La collana “Sediziose voci. Studi sul
melodramma”, diretta da Camillo Faverzani,
prosegue il suo impegno con il volume XI. «Non siamo davanti ad una nuova
storia del libretto e del melodramma, nella sua età aurea – osserva Stefano Verdino in Prefazione –
ma i vari capitoli intendono offrire una luce radente ed angolata [...] in una
serie di snodi cruciali sempre con attenzione alla doppia partita tra testi
italiani e francesi – fil rouge del libro» (p. VII). Il merito saliente
sta nel percorso per fasi analitiche, coordinate da un “metodo” ricorrente. Il
titolo allude ai tanti “tradimenti”, consumati, finti o immaginari, nelle
vicende rappresentate a partire «dallopera buffa fino allopera seria
settecentesca, del melodramma romantico e oltre», tra i quali si pone esemplare
l«Eterno fedel servitore, Leporello» (p. XI). Immediata affinità è
riscontrabile con Ginevra e il cardinale. Libretti italiani da Salieri a
Ponchielli (Lucca, LIM, 2015), modello precedente di Faverzani a cui
tornare per raffronti probanti. Dalle cinque parti, in successione grosso
modo cronologica, traggo riflessioni seguendo un campionamento dettato da gusto
e sensibilità personali.
Accomunate dal topos del viaggio,
vengono esaminate tre opere dallo stesso soggetto, varianti nel titolo: Il mondo alla
roversa, Il mondo alla rovescia, Lisola capricciosa. Tre anche le coppie di autori: Baldassarre Galuppi / Carlo Goldoni; Giacomo Rust / Caterino T.
Mazzolà; Antonio Salieri / Caterino
T. Mazzolà. Un tema dunque antichissimo, quello delle donne al potere, svolto in
un “dramma giocoso per musica” in tre versioni, dal 1750 al 1795. Il metodo
dindagine, applicato in questo saggio, consente di verificarne lefficace
estensibilità agli altri e successivi. Si parte dal libretto a stampa o
manoscritto, nelle sue trasformazioni, seguite e comparate in ogni versione e/o
rappresentazione. Le circostanze e gli indizi esecutivi storici concorrono a
ricomporre sia il documento, sia la sua ricezione pubblica (lettura e
spettacolo). Gusto, estetica e scopi comunicativi risultano così dai dati
concreti. Per la trama e per la partitura (persino quando manchi, come nel caso
di Rust) vengono tracciate Tavole sinottiche, capaci di restituire lo
stato originale dei documenti. Si scoprono gli elementi costitutivi dei testi e
degli effetti indotti dallinterpretazione scenica relativa, quali le modalità
espressive dei personaggi, nelle interazioni e funzioni drammatiche. Nel Mondo
alla rovescia così scandagliato, curiosi paradossi emergono, come quello
della ridotta presenza e importanza degli interventi (parti) femminili in
lavori che ne presumono la prevalenza: il Conte, ad esempio (cfr. Tavole,
pp. 17-19) ha il maggior numero di “interventi”. «Dalla tabella risaltano anche
le priorità vocali e, nonostante regnino le donne, dobbiamo riscontrare che ben
relativo è il primato delle donne, in tutte e tre le partiture» (p. 19). Gli
atti, tradizionalmente maschili, assunti dalle donne, confermano che «è il
viaggio metaforico tra gli usi e i costumi, tra le convenzioni sociali o ancora
i sessi, a collegare tre mondi alla rovescia, in cui gli uomini fanno da
mangiare e le donne la guerra» (p. 31). La completezza della ricerca di
Faverzani si spinge alle riprese più recenti (dal 1978 al 2019) di quelle opere
a lungo dimenticate.
Un dibattito su fini distinzioni di
genere si apre con il paragone fra due opéra-bouffon (o opéra-comique)
dal titolo Lo sposo burlato e
Pomponin. La prima, nata in Italia (1769) su libretto (attribuzione)
di Giulio Cesare Cordara e musica di
Niccolò Piccinni, sarà replicata in
Francia (1777) con libretto in francese di P.-L. Ginguené e titolo cambiato in Pomponin. La partitura per ledizione
data a Fontainebleau è perduta. Se ne propone però plausibile ricostituzione
mediante le esigenze evidenziate dai libretti. Lo studioso, già curatore
delledizione critica, affronta le due versioni a stampa, in un virtuosistico processo
di collazione e di decodifica del senso, consolidato nelle Tavole (pp.
44, 46 e 61). Il minuzioso intarsio testuale conduce a numerose varianti delle
quali si ipotizza la funzione, in base ai personaggi e alle parti, fra canto e
recitativo. Le implicazioni storiche suggeriscono relazioni risalenti a Molière e a Lully. Per i temi esistenziali e sociali che attraversano lopera, lo
studioso consiglia lapprofondimento della sua attualità, con lauspicio del «ritrovamento
della partitura del Pomponin o quanto meno del materiale orchestrale» (p. 62).
