore nel 1983, senza
aggiornarla ed emendarla. Accostare quello studio riapre così una ricerca
inedita e preziosa per scoprire, nella realtà della scena italiana
dellOttocento, la generale mancanza di musiche composte specificamente per lo
spettacolo drammatico. Il caso di Ristori, esemplare per valore artistico
e aspetto imprenditoriale, mostra, nella sua eccezionalità, lanticipazione
duna funzione destinata ad affermarsi nel nuovo secolo con il mutamento della
messa in scena.
Lautore, che si laureava allora con Ferruccio Marotti e Ferdinando
Taviani, avrebbe confermato la sua sensibilità al problema dei rapporti fra le
arti dello spettacolo, continuando una carriera di compositore apprezzato per
lavori operistici, strumentali, di balletto e di commenti musicali per il
teatro. I limiti della ricerca sono dichiarati nel «ricostruire la storia
esterna delle musiche. […] Fornire una analisi descrittiva delle musiche. […]
Individuare e valutare la funzione drammaturgica della musica nellambito dello
spettacolo ristoriano» (pp. 3-4). Lesame della situazione induce DAmico a
prendere atto dellassenza della componente musicale nello spettacolo
drammatico in Italia, nel periodo doro del grande attore. Il confronto con
lambito europeo indica una decisa svolta soltanto nel dopoguerra, in
concomitanza del consolidarsi della regia quale nuovo principio ordinatore
della rappresentazione.
Fra i documenti in repertorio relativi ai dieci titoli
esaminati, sette corrispondono alle caratteristiche della categoria indagata. I
contributi musicali, di qualità e misura diseguali, sono sufficienti a vagliare
funzioni, modalità duso e risultati estetici. Pure, “cavalli di battaglia”
quali Maria Stuarda ed Elisabetta regina dInghilterra non
risultano corredati da musiche. La verifica dei documenti rileva che diversi
firmatari delle partiture restano ignoti quali autori riconoscibili.
La competenza musicologica del laureando già garantiva giudizi
calzanti e coerenti, a partire da Mirra di Vittorio Alfieri (1853-1855)
e da Medea di Ernest Legouvé, prime partiture esaminate.
Al successo di Medea, creata a Parigi nel 1856, non corrispose
riscontro adeguato per la musica dichiarata di Iulius Cariot, autore privo
di referenze storiche. Lo spartito superstite è per arpa, probabilmente
impiegato nel rispetto delle didascalie del testo, così lo studioso ipotizza
alcuni «accoppiamenti fra brani musicali e azioni sceniche» (p. 23), coerenti
con quel criterio. Per Camma, tragedia dellitaliano Giuseppe
Montanelli (esule in Francia), le parti riguardano due arpe e il trio
violino, viola e violoncello. Certi dettagli riguardano il modo duso nei
riferimenti agli “attacchi”, talvolta riconoscibili sulla musica
dallindicazione della “battuta”. Logica suggerisce che fosse attribuito agli
archi il ruolo di sostegno e di rafforzamento della melodia principale (p. 27).
Un commento di cronaca attesta il rimarchevole impatto emotivo ottenuto
dallesecuzione.
Il pubblico parigino assistette conquistato alla recita in francese
di Béatrix ou la Madone de lart (Legouvé, 1861). Loccasione
comportava un più sofisticato apporto musicale, in quanto alcuni episodi della
commedia richiedevano laccompagnamento della protagonista da parte di
strumenti. I brani sono più ampi, articolati, evidentemente collegati
allazione. Viene sottolineato, ad esempio, per lo scioglimento dai sentimenti
forti e di significativo registro patetico, luso di un tema riconoscibile, il
«dolce e sentimentale Andante cantabile – quello del primo
incontro fra i due amanti nel secondo atto – con un effetto sul pubblico
facilmente immaginabile» (p. 33). La tragedia Norma di Alexandre
Soumet fu recitata da Ristori in italiano a Pietroburgo nel 1862. La
partitura era prevista da eseguirsi “nellatto quarto” dal firmatario
autore Gaetano Malaguti, anchesso personalità non documentata. Lesigenza
musicale nasce ancora dalla didascalia che prescrive: «Un suono darpa
accompagna la voce di Norma» (p. 35). Prosegue DAmico: «Le musiche per
la Maria Antonietta di Paolo Giacometti a causa
della loro ampiezza e grandiosità, si staccano nettamente da tutti gli altri
commenti musicali utilizzati dalla Ristori» (p. 37). La dimensione
organizzativa tendeva infatti a potenziare la redditività dellimpresa a
livello industriale, mediante una pubblicità adeguata. La creazione newyorkese
(1897), straordinaria per cura e ambizioni, è seguita nellelaborazione
dellimponente partitura, che vede il ricorso a due compositori (Paolo Giorza e Roberto
Stoepel) per poi richiedere il contributo di un terzo autore (Franco Faccio)
quando lopera savventurò in una lunga, fruttuosa tournée.
Molto dettagliata è lanalisi delle trascrizioni musicali,
indice della vicenda del loro uso in luoghi e tempi diversi. Si accerta così la
prassi di una professione soggetta a gusti e circostanze variabili, nei segni
autografi apportati dagli esecutori alle loro carte, di alto interesse storico
ed estetico, pervenuteci in stato di conservazione insperabile (p. 45).
Allesteso capitolo, segue quello su Macbeth, necessariamente
ridotto per scarsità di notizie probanti e comunque documentato sulle carenze.
Caso a parte, Les deux reines de France, dramma di Legouvé previsto
per la creazione di Ristori nel 1865 ma mai da lei allestito. Con le musiche
di Charles Gounod, la prima rappresentazione si ebbe nel 1872. Nelle Considerazioni
riassuntive si considera come il gusto per il melodramma abbia
influenzato la concezione scenica della Ristori (pp. 88-89), concorrendo al
successo grande e duraturo della sua arte.
Si conferma la notevole sensibilità dello studioso nel
verificare le conseguenze drammaturgiche sulle rappresentazioni e nel comparare
queste esperienze precorritrici a esiti in seguito perseguiti dallarte
cinematografica.
di Gianni Poli
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