Il
carnevale, vissuto o
rappresentato dallultima guerra in poi, è il soggetto del Dossier
curato da Sacha Todorov che
interpella chi lo vive, lo celebra e lo studia. Le riflessioni generali sul
significato, ora politico ora antropologico attribuitogli, sono intervallate da
saggi su autori o imprese spettacolari che lo pongono al centro delle loro
azioni espressive. Nel théâtre militant
degli anni Settanta, il carnevale è una costante estetica e ideologica, con
interessanti varianti e contaminazioni, come in certe azioni di piazza in
regioni rurali (Vaucluse), che denunciano la vitalità di forme popolari,
rianimate da impulsi e idee contemporanei. Altrove, i protagonisti del
movimento sessantottino rivedono a posteriori le loro posizioni e discutono
sullincompatibilità fra la liberazione carnascialesca dei corpi e lutopia
rivoluzionaria novecentesca. Lo storico lavoro del Bread and Puppet Theater
trova aggiornamento nel legame con lAssociazione Attac, impegnata per la
giustizia sociale ed ambientale, tanto che «le carnaval est progressivement
devenu un outil de luttes ces dernières années» (p. 29).
È di carattere linguistico
e drammaturgico lo studio di Christine
Ramat sullopera di Valère Novarina,
applicato al «Carnaval des langues» (p. 33) che ne marca loriginalità.
Lapprofondita esegesi entra nella maturità del drammaturgo délite e
richiama la testimonianza di Olivier-Martin
Salvan sugli scambi con il poeta della scena. Risultati notevoli sono
nellimpiego delle facoltà corporee nello spettacolo Pantagruel (2013)
dello stesso Salvan. In Angélica Liddell
lelemento carnavalesque savvalora grazie all«atmosphère sacrée,
empruntée à la liturgie chretienne, associée à un jeu burlesque sattachant à
célébrer les plaisirs de la chair» (p. 47), percepibile in spettacoli quali Terebrante
e Liebestod (2021). La domanda provocatoria, «Galilei roi du carnaval?»
(p. 56), nasce dal raffronto fra il testo di Brecht e la riscrittura che ne offre Lazare Herson-Macarel in Galilée (2019), fino
allutilizzazione di Brecht in Trilogie terrestre (2022) da parte di
artisti-ecologisti quali F. Aït-Touati
e B. Latour. La città di Colonia
(Germania) riannoda esperienze arcaiche a sensibilità moderna nellinterpretare
il proprio carnevale con feste dai contenuti e linguaggi diversi, a quali
partecipano ad esempio i sans-papiers, nello stile della satira
politica. I luoghi comuni sul carnevale brasiliano di Rio, progressivamente
istituzionalizzato, sono illustrati e criticati da V.C. Pereira nei riflessi che, nati dal loro carattere identitario
nazionale, riproducono immagini stereotipate. Infine, fuori dossier, unIntervista
al regista palestinese Bashar Murkus
informa sul suo lavoro presso il Teatro Khashabi di Haïfa (Israele) gli
interessi del quale appaiono aperti a un programma polivalente, dalla
drammaturgia al rapporto con un pubblico sempre più esigente di riferimenti
allattualità. Una memoria inedita di Judith
Malina (1980), risalente allincontro con Valeska Gert a New-York, Souvenirs de Valeska Gert et du Beggar
Bar, chiude il fascicolo.
Il
numero di dicembre rispetta limpegno della rivista a fare il punto, a scadenze
pluriennali, sulla situazione teatrale. Lo scopo dei curatori è di «Tenter
dobserver quelques-uns des “mouvements” de la scène théâtrale publique, ce qui sest
modifiée, ce qui se transforme, ce qui apparaît. [...] Ce dossier revient-il
sur la notion d“expérience”, de “compassion”, les références documentaires»
(p. 3 e p. 19).
Una
tavola rotonda (aprile 2022) attorno al volume Le Cinquième mur (Ed. Les
presses du réel, 2021) discute su una ricerca centrata appunto sulle «formes
scéniques contemporaines et nouvelles théâtralités». Gli esempi indicano
tendenze, modi e forme, mutamenti storici, a confronto con il ruolo rivalutato
dello spettatore, nei casi di Antoine
Vitez (direttore a Ivry e a Chaillot, 1982), di Milo Rau (Famille, 2020), Eszter Salamon (Monument O, 2016), Tiago Rodrigues (Catarina et la beauté de tuer des fascistes,
2012), Rébecca Chaillon (Carte
noire nommée Désir, 2021); fino a Deflorian
e Tagliarini e a Romeo Castellucci, i cui modelli
riecheggiano frequentemente nella critica francese.