Il “dramma per musica” Armida
abbandonata, di Luigi Cherubini,
rappresentato a Firenze nel 1782, induce alla ricerca dellautore sconosciuto
del suo libretto. Quellorigine è inseguita nelle tracce secolari che il poema
del Tasso ha lasciato nella cultura musicale europea. Lattribuzione a Giuseppe Foppa di un libretto omonimo
del 1781 segna la vicinanza maggiore allobiettivo. Il percorso appassionante
convince appunto della dipendenza dellignoto poeta dal lavoro del Foppa, a sua
volta in relazione con i precedenti testi di Gamerra, Durandi e De Rogatis. La situazione di questopera
“seria”, nel contesto degli scambi con la Francia, si precisa in Postfazione.
Sul tema del “salvataggio di un
innocente” vertono Mariages samnites, di Grétry e Durosoy
(Parigi, 1776) e Loracolo sannita, di Zingarelli e Del Tufo
(Napoli, 1805). Qui, grazie alla congrua disponibilità documentaria, si
illustrano le valenze politiche, ideologiche e di costume del tempo, con analisi
anche formali delle composizioni, articolate per trama e caratteri umani. Ne viene
un segnale sul consolidarsi in “maniera” della «propensione alluso meccanico
di un certo numero di soluzioni, di trovate» e la scelta di libretti con «situazioni-tipo
ed effetti sicuri» (pp. 163-164).
Parte dalle recite moderne con Maria
Callas protagonista il discorso su La Vestale, di Gaspare
Spontini e V.-J. Étienne de Jouy
(1807), che suscita interesse per altri due titoli omonimi, di Pacini e Romanelli (1823) e di Mercadante
e Cammarano (1840). Notato che «il
titolo fatica a ritrovare un posto nel repertorio contemporaneo» (p. 167) si tessono
fitti riscontri lessicali (libretto) e compositivi (partitura). Frattanto, nel passaggio
dalla tragédie lyrique al melodramma serio, si può verificare la crescente
funzione sociale e politica dei generi nelladattarsi a nuovi gusti e mutati valori.
“Caina attende chi a vita ci spense” introduce due
opere dedicate a Francesca da Rimini, di Feliciano Strepponi / Felice
Romani (1823) e di Pietro Generali
/ Paolo Pola (1828), scelte fra le
innumerevoli ispirate al poema dantesco. Sullo sfondo, la musica di Saverio
Mercadante (1831?) su libretto di Romani (rappresentata soltanto nel 2016). Larticolo
verifica le varianti di tre testi, due dei quali (riferibili alla tragedia di Silvio Pellico) divenuti libretto.
Ancora comparazioni per interpretare con arduo discernimento gli apporti
autoriali specifici e rilevare la «dimensione onirica [...] la qualità
“formulare” dei versi di Romani e Cammarano, capace di riflettere una temperie
romantica» (p. 491).
Torna protagonista il Romani,
librettista di Saul, musicato dal Vaccaj
(1828), motivo di distinzioni sul genere, se oratorio o tragedia lirica
alfieriana. La disamina degli elementi pro e contro giunge a sentenza: «Possiamo
affermare senza remore che il Saul non è affatto un oratorio», ma con
una sorpresa: «La fonte letteraria va ricercata più in Soumet che non in
Alfieri» (p. 287). Ines de Castro di Persiani
e Cammarano (1835) dà lo spunto per
inquadrare la figura della “Mater dolorosa” nella storia letteraria e musicale,
fino a Suor Angelica di Puccini e
Forzano. La valutazione di tre
versioni di La Regina di Cipro,
di Fromental Halévy e Vernoy de Saint-Georges (1841); Donizetti e Sacchero (1844); Pacini e Guidi
(1846), soprattutto nelle strutture musicali, giunge a riabilitare il lavoro,
sullo stesso soggetto, di Giovanni Pacini.
Fino in fondo lautore non smette di
porsi delle domande, fruttuose anche mancandogli risposte definitive. Così
studia il Re Lear, progetto verdiano incompiuto (1850-1855) accanto alla
realizzazione di Cagnoni e Ghislanzoni (1900). E dopo lindagine
sulla “vera fonte del libretto”, nel passaggio (traduzione) dalloriginale
shakespeariano al poema musicato, deve accontentarsi di approssimazioni motivate
e rilanciare in altra ipotesi: «Possiamo quindi considerare il Re Lear
di Cagnoni come la realizzazione sempre procrastinata del sogno di Verdi?» (p.
483).
Lautore raccoglie, classifica statisticamente
e illustra fenomeni stilistici ed estetici, indizi e conoscenze sui problemi
drammaturgici, se non dallestimento, altrimenti trascurati. In specifico, le novità
delle numerose scoperte e rettifiche della storiografia acquisita appaiono nel
capitolo Di un foglio furtivo apportator e nella Postfazione. Linsolito
procedimento critico, asseverato da uno strutturalismo penetrante lopera in
concreto, implica una semiologia globale della performance, utile ad aggiornare
il bilancio sulla materia e acuire la sensibilità degli artisti (teatranti,
specialmente) oltre che dei ricercatori.
di Gianni Poli
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