LEntretien
di Olivier Neveux è dedicato a Émilie Valantin, sorprendente creatrice
di marionette di lunga tradizione e di fervida invenzione. Dal 1975, è
ripercorsa la sua carriera, maturata con artisti quali Marcel Maréchal e Roger
Planchon ed esperti quali Paul
Fournel e Jean-Guy Mourguet,
erede dellinventore della maschera lionese di Guignol. «Toute tentative pour
styliser, abstraire les marionnettes, pour moi a vite été vouée à léchec» (p.
7), confessa lartista. Così plasma unestetica molto esigente, dalla duttilità
eccezionale – in rapporto alle tentazioni tecnologiche – e la adegua a unetica
severa che bilanci le attese del pubblico e le istanze espressive più
autentiche. Nel 2021, Montélimar ha ospitato una mostra delle sue concrete
figure immaginarie, esempio di storia materiale di unarte alimentata da
tensioni metafisiche.
Quasi
prolungamento del libro Les théâtres documentaires
(a cura di E. Magris-B. Picon-Vallin, 2019), storia,
documento e scrittura scenica si rincorrono nelle analisi delle opere di Adeline Rosenstein, Salim Djaferi e Françoise Bloch. Larticolo di Neveux, Savoirs critiques,
nota allesordio che «la vérité a été progressivement destituée au profit dune
description ou dune introduction à la réalité» (p. 32) e pone domande inquietanti
per i protagonisti e per chi cerca di descriverli e capirli. Ma a conclusione
riconosce che una concezione positiva dellarte accomuna i tre autori. La
reazione solidale dellumanità a situazioni catastrofiche si fa soggetto
drammatico in Milo Rau, Compassion, lhistoire de la mitraillette (2016)
che denuncia lumanesimo cinico dellOccidente, condanna la «compassion
humanitaire» (p. 45) e cerca di demistificarli: «Presenter la compassion comme
un remède aux souffrances du monde est donc illusoire, voire dangereux» (p.
44). Un altro modello drammaturgico italiano appare nellesame di Orestea
(2018) della Compagnia Anagoor, letta come risposta al dolore dellumanità.
Angélica
Liddell emerge fra i creatori più problematici. Nella visione espressa in Liebestod. Lodeur du sang, è
riscontrabile il gusto per la sacralità tormentata di Georges Bataille. Secondo Basset,
ogni spettacolo mostra «limpossible “belle mort” dune dissidente expiant
publiquement son hérésie [qui] interroge lépoque sur ce quelle ne peut
admettre» (p. 52). È spesso difficile cogliere, sotto la provocazione
volutamente irritante, la coerenza intellettuale dellopera, appassionata fino
alloltranza. Suonano così insistite certe ipotesi, volte in profezia in Cicle
de résurrections (2014-2015), come: «Le temps du sacré est venu» (p. 56),
per sfumare in una terminologia religiosa: «[je] ne comprend pas le fait
théâtral sans liturgie et sans transe» (p. 56) che urta molti teatranti e
spettatori attuali. Non turba al contrario gli estimatori di Romeo Castellucci,
del quale si studiano le “inspirations théologuiques” del suo “théâtre du
devenir”, fonti di perpetue trasformazioni, allinsegna del “dubbio” che,
insinuato come devinette, alluderebbe in effetti al mistero (p. 65). Christophe Triau segue il mutare
dellimmagine creativa in scena e finisce per esaminare la “nuova” funzione
registica riproposta dallegocentrismo demiurgico di molti
«auteur-metteur-en-scène» (p. 70). Il saggio accosta personalità e metodi,
estetiche e anche mode lungo vari decenni e trova in Joël Pommerat il tipico «écrivain de spectacles» (p. 71). Chiude
riprendendo la nozione di “représentation amancipée” coniata da Bernard Dort per misurarne la tenuta e
il suo superamento, in una «hétérogeneité centralisée [...] une théâtralité élargie mais où les
éléments se complètent» (p. 76). Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
incontrano Chloé Larmet a partire da
Rewind (2008), omaggio a Café Müller (e a Pina Bausch) e seguendo con Avremo ancora loccasione di ballare
insieme (2021) discutono sullautenticità, «le supplement de valeur accordé
à la réalité» (p. 78) e tentano una risposta in Sovrimpressioni (2022),
discorso sul “goût de lordinaire” che caratterizza il lavoro della coppia
italiana, accanto allossessione per il gesto della “caduta” (ancora Pina docet),
emblematico della finzione a cui sono allenati gli artisti.
di Gianni Poli
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